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martedì, Set 24

Che cosa significa per l’Italia il nuovo accordo sui migranti?


Al netto di alcuni toni trionfali, ci sono oggettivi passi in avanti in un contesto di forte polarizzazione politica, ma rimangono i dubbi sulle ripartizioni “volontarie” di chi arriva via mare

(foto: ARIS MESSINIS/AFP/Getty Images)

Un risultato storico” (il premier Giuseppe Conte); “L’Italia non è più sola” (Huffington Post), “L’Europa s’è desta” (La Repubblica). Dopo che i ministri dell’Interno di Malta, Francia e Germania lunedì hanno annunciato di aver raggiunto un accordo per modificare la gestione dei migranti che arrivano via mare in Europa, i toni delle istituzioni e di molta stampa sono stati a dir poco trionfali.

Al termine dell’incontro a Malta – a cui ha partecipato anche la Finlandia, che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea – la sensazione è che si sia arrivati a una svolta importante per quanto riguarda una crisi che è stata, soprattutto per il nostro paese, politica prima ancora che sociale o economica. Quel che sembra certo è che la solidarietà europea nei confronti dell’Italia sia aumentata rispetto al passato: ma di quanto?

I passi avanti

In sintesi, nell’accordo è previsto un nuovo meccanismo di ricollocamento automatico dei migranti che arrivano in Italia e a Malta dopo essere stati soccorsi in mare aperto: questi verranno poi redistribuiti tra i diversi paesi che hanno aderito all’accordo, e sulla base del numero di questi verrà fissata anche la percentuale di migranti che spetta a ciascuno. Rispetto al vecchio meccanismo di ricollocamento volontario proposto nel 2015 dalla Commissione europea, questa convenzione dovrebbe, salvo cambiamenti, riguardare tutti i migranti che fanno richiesta di protezione, e non solo quelli che hanno più possibilità di ottenerla. La redistribuzione sarà obbligatoria e dovrà avvenire entro quattro settimane dallo sbarco.

In sostanza, il paese di primo ingresso non dovrà sostenere da solo l’onere di ospitare i migranti ed esaminare la loro richiesta di protezione, ma la stessa procedura toccherà a tutti i paesi che aderiscono all’accordo. Per i paesi che disubbidiranno saranno molto probabilmente previste sanzioni da parte dell’Unione europea (anche se non si sa bene di che tipo ed entità, almeno per ora).

Una dei vantaggi più evidenti dell’accordo sarà quello di scongiurare – almeno si spera – le situazioni di stallo cui erano costrette le navi che soccorrono migranti nei pressi della Libia, a cui Malta e l’Italia – soprattutto quando al Viminale c’era Matteo Salvinichiudevano i porti, perlopiù per questioni politiche.

Il bicchiere mezzo vuoto

Il giudizio sull’accordo dell’opposizione, in particolare leghista e filoleghista, è ovviamente di segno opposto: “Fregatura”, sentenzia Salvini. “Arriva l’eurobidone” (Il Giornale). “Abbiamo ancora tanto da fare”, ha ammesso anche lo stesso Conte. In effetti, a ben vedere, l’accordo ha dei limiti oggettivi.

Innanzitutto, con tutta probabilità, i migranti coinvolti nell’accordo saranno solo quelli arrivati via mare a bordo di navi delle ong o militari: vale a dire soltanto il 9 per cento di quelli che arrivano via mare in  secondo un calcolo dell’Ispi. Saranno esclusi i migranti che arrivano coi mezzi propri sulle coste italiane, o grazie ai cosiddetti “sbarchi fantasma”. Tanto per capirci, dal giugno 2018 all’agosto 2019 i migranti tenuti al largo perché soccorsi in mare sono stati 1.346, contro i 15.095 arrivati in maniera autonoma. E tutto questo in un contesto di sbarchi diminuiti notevolmente rispetto a due anni fa.

Il summit di lunedì, fortemente voluto da Italia e Malta, che da anni cercano un modo per superare il regolamento europeo di Dublino (boicottato perlopiù dai paesi dell’Est), non prevede inoltre che la scelta dei porti di sbarco dei vari migranti avvenga con una rotazione automatica, come invece si auspicavano Italia e Malta: secondo l’accordo avverrà invece su base volontaria. Il diritto marittimo prevede che il primo “porto sicuro” sia il più vicino dal punto di vista geografico: in altre parole, quasi sicuramente gli sbarchi continueranno ad avere come meta le coste italiane e maltesi.

Va aggiunto anche che il sistema di multe per i paesi che non collaboreranno sarà effettivo soltanto se l’accordo sarà accolto dall’Ue, l’unica istituzione che può approvare questo genere di misure. Per trarre un bilancio definitivo bisognerà aspettare la discussione al Consiglio dell’Ue – l’organo che raduna i rappresentanti dei governi dei 28 paesi dell’Unione – che si terrà in Lussemburgo il 7 e l’8 ottobre, dove si cercherà di allargarlo ad altri paesi.

Come nota a margine, va segnalato come il ministro dell’Interno italiano Luciana Lamorgese abbia aggiunto che il nuovo accordo di Malta non pregiudicherà, né modificherà, quello tra l’Italia e la cosiddetta Guardia costiera libica: molti osservatori, soprattutto nella cooperazione e negli ambienti politici progressisti, lo considerano lesivo dei diritti umani.

In definitiva si può dire che, lavorando in una situazione di polarizzazione politica molto grave e di sbarchi molto bassi, l’Italia ha ottenuto in questa fase un ottimo risultato, e l’accordo non può essere giudicato al ribasso. I paesi coinvolti nell’accordo hanno sottolineato che quello di lunedì è un piccolo passo nella direzione della riforma del regolamento di Dublino, da sempre ignorata dalla Lega. È un risultato parziale, ma positivo per quanto riguarda i salvataggi in mare, vale a dire solo una delle tappe dell’immigrazione irregolare.

C’è ancora moltissimo da fare, invece, per ciò che concerne gli interventi a livello europeo nei paesi di origine, di transito e di arrivo, con aiuti più strutturali, nuovi eventuali canali legali di immigrazione e nuovi sistemi di integrazione. La strada è ancora lunga, ma l’importante è ricominciare a ragionare.

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