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sabato, Dic 05

Come i Musei Vaticani sono diventati la patria degli influencer



Da Wired.it :

Non solo Ferragnez: da tempo il Vaticano ha abbracciato la svolta del marketing social, con risultati incoraggianti. E ai Musei Vaticani oggi interessa una sola conversione, quella degli influencer. Ma siamo sicuri che funzionerà a lungo?

Esiste un prima e un dopo coronavirus anche per i Musei Vaticani. Fra le istituzioni più prestigiose al mondo, i palazzi che custodiscono la Cappella Sistina e le Stanze di Raffaello da qualche mese hanno a cuore una sola conversione: quella degli influencer. È quanto avrebbe suggerito Papa Francesco all’inaugurazione del Museo etnologico Anima Mundi: Aprite le porte dei Musei Vaticani! Le collezioni polverose non servono a nulla!”. L’invito è stato preso alla lettera, anche se il Papa si riferiva ai poveri (come ha spiegato lui stesso nel libro La mia idea di arte: “I Musei Vaticani sono la casa di tutti, le loro porte sono sempre aperte a tutti” rivolgendosi ai senzatetto di Roma) ma si sa, in tempi di vacche magre, un’istituzione con un giro d’affari di centinaia di milioni di euro deve pur provvedere al break-even e tanto vale evangelizzare: non secondo la Bibbia stavolta, ma con i sacri libri del marketing.

Le chiusure del primo lockdown e l’assenza di visitatori per la pandemia hanno reso i Musei Vaticani più vulnerabili. Secondo il rapporto del Theme Museum Index, con oltre 6 milioni di visitatori annuali, nel 2017 erano secondi solo al Louvre, a livello europeo. Ridotti drasticamente gli ingressi dopo il lockdown, oggi è difficile calcolare quanti visitatori serviranno a ripagare le spese di gestione del polo vaticano: è stato calcolato che, dal 1 giugno, l’affluenza si è ridotta del 90% rispetto ai tempi pre-pandemia e pesano le chiusure, come quella attuale, in vigore fino al prossimo gennaio.

Questi dati rivelano due aspetti: il primo è che oggi i Musei Vaticani sono mediamente vuoti; il secondo è che finora gran parte del loro peso istituzionale era nelle mani dei turisti stranieri. Per questo, l’allentamento delle misure di lockdown a maggio scorso è stata l’occasione propizia per stimolare il turista italiano a scoprire un museo sconosciuto agli italiani. Miracolo? Sì, ma non scomodiamo i santi: c’entra una strategia di influencer marketing studiata a tavolino. Con quest’ultima i Musei Vaticani hanno strappato biglietti a visitatori giovanissimi, con un range di età fra i 14 e i 26 anni. Per alcuni, accostare gli influencer alla Cappella Sistina è un sacrilegio. La polemica del tour privato di Estetista Cinica, al secolo Cristina Fogazzi, tanto quanto le foto dei Ferragnez a giugno scorso, lo dimostrano. Ma, messi da parte i casi eclatanti, basta addentrarsi tra i feed di svariati account Instagram per scoprire che i Musei Vaticani non hanno lasciato nulla al caso, e gli influencer invitati in Vaticano sono una vera e propria legione al servizio della comunicazione.

Tutto è iniziato in un tardo pomeriggio di sabato 30 maggio. Due giorni prima della riapertura ufficiale, un gruppo di influencer romani è stato invitato per un tour esclusivo: la conduttrice Daniela Collu, la beauty influencer Diana del Bufalo, Carolina Venosi, founder dell’instaguida Rome is More, Matteo Acitelli, founder di Igersroma, Erica Firpo, fondatrice della piattaforma Issimo, il travel blogger Andrea Petroni, Diego Thomas, host del programma tv Cortesie per gli ospiti, la blogger Cecilia Cozzoni, e Darius Arya, un archeologo con 98.800 follower, particolarmente gettonato fra gli americani residenti a Roma. Un gruppo iperpop con sulle spalle un totale di oltre 2 milioni di follower. Agli influencer è stato offerto un ingresso gratuito in cambio di visibilità sui loro profili social. Uno scambio in sintonia con la mission dei Musei. Se n’era accorta, in tempi non sospetti, Costanza Esclapon, direttrice della Comunicazione e relazioni esterne della Rai, che nel 2015 aveva definito i Musei Vaticani come “l’unico museo che ha questo modo di comportarsi: come una brand company”. Una formula semplice, che già monsignor Paolo Nicolini, vicedirettore gestionale amministrativo dei Musei, aveva applicato ad altri media: “Perché devo pagare la pubblicità? Il modo migliore è trovare un accordo. Tu mi dai qualcosa, io ti do qualcosa” diceva allora

La strategia è sottile: il feed Instagram di Vatican Museums resta pulito – cioè non contaminato da post che rimandano agli influencer – ma le foto vanno a finire nella sezione “tag” dell’account. Senza averlo sperimentato, i Musei Vaticani hanno capito che fare un post ad hoc sul proprio account avrebbe potuto attirare critiche, come è successo a un’infelice caption della Galleria degli Uffizi, dove Chiara Ferragni in pausa da un servizio fotografico è paragonata alla Venere di Botticelli: un eccesso di tone of voice che i follower del museo fiorentino non hanno sempre apprezzato.

Aver corteggiato un pubblico giovane, meno erudito e più digitale ha avuto un riscontro positivo: già le prenotazioni ai Musei Vaticani nel weekend dal 30 al 31 maggio hanno pareggiato quelle registrate nelle due settimane precedenti, con un’età dei visitatori compresa fra i 15 e i 45 anni. E grazie agli influencer, oggi l’account Instagram Vatican Museums può contare su 100mila follower: cifre importanti per un profilo aperto meno di un anno fa.

A giugno, venuti meno i divieti nello spostamento tra regioni, i Musei si sono rivolti a un pubblico più vasto. Con Chiara Ferragni e Fedez e i loro video su Instagram e Tik Tok, i Musei Vaticani sono diventati trend topic su Google per diversi giorni.

Quando gli uffici stampa gestiscono la comunicazione di celebrità e influencer, il passaparola è un effetto domino. Così, è stata la volta delle attrici Isabella Ferrari e Ludovica Bizzaglia, che non hanno rinunciato a farsi immortalare davanti al Giudizio universale accompagnate dal clavigero: un must-have nelle visite dedicate alle star dei social. Ai testimonial viene consentito l’ingresso un’ora prima della chiusura, poi è permesso di rimanervi un’ora dopo per godere appieno delle sale vuote.

E così andare ai Musei Vaticani è diventato cool. Anche Sky non si è fatta sfuggire l’occasione: a Roma per le audizioni, i giudici di XFactor Manuel Agnelli, Emma Marrone, Mika ed Hell Raton, insieme al conduttore Alessandro Cattelan, hanno visitato le sale al tramonto e riempito i loro feed Instagram. Nei mesi successivi, la sovraesposizione social dei Musei è aumentata con inviti e tour esclusivi a ripetizione: Lodovica Comello, Francesca Crescentini, Roberto Bolle, Francesca Chillemi, Tommaso Paradiso, Frank Matano, Max Pezzali, Salvatore Esposito, per citarne alcuni. Per alzare l’asticella, i Musei hanno anche strizzato l’occhio alla Spagna, con Ester Exposito, giovane attrice delle serie Netlfix Vis a vis ed Elite, e seguitissima sul web. Ventiquattr’ore dopo aver postato una storia su Instagram, l’account Vatican Museum ha guadagnato 4mila follower e, nei giorni seguenti, sono aumentati anche i visitatori spagnoli.

I risultati di questa strategia di comunicazione hanno un comune denominatore: il tasso di conversione, cioè la capacità di un influencer nel convincere potenzialmente i suoi follower a compiere un’azione. 

In questo momento di crisi, la popolarità dei social può limitare le perdite economiche nel breve termine. Ma siamo sicuri che questa strategia possa funzionare nel lungo periodo? Chi si occupa della comunicazione social dei Musei Vaticani critica quegli “specialisti che nel tempo hanno completamente perso la capacità di raccontare lo stupore, accantonandolo in un angolo per far posto a nozioni, teorie e gelide infrastrutture linguistiche”. È lecito, però, anche chiedersi se questa sovraesposizione mediatica, tradotta da filtri Instagram dove l’opera d’arte non è il soggetto, ma lo sfondo artistico di un ego in perenne primo piano, non rischi di fare dei musei uno spazio di consumo trendy e alternativo. Parlando del Dallas Museum of Art, il direttore Augustín Arteaga su Vox ha ricordato che nei musei “tutto inizia con l’essere liberi” perché questi luoghi intercettano “un senso di appartenenza, che è spesso tramandato dai genitori ai figli”.

Ben venga la contaminazione pop, come il videoclip di Beyoncé e Jay-z al Louvre, per citarne uno mainstream. Ben vengano anche lo stupore e l’emozione, purché siano seguiti dalla conoscenza. Visitare un museo non è scegliere il setting per una foto o perdersi nel panorama mozzafiato in cima al Cortile della Pigna. In tutti i musei, qualsiasi visitatore è invitato a diventare esploratore per ritrovare se stesso: l’unico antidoto a quello che lo storico dell’arte Tomaso Montanari chiama “l’auto-imbambolamento indotto che continuamente ci distoglie, sottrae attenzione. A questo, purtroppo, non c’è social che tenga.

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[Fonte Wired.it]