Seleziona una pagina
giovedì, Mag 06

Chip più piccoli e potenti? L’innovazione che c’è ma non si vede arriva dalla Germania



da Hardware Upgrade :

La ricerca volta a trovare soluzioni per miniaturizzare i chip non è un’esclusiva delle grandi aziende come Intel, TSMC o Samsung, ma dietro di loro c’è tutto un ecosistema di centri universitari e aziende specializzate che operano con un’unica missione: trovare modi per creare chip sempre più piccoli, potenti e meno affamati di energia, aggirando passo dopo passo limiti che in apparenza invalicabili.

Succede anche al Fraunhofer Institute for Silicon Technology ISIT di Itzehoe, dove i ricercatori Martin Witt, Dr. Jacqueline Atanelov e Michael Kampmann sono stati appena premiati con un Joseph von Fraunhofer Prize 2021 per la creazione di un dispositivo chiamato “electron multi-beam mask writer“, fondamentale per dare forma ai chip con miliardi di transistor che siamo soliti tenere tra le mani quando acquistiamo un nuovo processore.


Foto: © Fraunhofer / Piotr Banczerowski

Il dispositivo è stato sviluppato dalla viennese IMS Nanofabrication GmbH, ma al centro c’è un elemento di switching MEMS (micro-electromechanical system) messo a punto proprio al Fraunhofer ISIT e ribattezzato TROM2-Chip. “In precedenza era possibile raggiungere dimensioni appena sotto 10 nanometri nei chip – un atomo è 0,1 nanometri – ma il nuovo metodo produttivo rende dimensioni di 7 nanometri e inferiori una possibilità“, ha dichiarato Martin Witt del Fraunhofer ISIT. “Non ha rivali in tutto il mondo, il che significa che questa tecnologia è attualmente l’unica a consentire un’ulteriore miniaturizzazione dei chip“.

In un chip tradizionale, un wafer di silicio è rivestito in modo uniforme con quello che viene chiamato “fotoresist“, un materiale fotosensibile che gioca un ruolo fondamentale per trasporre i modelli dei circuiti sul wafer. Fondamentalmente si tratta di una pellicola che indurisce quando esposta a una luce (ultravioletta) mirata. Le zone non indurite vengono rimosse e il silicio viene lavorato nelle zone esposte. Successivamente, si procede alla rimozione anche delle parti indurite e il processo riparte daccapo. In questo modo il chip viene creato strato dopo strato – per i chip complessi sono necessari fino a 70 fasi di esposizione alla luce.

Per garantire che la luce sia diretta nel punto in cui il fotoresist deve essere indurito, lasciando le altre aree al buio, vengono usate quelle che vengono chiamate “maschere“. Queste maschere sono realizzate in modo simile ai chip, ma al posto della luce l’indurimento del fotoresist richiede un fascio di elettroni.

La caratteristica fondamentale del nuovo metodo è che “invece di scrivere le strutture della maschera sul fotoresist sensibile agli elettroni con un solo fascio, usiamo 512 fasci per 512 volte, quindi oltre 262.000 fasci“, ha spiegato Kampmann.

“In termini semplici”, aggiungono i ricercatori, “questo elemento è come una membrana con oltre 262.000 aperture che permettono al fascio di elettroni di passare. A differenza dei getti d’acqua di un soffione, questi fasci non si muovono in parallelo. Invece, possono essere controllati individualmente e reindirizzati da speciali elettrodi di controllo“.


Martin Witt, Dr. Jacqueline Atanelov e Michael Kampmann – Foto: © Fraunhofer / Piotr Banczerowski

È così possibile creare “strutture complesse in alta qualità e risoluzione in poche ore“, ha dichiarato la dottoressa Jacqueline Atanelov, ribadendo che al mondo non c’è una tecnologia che possa competere con questa versione dello scrittore di fotomaschere a multi-fascio di elettroni. “Di conseguenza”, ha aggiunto, “c’è una domanda rilevante nel mercato e i dispositivi stanno generando un fatturato annuo di 400 milioni a IMS. L’impatto si vede anche al Fraunhofer ISIT: i ricavi del settore superano ora di gran lunga il milione di euro all’anno. Questa tecnologia non solo consente di ottenere un’ulteriore miniaturizzazione, ma sta anche determinando un eccezionale successo commerciale”.

Source link