Seleziona una pagina
giovedì, Dic 24

Come farà Twitter senza Donald Trump?



Da Wired.it :

È una domanda lecita: dopo quattro anni vissuti pericolosamente (e approfittando della sua enorme visibilità), la creatura di Jack Dorsey deve prepararsi a un futuro senza il suo utente più famoso

Sarà difficile scordarsi delle centinaia di assurdi, offensivi, ridicoli, minacciosi, complottisti (l’elenco potrebbe proseguire) tweet di Donald Trump. Un fuoco di fila talmente imponente – Trump posta in media 36 volte al giorno – che qualcuno ha ritenuto fosse il caso di raccogliere i migliori (nel senso di peggiori) in apposite classifiche, mentre altri hanno tenuto traccia di tutte le persone, luoghi e cose che Trump ha insultato su Twitter (è una lista molto lunga).

Ma non c’è certo bisogno di andare a cercare una classifica per ricordare i suoi tweet più noti, come quello in cui si spiegava che “nonostante tutta la stampa negativa covfefe. Un termine privo di alcun senso, che fa pensare che Trump si sia addormentato sulla tastiera e che si è conquistato la sua pagina Wikipedia, ha dato il nome a una proposta di legge e ha rischiato di dar vita a nuove teorie del complotto (ogni scusa è buona per lanciare una teoria del complotto, no?).

Altri tweet li ricordiamo con meno simpatia: minacce di sparare ai manifestanti a causa di alcuni saccheggi o di reagire con misure “sproporzionate” in caso di attacchi dall’Iran, aver sostenuto che i Clinton fossero coinvolti nel suicidio di Jeffrey Epstein, aver diffuso tesi senza fondamento sul coronavirus e ovviamente – da ultimo – aver utilizzato Twitter come piattaforma per sostenere a ripetizione, senza alcun fondamento, di aver “vinto le elezioni” (“BY A LOT!”, ovviamente) e di essere stato vittima di terribli brogli.

Tra insulti, minacce e teorie del complotto che hanno ripetutamente violato il codice di condotta previsto da Twitter, una domanda che ci si è posti spesso è per quale ragione il social network non abbia sospeso o direttamente messo al bando Donald Trump. La ragione ufficiale, come noto, è che in quanto presidente degli Stati Uniti, Trump gode della speciale esenzione (probabilmente creata su misura) che riguarda “leader mondiali, candidati e funzionari pubblici”.

Ed è per questo che i suoi tweet più controversi, invece di venire cancellati o di portare a una sua messa al bando, sono invece stati oscurati (restando visibili a chi scegliesse l’apposita opzione) o hanno ricevuto un bollino che ne ha sottolineato la dubbiosità o falsità (è il caso dei tweet sui brogli). In questo modo, Trump ha potuto continuare a spargere falsità e minacce su Twitter. Ma c’è un problema: il 20 gennaio Joe Biden giurerà da presidente degli Stati Uniti e, subito dopo, Trump perderà la speciale esenzione che l’ha reso fino a oggi impunito. 

Che cosa succederà a quel punto? Davvero Twitter metterà al bando il suo utente più famoso? “La piattaforma si trova in un vicolo cieco”, ha scritto per esempio l’Atlantic. “Bannare Trump dopo che avrà lasciato la Casa Bianca verrebbe interpretato come un’aggressiva azione politica da buona parte della destra. Potrebbe condurre lui e i suoi seguagi su altre, più isolate, zone di internet, dove i deliri e le menzogne non verrebbero più monitorati a livello mainstream. Ma permettergli di continuare a diffondere una pericolosa disinformazione sarebbe ipocrita e, francamente, negativo per l’immagine dell’azienda”.

Anche per Donald Trump essere messo al bando da Twitter sarebbe una botta non da poco: significherebbe perdere il suo social network prediletto, dove ha accumulato qualcosa come 88,5 milioni di follower e dover ricostruire questa immensa platea altrove, da zero, senza neanche il beneficio di farlo da una posizione di potere unica. Il rapporto tra Trump e Twitter è però a doppio senso. Tanto che, più che chiedersi come potrebbe fare Trump senza Twitter, è forse necessario capire come farà Twitter senza Trump nelle vesti di inquilino della Casa Bianca.

Riavvolgendo il nastro fino al 2016, si capisce quanto sia stata straordinaria l’importanza dell’attuale presidente degli Stati Uniti per il social network fondato da Jack Dorsey. In quel periodo, nel quartier generale di San Francisco regnava la confusione: la base utenti non cresceva, i conti erano in rosso e soprattutto non si avevano nemmeno le idee chiare su cosa Twitter fosse. Era la fase in cui la piattaforma stava cercando di cambiare pelle: non più un vero e proprio social network su cui partecipare attivamente, ma un luogo dove seguire i propri interessi, anzi un “secondo schermo” tramite il quale discutere dei propri show e programmi preferiti, anzi una piattaforma video dove guardare le partite

Nulla di tutto ciò ha funzionato, al punto che Twitter cercò pure, senza successo, di essere acquistata. Disney si tirò indietro a causa della fama del social network di regno delle molestie online, e anche Salesforce lasciò perdere. “Niente di ciò che Twitter sta provando a fare sta funzionando”, titolò addirittura The Verge. E poi giunse il più improbabile dei salvatori, armato di una retorica incendiaria, di molti nemici, di fan scatenati e – nel giro di pochi mesi – di una prestigiosa carica politica. Arrivò Donald Trump.

“La presidenza Trump potrebbe aver salvato Twitter”, scrive OneZero. “Un presidente la cui candidatura è stata alimentata da teorie del complotto diffuse su Twitter e dall’hashtag MAGA è giunto ad affidarsi a questa piattaforma anche come linea diretta con il pubblico e i sostenitori. Ha permesso a Trump di aggirare non solo i media tradizionali, ma anche lo stesso apparato comunicativo della Casa Bianca (…). Tutto ciò, a sua volta, ha dato vita una ‘resistenza’ online, tramite la quale la sinistra cercava di fronteggiare Trump sul suo stesso terreno digitale”.

Twitter è diventato il centro nevralgico della “guerra culturale” in atto, il punto di riferimento online tanto per movimenti come #MeToo o Black Lives Matter, tanto per i troll e i complottisti di estrema destra a cui il piccolo mondo di 4chan o 8chan (adesso 8kun) iniziava ad andare stretto. Se la politica è sempre stata centrale per Twitter, l’avvento di Trump è stata una costante, immensa pubblicità che ha reso il social network il centro globale della discussione pubblica, quotidianamente citato, screenshottato e linkato dai più grandi mass media del mondo.

I risultati si sono visti: a metà del 2016 Twitter era valutato meno di dieci miliardi di dollari; oggi ha raggiunto quota 44 miliardi. Gli utenti (quotidiani) hanno preso a crescere con una rapidità che non si era mai vista prima, passando dai 109 milioni del primo trimestre 2017 ai 187 di oggi. Soprattutto, Twitter ha iniziato a essere una società con i conti in attivo e ha ritrovato la sua più spontanea vocazione, abbandonando – anche grazie al ritorno in sella di Jack Dorsey – la visione di medium passivo e di massa abbracciata da Dick Costolo (che ha lasciato l’incarico da CEO nella seconda metà del 2015).

Nello stesso periodo, va detto, Twitter ha anche deciso di fare un cambiamento alla radice, inserendo la timeline algoritmica laddove fino a poco fa era stato presente solo l’ordine cronologico. “Questo non solo ha potenziato l’engagement, ma probabilmente ha anche amplificato le dinamiche di polarizzazione e sensazionalismo”, prosegue OneZero. “In effetti, sembra probabile che il successo di Trump e della timeline algoritmica siano intrecciati: uno ha rafforzato l’altro”. Secondo un recente studio, per esempio, Trump e i venti suoi supporter più popolari sono da soli responsabili da soli del 20% della disinformazione relativa alle elezioni circolata su Twitter. 

Non sarà facile fare a meno di tutto ciò, nel bene e nel male. Qualunque cosa succeda, Twitter deve prepararsi a un futuro senza Trump: qualora decida davvero di bannarlo, potrebbe spingerlo nelle braccia di aspiranti concorrenti come Parler assieme al suo esercito di seguaci. Come si è però già visto in passato, respingere in un social di nicchia gli estremisti – anche quelli più famosi – non fa automaticamente uscire dalla nicchia i social che decidono di ospitarli. Anzi, in alcuni casi questa scelta ha avuto l’effetto positivo di privarli dell’enorme visibilità sui social mainstream, facendoli cadere nel dimenticatoio.

Ma se anche decidesse di tenerlo a bordo, dovrà comunque fare i conti con un Trump che non è più presidente e che di conseguenza, pur con i suoi fan e la sua retorica incendiaria, riceverà molta meno attenzione a livello globale. In poche parole, decidere di rimuoverlo potrebbe non essere una tragedia, ma decidere di tenerlo non garantisce la salvezza. E forse non è un caso che proprio in questo periodo Twitter stia lanciando nuove funzioni. Si stia, in un certo senso, preparando a un futuro senza Donald Trump.

La prima novità è tutto tranne che rivoluzionaria: sono i Fleet, vale a dire le Stories anche su Twitter. Non una grande innovazione, ma sicuramente una dimostrazione di quanto Twitter non voglia arrendersi a essere un social network consumato passivamente. La seconda novità è invece rappresentata dall’imminente Spaces, che segue la moda dei “social network solo audio” (com’è il caso di Clubhouse) e permette di creare delle stanze in cui discutere (su invito) degli interessi comuni e magari scambiare quattro chiacchiere con qualche celebrità.

Funzionerà tutto ciò? Difficile a dirsi. Fino a oggi, qualunque tentativo di Twitter di cambiare la sua natura fondamentale di social network “dove seguire le notizie”, frequentato assiduamente e attivamente solo da un’importante nicchia di politici, giornalisti, celebrità ed esperti di comunicazione ha avuto ben poco successo. Per quanto possa essere stato difficile da gestire, e per quanti mal di testa abbia causato a Jack Dorsey, non ci sono dubbi che Donald Trump sia stato una manna per Twitter. Finiti questi quattro anni di grazia ricevuta, in cui non casualmente ha potuto premere il tasto pausa su tutti i tentativi di evoluzione, Twitter sembra trovarsi nuovamente alle prese con la sua annosa crisi esistenziale. Riuscirà a superarla definitivamente?

Potrebbe interessarti anche





[Fonte Wired.it]