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venerdì, Dic 27

Coltivare quantità minime di cannabis a casa non è più reato


La corte di Cassazione, con un pronunciamento del 19 dicembre, di cui però non si conoscono ancora i dettagli, ha stabilito che chi coltiva cannabis in casa, in piccole quantità e per uso personale non commette più un reato

(foto: Getty Images)

Non è reato, secondo le sezioni unite penali della Corte di Cassazione, coltivare cannabis in casa in piccole quantità e per uso personale. Si tratta di una sentenza storica – arrivata lo scorso 19 dicembre e di cui non si hanno ancora le motivazioni che dovranno essere depositate – che, per la prima volta, come spiega l’Agi, permette la coltivazione domestica senza nessuna pena in virtù delle “rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante ed il modesto quantitativo di prodotto ricavabile” che “appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore“.

Va precisato tuttavia che, oltre a mancare i dettagli della decisione, in ogni caso la legge in vigore non viene modificata. La sentenza potrebbe però avviare un nuovo binario giurisprudenziale nel trattamento di casi similari nel nostro paese. La decisione in questione, infatti, è vincolante solo in merito a un ricorso presentato lo scorso ottobre – una persona che aveva fatto ricorso in Cassazione per l’annullamento di una condanna che riguardava la coltivazione di due piante di marijuana – e per il quale è stata pronunciata. Ma resta la possibilità, vista l’autorevolezza delle sezioni unite nell’ordinamento italiano, che si possa decidere in maniera simile in futuro.

Inoltre, occorre chiarire un altro punto: la cannabis in questione non è quella light di cui invece si è discusso ultimamente soprattutto in merito alla manovra economica 2020. L’emendamento stralciato – per “estraneità alla materia” – voleva di fatto consentire l’uso di cannabis il cui contenuto di tetraidrocannabinolo (Thc) fosse inferiore allo 0,5 per cento e la cui coltivazione è già peraltro prevista dalla legge 242 del 2016. L’emendamento voleva regolamentare il commercio, già possibile in ma con molti limiti e divieti. Sulla cannabis light la Cassazione si era già pronunciata più volte durante quest’anno. Come vi avevamo spiegato, a maggio la suprema corte aveva sancito che la legge non consente la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti “derivati della cannabis” come l’olio, le foglie, le infiorescenze e la resina. A luglio poi aveva fissato le motivazioni di questa sentenza: nella vendita occorre verificare non è la percentuale di principio attivo, ma l’idoneità “in concreto” a produrre un “effetto drogante“.

Il pronunciamento della cassazione, in questa sentenza, riguarda la tipologia di coltivazione – casalinga e minima – piuttosto che il tipo di pianta o il principio attivo contenuto. Una decisione che va in senso contrario rispetto a quanto stabilito finora, soprattutto nel 2008 quando aveva deciso proprio il contrario: è sempre reato la coltivazione domestica di piantine di cannabis, anche per uso personale. Anche la Corte costituzionale, intervenuta più volte sul tema, ha sostenuto la stessa cosa marcando una linea netta, seguita finora essenzialmente dalla giurisprudenza. “La condotta di coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti” secondo la Consulta sarebbe da “valutarsi come pericolosa, ossia idonea ad attentare al bene della salute dei singoli per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima e quindi di creare potenzialmente più occasioni di spaccio di droga“.

Quindi, cosa cambia?

La Cassazione sostiene quindi la tesi per cui il bene giuridico della salute pubblica non viene pregiudicato o messo in pericolo da chi assume marijuana dopo averla coltivata per il suo uso personale. I kit per la coltivazione dei semi di cannabis sono poi ormai parecchio diffusi, al punto che si possono trovare e acquistare anche online. Il rischio, finora, era quello di incorrere in problematiche legali in quanto a livello giuridico non c’era mai stata un’apertura simile. Nell’attesa delle motivazioni della pronuncia del 19 dicembre, non resta che constatare un ribaltamento del principio fin qui stabilito.

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