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sabato, Apr 22

Chip, cosa si sono dette Italia e Taiwan | Wired Italia



Da Wired.it :

Il rapporto con gli Usa è vitale, ma la Cina è il nostro mercato principale. Spediamo più chip lì che in qualsiasi altro posto. Gli Usa vogliono disperatamente controllare l’industria e la nostra tecnologia. Ma Taiwan è Taiwan, non fa parte degli Stati Uniti. Vogliamo mantenere la nostra democrazia, ma non siamo nemici della Cina e vogliamo continuare a farci affari”, ha detto in maniera ancora più esplicita in un’intervista a La Stampa Frank Huang, patron di Powerchip.

Insomma, utilizzare l’argomento della fuoriuscita dalla Belt and Road come una potenziale leva nei confronti delle aziende private taiwanesi non serve. Non solo, rischia persino di diventare un boomerang visto che da sempre le aziende del settore cercano di rifuggere qualsiasi tentativo di politicizzazione delle loro scelte aziendali. Obiettivo talvolta forse complicato da alcune mosse di governo e diplomazia di Taipei, impegnati a cercare di dimostrare al mondo perché Taiwan è importante.

Il fronte politico

E non basta la geopolitica per spiegare la decisione di Tsmc di avviare la costruzione di due impianti in Arizona, nonostante il più alto costo del lavoro e la minore profittabilità. Sui calcoli in questione non ci sono solo i vitali rapporti nel settore della difesa che legano Taipei e Washington, ma anche e soprattutto il predominio americano sulla produzione in senso ampio. I colossi taiwanesi dominano infatti il comparto di fabbricazione e assemblaggio, ma la produzione di chip è suddivisa in molti step diversi con snodi cruciali in diverse parti del mondo. A partire dal design di matrice statunitense. Le aziende taiwanesi non possono farne a meno, anche per quello sono state costrette a seguire il divieto di export verso Huawei con l’obbligo di licenze speciali imposto per la prima volta dall’amministrazione Trump nel 2020.

Potrebbe essere in parte diverso il discorso sul fronte politico. Chiaro che il governo del Partito progressista democratico di Tsai accoglierebbe come un segnale potenzialmente positivo l’uscita dell’Italia dalla Belt and Road, ma la mossa non avrebbe un valore in sé per Taipei se non accompagnata da ulteriori e ben maggiori garanzie di cooperazione bilaterale. Non solo sul fronte commerciale, ma anche e soprattutto su quello diplomatico. Un primo passo potrebbe essere l’annunciata apertura di un ufficio di rappresentanza di Taipei a Milano, il secondo in Italia dopo quello già attivo da decenni a Roma.

Ciò detto, le ipotesi di un aumento della cooperazione sul fronte dei semiconduttori esistono. Alcune delle aziende taiwanesi starebbero mostrando interesse per investimenti o collaborazioni. Tra queste anche Powerchip, specializzata in chip per il settore automotive, attratta dall’Italia per il suo nutrito pool ingegneristico. E non certo per la possibile increspatura della Via della Seta.



[Fonte Wired.it]