Una delle parti più delicata dell’accordo tra le due aziende riguardava il caso in cui OpenAI fosse effettivamente in grado di sviluppare la tanto discussa Agi. Secondo il precedente accordo, Microsoft avrebbe perso i diritti esclusivi sulla tecnologia una volta raggiunta quella soglia, ma la decisione su quando il traguardo fosse stato effettivamente superato spettava al solo consiglio di amministrazione di OpenAI. Questo meccanismo conferiva all’azienda il potere di dichiarare unilateralmente concluso l’accordo, creando incertezza per Microsoft sul ritorno del proprio investimento miliardario. La soluzione trovata introduce un meccanismo di verifica esterna mai visto prima nell’industria tecnologica. Qualora OpenAI dichiarasse di aver raggiunto l’Agi, un panel indipendente di esperti — composto da scienziati e ricercatori non affiliati né a OpenAI né a Microsoft — dovrà confermare o respingere tale affermazione. Fino a quando il panel non dovesse validare il raggiungimento dell’Agi, oppure fino al 2030 qualora la verifica non avvenga entro quella data, Microsoft manterrà pieno accesso ai metodi di ricerca confidenziali di OpenAI e a tutti i modelli commerciali sviluppati. Questo significa che Microsoft potrà continuare a incorporare la tecnologia di OpenAI nei propri prodotti indipendentemente dalle dichiarazioni unilaterali dell’azienda di San Francisco.
L’accordo prevede inoltre che Microsoft non avrà più diritti sui dispositivi fisici destinati ai consumatori sviluppati da OpenAI, una modifica significativa dopo l’acquisizione nel marzo 2025 per 6,5 miliardi di dollari di io Products, la startup fondata da Jony Ive — designer britannico tra i creatori dell’iPhone e di altri prodotti iconici per Apple — specializzata in dispositivi di consumo dal design innovativo, a conferma dell’intenzione di OpenAI di entrare nel mercato di smartphone o assistenti domestici dotati di intelligenza artificiale capaci di interagire tramite ChatGPT.
L’impegno filantropico
Sul fronte della governance, l’amministratore delegato di OpenAI, Sam Altman, ha chiarito martedì che il percorso più probabile per la nuova struttura aziendale prevede una quotazione in borsa (Ipo), dato il fabbisogno di capitali e le dimensioni raggiunte dall’azienda. Una Ipo permetterebbe a OpenAI di raccogliere decine o centinaia di miliardi di dollari vendendo azioni al pubblico, come hanno fatto in passato giganti tecnologici quali Facebook e Google. Altman, 40 anni, imprenditore della Silicon Valley che ha guidato OpenAI attraverso le sue fasi più tumultuose inclusa la propria rimozione temporanea dal consiglio nel novembre 2023 (quando il board lo licenziò per poi riassumerlo dopo appena cinque giorni a seguito di una rivolta interna dei dipendenti), non riceverà partecipazioni azionarie nella società ristrutturata, ribaltando le discussioni avvenute nel 2024 secondo cui avrebbe dovuto ottenere una quota del 7% del valore di oltre 10 miliardi di dollari. La decisione risponde alle critiche di chi aveva accusato OpenAI di deviare dalla propria missione originaria non profit per arricchire i fondatori. Parallelamente la OpenAI Foundation ha annunciato un impegno filantropico iniziale di 25 miliardi di dollari destinato a due aree prioritarie: salute e cura delle malattie (dalla ricerca sui tumori ai vaccini), oltre a soluzioni tecniche per la resilienza contro i rischi informatici legati all’intelligenza artificiale, come ad esempio la protezione da attacchi informatici perpetrati utilizzando sistemi di intelligenza artificiale malevoli.
Le accuse di Elon Musk
Il processo di ristrutturazione ha dovuto tuttavia superare l’opposizione di diversi soggetti. Tra i più agguerriti, Elon Musk, cofondatore di OpenAI che nel 2018 si era allontanato dall’azienda per conflitti strategici (Musk voleva che OpenAI diventasse parte di Tesla, proposta respinta dagli altri fondatori) e che ora guida il concorrente xAI. L’imprenditore sudafricano ha intentato diverse cause legali sostenendo che OpenAI avrebbe tradito la missione non profit originaria trasformandosi in un’azienda commerciale controllata da Microsoft. A marzo un giudice federale ha respinto la richiesta di Musk di bloccare la conversione in società a scopo di lucro, pur lasciando aperta la possibilità di un procedimento accelerato per esaminare nel merito le accuse avanzate da Musk, tra cui presunte violazioni contrattuali e appropriazione indebita.
Cosa rimane della non profit?
Le procure generali della California e del Delaware hanno indagato per mesi su OpenAI, per assicurarsi che le donazioni iniziali ricevute quando era non profit fossero protette e che la sicurezza restasse prioritaria rispetto ai profitti. Rob Bonta, procuratore generale della California, ha dichiarato di aver ottenuto dall’azienda un impegno formale e vincolante secondo cui quei fondi devono essere utilizzati secondo le finalità previste, la sicurezza deve rimanere una priorità e OpenAI deve continuare a operare in California, senza trasferirsi in stati con fiscalità più favorevole. Nonostante questo impegno, Robert Weissman, co-presidente dell’organizzazione non profit Public Citizen, ha espresso forte scetticismo: “Questo accordo rischia di consolidare una leadership incontrollabile all’interno di OpenAI For-profit” Secondo Weissman, infatti, il controllo della fondazione sulla società a scopo di lucro resta soprattutto simbolico, perché non ci sono prove che la non profit abbia mai imposto i propri valori etici o limitato le decisioni commerciali della for-profit.


