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mercoledì, Gen 22

Come sarà il futuro della politica?


Una buona parte dei cittadini europei preferirebbe che la cosa pubblica fosse gestita dall’intelligenza artificiale: siamo già pronti all’avvento di un algoritmo-premier?

Che l’opinione pubblica abbia una pessima considerazione della classe politica non è certo una novità. Un dato ci aiuta però a capire fino a che punto sia giunta la sfiducia dei cittadini: secondo lo studio di European Tech Insight, il 25% degli elettori europei preferirebbe che le decisioni politiche fossero prese da un’intelligenza artificiale invece che dagli esseri umani.

Altro che Angela Merkel, Boris Johnson, Emmanuel Macron e Giuseppe Conte: una percentuale significativa di europei preferirebbe affidare la gestione del paese a un software basato sugli algoritmi di deep learning. Proviamo a prendere sul serio questa ipotesi: avrebbe senso cacciare il nostro premier da Palazzo Chigi e insediare al suo posto un’elaboratissima rete neurale?

A prima vista, i vantaggi sono evidenti: un algoritmo agirebbe esclusivamente su basi razionali, elaborando strategie che possano risolvere nel modo più rapido ed efficace i problemi che gli vengono sottoposti. Inoltre, un’intelligenza artificiale è priva di ego, ambizioni personali e non ha interesse a inseguire tutti i sondaggi costringendoci a vivere in campagna elettorale permanente. Se non bastasse, un’intelligenza artificiale non si sognerebbe mai di postare su Twitter delle imbarazzanti foto a base di tortellini o Nutella, e tantomeno di dichiarare in maniera improvvida che l’anno appena trascorso sarebbe stato “bellissimo”.

La politica che conosciamo è troppo spesso caratterizzata dall’incessante inseguimento di un voto in più, con il risultato che i nostri amministratori hanno una visione di respiro cortissimo e non si occupano mai di provvedimenti che possano avere effetto sul lungo termine. La politica odierna è simile a una corsa su un campo minato, in cui conta solo riuscire a fare un passo in avanti senza saltare per aria. In teoria, invece, la politica dovrebbe ricordare gli scacchi: un gioco che costringe a pensare con largo anticipo, a elaborare una strategia chiara e a sapere fin dall’inizio qual è la strada che si vuole percorrere per arrivare alla vittoria.

Effettivamente, le intelligenze artificiali sono incredibilmente brave nel gioco degli scacchi. Sono anche campionesse mondiali di un gioco ancor più complesso, com’è il caso del Go. In quanto a strategia, quindi, le Ai sanno il fatto loro. Detto questo, come potrebbe funzionare un algoritmo che si occupa di prendere delle decisioni politiche? Le alternative sono parecchie: c’è chi ha provocatoriamente proposto, come Joshua Davis di Wired Usa, che gli elettori si rechino alle urne per votare un’intelligenza artificiale di centrosinistra o una di centrodestra, incaricandola di portare avanti nel modo più efficace possibile il programma delle forze che appartengono ai due schieramenti.

Un algoritmo-premier, quindi, farebbe propri i valori e i programmi dello schieramento vincitore e valuterebbe in base a questi quali politiche perseguire; senza farsi condizionare dall’andamento dei sondaggi, dalle polemiche del giorno, dai mille timori che troppo spesso impediscono ai governi guidati dagli esseri umani di perseguire iniziative coraggiose. In alternativa, si potrebbe decidere di votare su una serie di questioni specifiche (l’Italia deve uscire dall’Europa? Dobbiamo chiudere i porti? Bisogna alzare il salario minimo?) e poi lasciare che sia un algoritmo a decidere la strada migliore per portare a termine questi obiettivi.

In entrambi i casi, il nostro algoritmo-premier prenderebbe le decisioni basandosi sulla sua principale abilità: scovare correlazioni all’interno di una grande quantità di dati. Il suo compito sarebbe quindi di analizzare ciò che è avvenuto in passato, comprendere quali ricette politiche ed economiche hanno funzionato in determinate situazioni e scartare quelle che già hanno dimostrato di essere fallimentari. Questa intelligenza artificiale saprebbe imparare dagli errori e dai successi del passato, una qualità che ben pochi politici umani hanno dimostrato di possedere.

Un algoritmo, per esempio, non accetterebbe mai di aumentare il nostro già spaventoso debito pubblico (che mette a repentaglio le generazioni future) pur di introdurre un reddito di cittadinanza che non porta alcun vantaggio sistemico. Non solo: “Immaginate un presidente AI nel 2003. Il software avrebbe analizzato decenni di report su Saddam Hussein, assorbito tutta l’intelligence a disposizione sulle armi di distruzione di massa e concluso che l’invasione dell’Iraq era ovviamente un’idea idiota e che non avrebbe in alcun modo diffuso la democrazia”, ha scritto sempre Joshua Davis.

Utopia? Per quanto lo scenario di una macchina esclusivamente razionale alla guida delle nazioni possa sembrare appetibile, la verità è che un sistema di questo tipo difficilmente funzionerebbe. Un po’ perché, com’è ormai noto, gli algoritmi hanno dimostrato di essere suscettibili a pregiudizi ed errori anche più degli esseri umani. Un po’ perché l’intelligenza artificiale sta ultimamente mostrando tutti i suoi limiti, costringendoci ad archiviare i progetti più fantascientifici e ambiziosi.

Ma se anche gli algoritmi fossero davvero in grado di svolgere un lavoro del genere, dovremmo comunque prendere in considerazione gli aspetti più rischiosi della spietata razionalità delle macchine. Per esempio, un’intelligenza artificiale potrebbe decidere che l’unico modo per risolvere la crisi climatica sia quello di abbattere due terzi della popolazione mondiale e ridurre così drasticamente le emissioni. Da un punto di vista esclusivamente logico è una soluzione che ha senso, ma non per questo saremmo disposti ad accettarla. Il fatto che alcune decisioni siano razionali ed efficaci non significa necessariamente che siano le migliori per la società. E questo è stato già dimostrato dal premier più simile a un robot che l’Italia abbia avuto: Mario Monti.

Tutto ciò, però, non significa che si debba buttare via l’algoritmo con l’acqua sporca. Già oggi è stato dimostrato come le intelligenze artificiali possano essere dei fantastici assistenti per i medici, per gli avvocati e per molti altri professionisti alle prese con compiti estremamente complessi. Invece di inseguire improbabili utopie, si potrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di sviluppare un algoritmo in grado di analizzare, per esempio, quali misure economiche abbiano dato i risultati sperati, in quali condizioni siano state attuate e quali effetti collaterali abbiano provocato. La capacità degli algoritmi di analizzare immensi database potrebbe tornare molto utile alla politica e aiutarci magari a dirimere definitivamente alcuni dilemmi che da sempre contrappongono destra e sinistra (abbassare le tasse ai ceti più abbienti è una buona idea oppure no?).

Più che un vero e proprio politico, l’intelligenza artificiale potrebbe svolgere il ruolo di consigliere. Anche perché – a differenza di quelli che circondano Renzi, Salvini e Di Maio – non sarebbe uno yesman che ha il solo obiettivo di compiacere il capo, ma potrebbe fornire indicazioni utili a prendere le decisioni migliori. Con una sola accortezza: che questo sistema non venga sviluppato dalla Casaleggio Associati.

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