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giovedì, Ott 31

Chris Claremont sugli X-Men: “Il loro messaggio di tolleranza è più valido che mai”


L’approfondimento dei personaggi, il loro ruolo di icone e la loro nuova vita al cinema. Una chiacchierata con il papà dei mutanti Marvel

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(foto: Andrea Gentile/Wired)

Sedici anni di storie curate e cesellate con passione. Una memoria capace di riprendere dettagli e sottotrame nascosti in racconti di molti anni prima, ma soprattutto un grande amore per l’approfondimento dei personaggi. Chris Claremont è stato il demiurgo delle vicende mutanti per una fetta importante della loro storia editoriale ed è la ragione per la quale i primi film degli X-Men hanno inaugurato l’era contemporanea dei cinecomics.

house-of-xProprio il mondo dei mutanti, dopo l’ultimo film Dark Phoenix, è all’inizio di una pesante rivoluzione. Nei fumetti lo scrittore Jonathan Hickman ha appena preso le redini del cosmo di Xavier e compagnia, traghettandolo con House of X e Powers of X (in Italia pubblicate da Panini) verso nuovi e affascinanti lidi. Per quanto riguarda il cinema, invece, i diritti degli X- Men sono appena tornati nelle mani della Marvel e i fan attendono di scoprire come questi personaggi saranno introdotti nell’universo comandato dagli Avengers.

A Lucca Comics & Games abbiamo potuto parlare proprio con Chris Claremont, 69enne autore di origini inglesi (che in tanti considerano il padre dei mutanti) ospite di Panini Comics, del passato e del futuro degli Uomini-X.

Nel 1979, il Comics Journal la definì un “character writer”, uno scrittore di personaggi. La sente ancora sua?

“Per me chiunque può immaginare e descrivere una battaglia tra bene e male. È divertente, ma è anche noiosa. Quello che rende una storia interessante sono le persone: chi sono, perché fanno ciò che fanno, perché interagiscono, cosa rende una persona l’eroe e un’altra un cattivo. Io cerco sempre di partire dai personaggi. L’evento può innescare delle reazioni, ma la parte interessante della storia sono le persone. Ogni generazione di scrittori ha un proprio stile e un proprio approccio. Non c’è ragione per la quale il mio lavoro debba essere simile a quello, per esempio, di Brian Bendis o di altri scrittori. In questo momento probabilmente non sono io il pubblico cui si rivolgono, perché la mia attitudine è diversa, ma questo non è un problema”.

Alcuni dei suoi personaggi, forse proprio per la sua attenzione alla loro profondità, sono diventate delle vere icone pop, riconosciute in tutto il mondo…

“C’è un problema nel diventare un’icona: le icone devono essere facilmente identificabili. Logan è fatto così, Ororo in quest’altro modo, Magneto è ancora diverso. Dalla prospettiva dello scrittore, li vedo come persone e le persone cambiano, crescono e hanno piccole manie. Questo le rende complicate. In generale le corporation non sono molto interessate alle complicazioni. Per Disney o Warner Bros, la descrizione di un Batman o di un Wolverine, per esempio, deve essere molto precisa: serve una singola frase che li caratterizzi. Superman è un uomo d’acciaio, Wolverine è un berserker con gli artigli. È semplice, diretto, cool. Per me invece Wolverine è Logan e Logan è complesso, ma… Aggiungo sempre un ma, un qualificatore, una particolarità che interferisce. Per me questi personaggi sono complessi, perché le persone sono complicate e non sono facilmente descrivibili”.

Gli X-Men, esseri umani nati con geni che donano loro poteri straordinari, sono sempre stati odiati e temuti. Il messaggio di tolleranza portato avanti dalle loro storie è ancora valido?

“Il messaggio degli X-Men ora è ancora più importante, basta guardarsi attorno: pensiamo alla Brexit, in cui cittadini di mezza età hanno votato per uscire dall’Unione europea perché non volevano più immigrati. I conflitti interni in Francia, in in Germania o nei Balcani, in cui dal Medioriente arrivano rifugiati che vorrebbero una vita più sicura. Negli Usa c’è Donald Trump che vuole costruire un muro al confine col Messico: non gli dispiacciono gli immigrati provenienti dall’Europa del Nord, ma non quelli dell’America centrale e del Sud. L’ironia è che se strappi via la pelle di ciascuno di noi, sotto siamo praticamente uguali, ma nella storia umana ci siamo sempre definiti in base alle differenze.

“Come scrittore, è proprio l’essere degli outsider ad avermi affascinato di più degli X-Men, questa continua battaglia. Negli ultimi 15 anni i mutanti sono diventati molto più popolari e quindi più accettabili. La sfida per Marvel ora è quella di continuare a renderli interessanti e distintivi rispetto agli Avengers, senza allontanarsi troppo da ciò che li faceva n tempo risaltare. Ma il messaggio resta. Una graphic novel come Dio ama l’uomo uccide [scritta da Claremont e disegnata da Brent Anderson, ndr] è più valida oggi di quanto lo fosse nel 1982″.

Con sedici anni continuativi alle redini di tante testate mutanti (oltre a qualche ritorno), sente ancora oggi di avere delle questioni in sospeso con i suoi X-Men?

“Ogni scrittore ha sempre delle questioni in sospeso con i personaggi. È l’arte della scrittura. Nel mio subconscio, probabilmente lavoro ancora a nuove storie, ma il mio cervello si concentra attivamente ad altro. Se tornassi a scrivere nuovamente questi personaggi, allora ci penserei consapevolmente. Ma non c’è ragione di farlo. Altri ne scrivono le storie, altri editor li indirizzano. Impazzirei a pensarci.

“Avrei continuato a scrivere gli X-Men per altri 16 anni, perché, visto che i personaggi per me sono umani, ci sarebbero state tante altre domande da porsi. L’unico modo in cui queste domande si interrompono è quando quel personaggio muore, cosa che però generalmente non si può fare in un fumetto”.

Anche se ci ha provato con alcuni personaggi, penso a Magneto…

“Non l’ho ucciso veramente, l’ho tolto di mezzo cercando di scrivere quella che per me sarebbe stata la sua ultima storia [su Gli incredibili X-Men 50, ndr]. La mia intenzione era di trasformarlo in un eroe, ma Marvel all’epoca non era d’accordo. Pensavo che farlo sarebbe stato molto più importante e d’impatto di un personaggio buono come Charles Xavier”.

Ha sempre preferito Magneto a Xavier?

“Mi è sempre piaciuto Xavier, ma Charlie è perfetto. Il suo difetto maggiore è quello di non poter camminare (come se poi questo fosse davvero importante), cosa che tra l’altro mi è sempre sembrata assurda visti i poteri e la tecnologia in circolazione nell’universo Marvel. A questo riguardo lo Xavier interpretato da James McAvoy nei film degli X-Men invece non era affatto perfetto ed è per questo che funzionava così bene. Ironicamente la rappresentazione di Magneto data da Michael Fassebender in Dark Phoenix si avvicina molto al personaggio che volevo raccontare nei fumetti”.

A questo proposito come è stato vedere le proprie creazioni sul grande schermo? Probabilmente presto ne arriveranno ancora altre…

“Alcune sono state buone, altre meno, ma è un work in progress. Ora che diritti degli X-Men sono passati di nuovo in mano alla Marvel, dipende tutto da cosa vorrà fare Kevin Feige [il Chief Creative Officer di Marvel Entertainment, ndr]. Bisogna vedere come saranno integrati all’interno del Marvel Cinematic Universe, rendendoli diversi da quello che si è visto finora. È ironico che, per quasi 25 anni, i mutanti siano stati la pietra angolare di tutti i fumetti della Casa delle idee, mentre gli Avengers erano di nicchia. Ora invece, da un punto di vista cinematografico, è il contrario. Molto si gioca anche su chi scriverà le sceneggiature, chi dirigerà i film e gli interpreti che saranno scelti. Troveranno un Wolverine altrettanto buono come quello di Hugh Jackman?

“Oltretutto c’è il problema di introdurre il concetto dei mutanti. Tony Stark diceva nel primo film degli Avengers ‘Ora sappiamo che non siamo soli nella Galassia‘. I mutanti invece sono persone nate con straordinari poteri sul nostro stesso pianeta. Sono un prodotto dell’evoluzione o il risultato di interventi alieni? Si tratta di sfide che i Marvel Studios devono affrontare. E poi: quanti mutanti ci sono lì fuori? Se sono poche decine, bisogna averne paura? Dalla prospettiva di Iron Man, il pericolo non è lì fuori, ma accanto a te. E ancora: Scarlet è una mutante o è davvero il soggetto di un esperimento scientifico? Lei potrebbe essere il punto di entrata dei mutanti nell’universo cinematografico. Ma la risposta è nelle mani di Feige”.

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