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martedì, Mar 02

Cherry, storia di innocenze perdute e umanità ritrovate



Da Wired.it :

di Andrea Giordano

Un uomo senza nome, di cui conosciamo solo la città (Cleveland) e l’età (23 anni), passeggia, fugge da qualcosa, forse da se stesso, ma prova a liberarsi, e questa volta, per farlo, deve davvero togliersi la maschera. È il prologo di Cherry, la nuova sfida cinematografica dei fratelli Russo, Anthony e Joe (anche loro originari dell’Ohio), che dal successo record targato Marvel Cinematic Universe, Civil War, Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame (quasi sei miliardi di dollari d’incasso nel mondo con questi tre titoli), ci regalano adesso un’opera cruda, autoriale, piena di sfumature (in onda dal 12 marzo su Apple Tv +), per raccontare la genesi di un personaggio (dal 2002 al 2021), diviso tra amore, guerra, dipendenze e rapine in banca.

Tratto dal libro semi-autobiografico di Nico Volker (scarcerato nel 2019), il film prova dunque a riportarci su quei binari narrativi, trascinandoci, passo dopo passo, capitolo dopo capitolo, nel suo vortice di crescita e formazione, di riflessione, disorientamento e tossicità. L’inizio è quello di uno studente universitario come tanti, un po’ defilato, ombroso, che un giorno, però, scorge in Emily, una coetanea (nel romanzo originario non c’è), l’essenza della bellezza, qualcosa di troppo grande, ma che rivela l’innamoramento più impensato e appassionato, tanto da portare entrambi a un matrimonio-lampo.

Due moderni Lara e Zivago, cui il destino è pronto invece a consegnare qualcosa di feroce e straziante. Perché Cherry (è il soprannome che viene dato a chi non ha ancora partecipato ad azioni di combattimento) deve partire per la guerra in Iraq, si è infatti arruolato come volontario: c’è l’addestramento, due anni al fronte come medico, nei quali piano piano vede i compagni morire, guarda in faccia la tragedia di un conflitto assurdo, l’innocenza che svanisce d’un colpo. È il punto di rottura, di svolta esistenziale.

Una volta tornato in patria come eroe, decorato al valore, ritrova sì la sua Emily, ma scopre in egual mondo l’impossibilità di tornare alla normalità, per colpa della sindrome da PSTD, disturbo da stress post traumatico. Sogna la violenza, memorie di sangue e sabbia gli tolgono il riposo, facendogli gradualmente perdere il senso della realtà, proiettandolo nel tunnel degli oppiodi, Xanax, e di lì a poco eroina e cocaina.  Impasticcato, intollerante, autodistruttivo, ha bisogno di nutrire giorno dopo giorno così il suo istinto selvaggio, quella ricerca spasmodica, capace di condurlo anche, come debitore di uno spacciatore locale, a doversi improvvisare criminale e ladro seriale per finanziarsi.

Cherry, come il Mark Renton di Trainspotting, è preda di allucinazioni, dice: “Ho questo ronzio nella mia testa … perché non può fermarsi?“, conduce una routine distorta, eppure non è mai solo, perché Emily è lì, non lo abbandona, anzi ne prende temporaneamente parte. Insieme diventano “addicted”, “junkie”, assuefatti, corrosi e deteriorati nell’animo e nel corpo. Dietro l’angolo della parabola di questo ragazzo, ormai diventato adulto, arriva, però, l’inesorabile epilogo, la necessità di resa, redenzione, quasi un grido d’aiuto nei confronti di chi non è riuscito probabilmente a capirlo, aiutandolo a rielaborare. Sono tappe, momenti, scelte che possono stravolgere l’esistenza.

Onore e polvere, cadute e risalite, i fratelli Russo provano a sganciarsi allora dalle loro recenti “zone confort”, catturando qui atmosfere diverse, e un certo tipo di società americana, la generazione Z per intenderci, quella nata, cresciuta, nel post 11 settembre, più esposta alla crisi, al disorientamento sociale, ignara com’è, abbandonata alla propria sopravvivenza. Ne viene fuori un’avventura cupa, in gradazione e progressione, dalla love story al war movie, ad un Requeim for a Dream, che sa regalare altresì un esercizio stilistico virtuoso, che sconfina in altri rimandi e sprazzi di cinema: da Scorsese a Full Metal Jacket di Kubrick,  da Brothers di Jim Sheridan, passando per Jarhead, a quella stratificata esperienza altalenante simile a  Forrest Gump. Radicale, complesso e affascinante, Cherry è soprattutto Tom Holland, mai così bravo, potente, coraggioso, paranoico, nell’addomesticare la propria furia interpretativa, portandosi a dei livelli estremi, maturi,  in grado finalmente, per un attimo, di allontanarsi dal “suo” Peter Parker-Spiderman (lo ritroveremo a breve comunque) diventato troppo scontato e prevedibile.

Ma, ed è l’altra vera perla, insieme, e con lui, c’è soprattutto Ciara Bravo, giovanissima attrice e doppiatrice, dalla carriera maggiormente televisiva, perfetta nell’incarnare l’altra metà del puzzle, l’unica cosa vera e reale probabilmente, perfetta nell’accompagnarlo nell’abisso, e da lì, dopo, rinascere. Cherry dunque è un viaggio alla ricerca della connessione umana, sugli sbagli, sull’idea del poter ripartire. È una conversazione aperta, da vedere e sentire, un gioiello grezzo, tutto da riavvolgere e ripassare al setaccio, tanto nella visione stilistica dei Russo, quanto nella superba colonna sonora composta da Henry Jackman, e da una scelta di brani e autori, Van Morrison, Verdi, oltremodo elementi indispensabili per seguire l’iter del protagonista. Alla scoperta della propria consapevolezza, fino alla fine, a quel “Vissi d’arte, vissi d’amore” di Puccini, con la voce tuonante di Maria Callas, che anticipa di lì a poco il confronto finale.

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[Fonte Wired.it]