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giovedì, Apr 08

Clarice soffre l’assenza di Lecter



Da Wired.it :

La serie ispirata ai romanzi di Thomas Harris e spin-off del Silenzio degli innocenti, è meglio del solito procedurale ma fallisce nel soddisfare le proprie ambizioni a essere qualcosa di più

Non è un caso che Clarice, il sequel e spinoff televisivo del seminale thriller psicologico del 1991 Il silenzio degli innocenti debutti questo 9 aprile proprio su Rai2, il canale dei “procedurali in chiaro” come Criminal Minds, Ncis e così via. La serie incentrata su Clarice Starling, la recluta dell’Fbi che con l’aiuto dello psichiatra cannibale Lecter era riuscita a scovare il serial killer Buffalo Bill nel film di culto ispirato ai romanzi di Thomas Harris si iscrive nel genere poliziesco dai risvolti psicologici e i toni dark (ma non tanto da fargli perdere il visto della censura “per tutti”) di cui Csi – Scena del crimine è il più illustre rappresentante sul piccolo schermo.

Clarice è ambientato nel 1993, alcuni mesi dopo le imprese dell’assassino seriale che rapiva ragazze robuste per scuoiarle, alla fine fermato da una recluta inesperta nel film di Jonathan Demme. Nella serie, salvando l’ultima vittima di Bill, la Starling si è guadagnata il favore del Procuratore generale degli Usa Ruth Martin, che la inserisce in una task force specializzata in crimini violenti, il Vicap, composta da un cecchino, un analista e un “rivelatore di bugie”; il loro capo è proprio quel Paul Krendler (Michael Cudlitz di Southland) a cui Clarice aveva soffiato la gloria della cattura del serial killer, un uomo pratico e piuttosto diffidente circa l’equilibrio psicologico dell’ultima arrivata.

Clarice parte bene, con un episodio pilota dedicato al ritrovamento dei cadaveri di alcune donne straziate da morsi (citazione da Drago rosso, il romanzo di Harris precedente Il silenzio degli innocenti): la regia fa un lavoro decoroso nel ricreare le atmosfere angoscianti e fosche del film di Demme, indugiando sui particolari più raccapriccianti dei delitti e trasformando la caccia al killer nel pretesto per sezionare la psiche della traumatizzata della Starling. Clarice è la protagonista assoluta dello show, una donna introversa, timida, perseguitata da demoni interiori, reduce da un trauma – quello della discesa infernale nel covo di Buffalo Bill – che la perseguita in forma di incubi, allucinazioni, e la visione ricorrente delle falene sfinge testa di morto di Il silenzio degli innocenti.

La riuscita della serie è tutta addossata al personaggio e alla sua interprete, l’australiana Rebecca Breeds di Pretty Little Liars, cui tocca l’ingrato compito di ereditare il ruolo che fu dell’inarrivabile Jodie Foster incarnando questa creatura fragile, sommessa, traumatizzata, spaventata e ipersensibile e al tempo stesso risoluta, animata da un’incessante rabbia repressa. È una impresa ardua, e la Breeds fa del suo meglio per essere all’altezza con buoni risultati. Lo showrunner Kurtzman dimostra proprio tramite lei che la parte più riuscita dello show è quella del thriller psicologico, non solo quando affonda nella psiche di Clarice ma anche quando approfondisce l’analisi del trauma su di lei, su Catherine e sull’ex senatrice Martin, le sopravvissute a Buffalo Bill.

Emblematico, teso e disturbante è il confronto tra le tre (in una scena che ricorda l’ultima cena di Lecter e Bedelia in Hannibal); a partire dalla senatrice, che dal rapimento della figlia si è ritagliata una folgorante carriera, passando per Clarice fino a Catherine, quasi impazzita dopo le sevizie. A volte, la rappresentazione della Starling fatta dagli sceneggiatori rasenta ridicolmente la glorificazione (quasi l’agiografia dell’eroina stoica e senza macchia), in più la responsabilità di rendere interessante la serie senza Hannibal Lecter è soverchiante: l’assenza del geniale mentore – solo implicitamente citato nello show – è assordante.

Clarice funziona nell’ottica del procedurale da network (ovvero, da canale nazionale) declinato nella “caccia all’assassino”, anzi in questo senso è sopra la media; tuttavia allo showrunner Alex Kurtzman (Fringe, Star Trek: Discovery), mancano le possibilità di farne una serie ai livelli del film di Demme e di Hannibal. La superba serie di Brian Fuller (chissà cosa sarebbe riuscito a cavarne fuori lui se avesse prodotto Clarice, come da progetti iniziali) dall’iconografia indimenticabile, ha goduto di una fortunata combinazione: come Twin Peaks, vantava un creatore visionario ed era prodotta da una casa europea, la francese Gaumont (francofona pure la Ciby 2000 che finanziò il cult di David Lynch e Mark Frost), disposta ad accollarsi tutti i rischi, il che permise a uno show ostico e adulto di approdare a un network.

Clarice soffre, come anticipato, dei limiti imposti dalle reti in chiaro – nello specifico, la Cbs di Csi – Scena del crimine – che adeguano l’intreccio e la messa in scena agli standard per famiglie, ma aspira comunque a confezionare lo show con l’audacia narrativa e la potenza visiva dei due capolavori precedenti, ritrovandosi, dopo l’efficace pilota, costretto nella gabbia dell’estetica e dell’intreccio da procedurale. Questo si manifesta già dal secondo episodio, quando la narrazione devia di punto in bianco dall’arco narrativo della prima puntata che fa da trama orizzontale verso un caso in stile southern gothic (in un tentativo poco riuscito di evocare True Detective) per poi trasformarsi, col terzo episodio tutto incentrato sull’interrogatorio  di un sospettato alla Law & Order: Criminal Intent, e infine riallacciarsi al plot principale, nei toni del thriller psicologico. Più intrigante del solito procedurale ma (molto) meno pregiato dei cult che mirano a emulare, i dieci episodi di Clarice meritano tutto sommato un’occhiata.

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[Fonte Wired.it]