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venerdì, Nov 01

Cina, cosa succede ora che ha la più grande rete 5G al mondo


Cinquanta città connesse con le reti di quinta generazione mostrano il primato di Pechino nelle telecomunicazioni. Ecco i prossimi passi per mantenere il dominio

Lo stand di Huawei al Mobile World Congress di Shanghai (foto: Qilai Shen/Bloomberg via Getty Images)
Lo stand di Huawei al Mobile World Congress di Shanghai (foto: Qilai Shen/Bloomberg via Getty Images)

Il messaggio tra le righe è chiaro: il 5G è dominio della Cina. Mentre le compagnie telefoniche del Dragone annunciano che dal primo novembre i quartieri di cinquanta città saranno collegati in 5G, creando quella che viene indicata come la rete mobile di quinta generazione più grande al mondo, Pechino sventola il vantaggio ormai consolidato sulle altri grandi potenze globali nella corsa alla nuova era delle telecomunicazioni.

Sebbene il Paese di mezzo non sia stato il primo al mondo ad accendere il 5G, preceduto dal testa a testa tra Stati Uniti e Corea, il lancio commerciale in megalopoli come Shanghai e Pechino, ma anche Shenzhen, Hangzhou e Guangzhou, anticipato al primo novembre 2019 rispetto al debutto nel 2020, riporta la Cina in testa alla corsa. “I cinesi sono quelli più avanti di tutti sul 5G e questo è il risultato”, commenta Plinio Innocenzi, docente dell’università di Sassari e per otto anni consigliere scientifico dell’ambasciata italiana a Pechino.

I numeri

China Mobile, China Telecom e China Unicom, le aziende protagoniste di questo debutto, contano di investire 48,7 miliardi di euro per lo sviluppo del 5G solo quest’anno. Ad assorbire le risorse sarà soprattutto la costruzione di una fitta rete di antenne. In due mesi le attuali 86mila stazioni basi lieviteranno a 130mila. Di queste, 50mila serviranno il leader di mercato, China Mobile, e 40mila a testa le altre due compagnie. China Unicom passerà da 14 a 40 città coperte dal segnale, a sei mesi dal rilascio delle licenze 5G da parte del governo. Entro il 2020 Pechino conta di raggiungere 300 città abilitate.

A sostenere lo sviluppo sono i due campioni cinesi del settore, Zte e Huawei. Quest’ultima, ricorda Innocenzi, “ha un vantaggio da sei mesi a un anno sui concorrenti occidentali”. “Questa è la prima volta – prosegue il docente – in cui la Cina è davanti agli altri paesi in un settore tecnologico”. Complici anche i prezzi concorrenziali delle tecnologie, perché le aziende di Pechino, calcola il docente, “offrono il 5G a un prezzo inferiore del 30% rispetto a quelle europee”.

Per Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano in Cina, l’annuncio non è solo simbolico. Con metropoli come Shenzhen (uno degli anelli della Greater Bay Area, l’epicentro tecnologico della Cina) collegate in 5G, la digitalizzazione dei servizi subirà un’accelerazione. “I piani delle utility per digitalizzare le infrastrutture di rete sono impressionanti”, osserva l’accademico. E, aggiunge, “il prossimo passo sarà una internet of things su larga scala, per esempio nella gestione del traffico.

Per Innocenzi ora il prossimo traguardo sarà raggiungere il primato degli abbonamenti 5G. “E non è detto che la Cina sia davanti”, commenta. Tuttavia Pechino parte da una posizione privilegiata. A settembre già dieci milioni di cinesi avevano sottoscritto offerte 5G. E secondo Tim Hatt, a capo della ricerca del centro studi di Gsma, l’associazione mondiale degli operatori di reti mobili, “la Cina avrà il 36% della propria base clienti mobili su 5G entro il 2025”, che a conti fatti sono 600 milioni di persone, il 40% del mercato globale delle reti di quinta generazione per allora. Le offerte dei tre operatori in campo vanno dai 16-18 euro al mese a un massimo di oltre settanta.

Balzo in avanti

Per Hatt questa migrazione avrà due effetti benefici per Pechino. Primo: darà carburante a tutta la filiera domestica del 5G, dai fornitori di rete ai costruttori di chip (l’anello debole dell’economia informatica del Dragone). Secondo: drenerà risorse verso le tecnologie che il 5G rende più efficienti, come intelligenza artificiale e machine learning. Secondo un recente studio della società di telecomunicazioni Ericsson e del gruppo di consulenza aziendale Arthur D. Little, entro il 2030 il solo 5G industriale muoverà un giro d’affari di 700 miliardi di dollari per gli operatori.

Per Innocenzi ora “è fondamentale che la Cina mantenga l’accesso ai mercati esteri”, perché la prova muscolare sul 5G è pur sempre basata sulla dipendenza dai semiconduttori esteri, tanto che di recente è stato varato un fondo nazionale da 29 miliardi di dollari per colmare il divario. Pechino è riuscita ad accappararsi la fornitura di telecomunicazioni a potenze straniere, come la Russia, o lungo l’asse della nuova via della seta, e i suoi due campioni, Zte e Huawei, accumulano sempre più appalti (la prima ha superato i 25, ha confermato a Wired, la seconda è oltre i 60).

Neppure le barriere alzate dall’Unione europea sembrano un grosso ostacolo, visto che l’azionista di peso, Berlino, ha adottato regole più elastiche. Anzi, per la società di analisi di mercato John Strand, questo fenomeno dovrà avere sulle telecomunicazioni lo stesso effetto che i regolamenti anticorruzione e antiriciclaggio hanno avuto sulle banche: più personale dislocato ad analizzare i rischi di sicurezza informatica. Con la strada spianata e un primato tecnologico senza precedenti, la Cina non vuole rallentare la corsa. Tanto che per la società di revisione contabile Ernst & Young, fino al 2025 le imprese di telecomunicazioni del Dragone investiranno fino a 223 miliardi di dollari per difendere lo scettro.

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