Dimenticatevi il cibo nello spazio al quale eravamo abituati, disidratato o termostabilizzato a lunga conservazione: gli astronauti di domani potranno mangiare verdura fresca grazie a delle serre innovative. A mostrare all’Euroflora di Genova il prototipo della serra spaziale dinamica per coltivare piante e ortaggi in orbita realizzata da Space V, spin off dell’Università di Genova, è Franco Malerba, tra i fondatori della startup e primo astronauta italiano ad andare nello spazio, a bordo dello Space Shuttle Atlantis il 31 luglio del 1992, per un la missione Sts-46, che vedeva la collaborazione tra la Nasa e l’Asi (Agenzia Spaziale Italiana). Si parla sempre più spesso di ritorno sulla Luna (pensiamo al programma Artemis), e dell’ambizioso progetto che vedrebbe entro il 2030 l’uomo in pianta molto più stabile su quel suolo che fu toccato per la prima volta nel 1969 da Neil Armstrong. In questa prospettiva, avere a disposizione cibo fresco potrà fare davvero la differenza per le missioni di lunga permanenza: “Fino a oggi gli astronauti si sono nutriti di cibo portato da terra, disidratato e termostabilizzato, privo di vitamine fresche, perché è un cibo che deve durare mesi, stoccato gradatamente a bordo. Ora però ci stiamo preparando al ritorno alla Luna, a un utilizzo più vasto delle stazioni spaziali orbitanti, anche per attività commerciali, non più solo per la pura di ricerca – spiega a Wired Franco Malerba – Quindi, si sta allargando la domanda di cibo fresco utile alla salute e al nutrimento degli astronauti“.
Risparmio energetico e resa maggiore
L’Adaptive Vertical Farm (AVF) è il nome della tecnologia brevettata da Space V e si tratta di una serra a struttura multipiano dinamica, che è in grado di adattarsi alla crescita delle piante, raddoppiando la resa produttiva rispetto alle serre verticali tradizionali (si parla di una produzione delle piante per unità di volume che segna in media un +108%, fino a un massimo di 135%). Ma non c’è solo questo aspetto. Rispetto a una serra a scaffali fissi dello stesso volume si ottiene anche un risparmio energetico fino al 43%. Nello spazio (anche se suona un po’ cacofonico a dirsi) lo spazio è prezioso. Anche se ci si trova nelle grandi vastità del cosmo infatti, quello a disposizione per la vita degli astronauti è sempre limitato: “In un contesto del genere una serra compatta come questa, con una resa elevatissima, è un vantaggio fondamentale – aggiunge Malerba – Poiché andiamo a condizionare solo lo strato immediatamente vicino alla pianta, avvicinando i ripiani quando la pianta è appena seminata, riduciamo la quantità di energia necessaria per la sua crescita. Sono due elementi che la rendono particolarmente virtuosa in ambito spaziale”. Inoltre, sarà possibile avere anche coltivazioni diverse nei ripiani, tipo pomodorini e rucola, permettendo una maggiore varietà nel menù di bordo. Tutto ciò è realizzato dotando ogni scaffale di un sistema di micro-condizionamento indipendente.
I limiti sono quelli imposti dal volume: non saranno piante ad alto fusto, ma relativamente piccole, anche se il nuovo trend è quello dei micro ortaggi: “Si tratta di piante che normalmente sarebbero destinate a crescere molto ma che vengono invece raccolte nella loro prima fase quando hanno appena sviluppato le prime foglie che sono ricche di materiali antiossidanti. Ci sono scienziati che stanno studiando questi aspetti e sono nostri interlocutori nello sviluppo del progetto. Ad esempio, si è scoperto che anche il tipo di luce, il colore e l’intensità, sono importanti nella crescita di alcune piante per avere un maggiore apporto di vitamina C” precisa il primo astronauta italiano.
L’innovazione dell’azienda non è tanto il fatto di coltivare in microgravità (che è già stato sperimentato negli anni) ma di farlo in maniera più intelligente risparmiando spazio ed energia, massimizzando la produzione. Se il prototipo presentato a Euroflora è stato pensato per la Stazione Spaziale Internazionale, lo sguardo guarda anche alle stazioni commerciali (anche private), per ritagliarsi un ruolo di rilievo nella new space economy. I viaggiatori spaziali commerciali a bordo delle stazioni in orbita terrestre bassa (LEO), ne sono convinti da Space V, cercheranno comfort simili agli hotel sulla Terra, e avere o meno cibo fresco, diventerà un plus competitivo per i passeggeri paganti.
Non si tratta solo di cibo nello spazio
C’è poi anche un aspetto psicologico: “Gli astronauti sono isolati, lontani dalla Terra, e sentono la mancanza della natura: avere a disposizione delle piante che crescono, qualcosa di vivo, può fare bene allo spirito – racconta Malerba – C’è ad esempio la storia dell’astronauta Scott Kelly che aveva preso a cuore una pianta di zinnia che stentava a crescere nella serra della Stazione Spaziale Internazionale. L’ha curata con impegno, esponendola ai raggi solari, ravvivandola. Avere delle piante a bordo vuol dire non solo avere un alimento sano ma dare la possibilità agli astronauti di svolgere attività piacevoli”.