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lunedì, Dic 09

Com’è stata fin qui la conferenza sul clima Cop25


Si chiude la prima settimana del vertice sul cambiamento climatico. Per chi è rimasto indietro, facciamo il punto su quel che è successo finora e quello che ci si aspetta

Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres (foto: Sean Gallup/Getty Images)

Madrid – Iniziata lunedì 2 dicembre, la conferenza sul clima organizzata dalle Nazioni Unite Cop25 – importante a partire per il suo obiettivo di riduzione delle emissioni, dopo l’accordo di Parigi del 2015 e la sua sostanziale inefficacia – ha visto un’evoluzione lenta dal punto di vista dei negoziati e molto proteste dei giovani attivisti. Siamo stati in Spagna, a Madrid, per fare un punto della situazione.

Come stanno andando i negoziati

I negoziati entreranno nel vivo soltanto nei prossimi giorni con l’arrivo dei ministri: per ora si è parlato molto dell’Articolo 6, una parte altamente tecnica dell’accordo di Parigi che potrebbe, in talune condizioni, distruggerlo. La sezione si riferisce ai mercati internazionali del carbonio, con l’obiettivo di rafforzare le ambizioni dei paesi in merito alle emissioni di gas serra: i Nationally Determined Contributions (Ndcs), cioè le quote (volontarie) di emissioni a cui uno stato si impegna a dire addio.

In particolare, l’Articolo 6 dovrebbe aiutare a ridurre le emissioni a livello globale consentendo di vendere o comprare le emissioni in eccesso. Così i paesi virtuosi producono crediti che sono chiamati Internationally Transferred Mitigation Outcomes (Itmo) e gli altri, che per qualunque motivo non riducono le emissioni, li acquistano.

La questione finisce dunque per riguardare anche il divario fra paesi sviluppati (che hanno contribuito più notevolmente al cambiamento climatico) e paesi in via di sviluppo (che subiscono più duramente le conseguenze del cambiamento climatico), nonché tutto l’aspetto finanziario dell’accordo di Parigi. Il cosiddetto loss and damage è infatti controverso perché mira a trovare le strategie utili a sostenere i paesi irreversibilmente danneggiati dai cambiamenti climatici. Perché questi mercati del carbonio funzionino, in linea di massima deve essere un posto un tetto che faccia da limite alle emissioni e il loro prezzo non deve essere troppo basso.

Per i suoi sostenitori, l’Articolo 6 ha il vantaggio di offrire un percorso che coinvolge anche il settore privato. Secondo altri, rischia di giustificare le emissioni e perciò abbassare le ambizioni politiche. Finora un regolamento vero e proprio non esiste e le discussioni vanno avanti da quattro anni. Da Cop25 ci si aspetta, fra le altre cose, un risultato da questo punto di vista e alcuni temono che tutto slitti al 2020.

Qualcosa potrebbe essersi sbloccato nella sera di sabato, quando alcune discussioni sono iniziate sull’argomento. Il testo del regolamento resta denso di parentesi che servono a indicare la mancanza di accordo ai punti specifici, ma si tratta di un segnale positivo. Nel frattempo, si sta svolgendo una più ampia conversazione su come questi colloqui possano accrescere le varie promesse nazionali prima della scadenza fissata per il prossimo anno.

I report presentati

Fra i report presentati in questi giorni, quattro spiccano per la loro importanza. Gli ultimi dati raccolti dalla World Meteorological Organization (Wmo) dimostrano che il decennio in chiusura è il più caldo mai registrato. Secondo la Wmo, le temperature medie globali dal 2010 sono storicamente le più alte, e il 2019 è sulla buona strada per diventare il secondo o il terzo anno più caldo di sempre.
Le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera, che hanno raggiunto un livello record di 407,8 ppm di CO2 nel 2018, hanno continuato ad aumentare anche quest’anno. Il riscaldamento oceanico ha seguito un andamento simile, con in media un mese e mezzo di temperature sopra la norma, e l’acqua del mare è il 26% più acida rispetto all’inizio dell’era industriale, mentre l’estensione dei ghiacci nell’Artico e in Antartide continua a diminuire.

Tra gli eventi meteorologici estremi risultati dall’innalzamento delle temperatureci sono inondazioni, siccità, ondate di calore, incendi e cicloni tropicali.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) invece ha condotto un sondaggio su 101 paesi per stabilire i rischi per la salute umana legati al cambiamento climatico. Ne risulta che i rischi più comuni sono lo stress da calore, lesioni o morte in seguito a eventi meteorologici estremi, malattie trasmesse attraverso cibo, acqua e altri vettori che trovano un ambiente più favorevole laddove la temperatura è più alta (come colera, dengue o malaria), ma anche problemi legati al peggioramento della salute mentale. Fra questi, traumi e stress sono molto diffusi fra le persone costrette a spostarsi in seguito a un evento meteorologico estremo, così come la depressione fra i più giovani attivisti.

Dei paesi intervistati dall’Oms, soltanto la metà hanno riferito di avere un piano per la salute nazionale in vista del surriscaldamento globale. Ma i paesi in via di sviluppo, che hanno capacità finanziarie limitate, sono anche quelli più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. In sostanza, chi ha più bisogno di aiuto ha accesso a meno risorse.

Il Global Climate Risk Index della ong tedesca Germanwatch, inoltre, ha confermato che circa 500mila persone sono morte negli ultimi 20 anni in seguito a oltre 12mila eventi meteorologici estremi. Sette dei 10 paesi più danneggiati dal cambiamento climatico sono paesi considerati reddito basso oppure medio basso: Porto Rico, Myanmar e Haiti sono in cima alla lista.

Ma le ondate di calore e la siccità del 2018 hanno dimostrato che anche i paesi ad alto reddito soffrono degli effetti del cambiamento climatico più chiaramente che mai. Perciò, avverte lo studio, “una mitigazione efficace dei cambiamenti climatici è nell’interesse di tutti i paesi del mondo”.

È anche uscito l’ultimo Carbon Budget del Global Carbon Project, un progetto di ricerca globale e partner del World Climate Research Program. Il Carbon Budget 2019 ci dice che le emissioni globali di CO2 da combustibili fossili e produzione industriale sono aumentate dagli anni Sessanta e più velocemente nel periodo 2009-2018. Molti dati di Wmo sono confermati e si prevede che le emissioni globali nel 2019 siano aumentate di un ulteriore 0,6%, una crescita più lenta rispetto agli ultimi due anni – ma pur sempre una crescita.

C’è spazio anche per arte e installazioni

Anche l’arte ha avuto un ruolo preminente alla Cop25, anche se se ne parla poco. La conferenza ha infatti commissionato una versione dell’opera Support allo scultore italiano Lorenzo Quinn. Si tratta di una grande scultura rappresentante due mani che reggono un edificio sul punto di crollare, ed è stata mostrata per la prima volta alla Biennale di Venezia nel 2017. Viste le recenti alluvioni proprio a Venezia, l’intento dell’autore colpisce ancora più drammaticamente nel segno: ci ricorda che non siamo impotenti, ma possiamo e dobbiamo agire.

Mentre Nicholas Bennett, vincitore del concorso #CreateCop25 di Art Partner che invitava i giovani artisti a presentare le proprie opere ispirate al clima, ha messo in mostra un mondo distopico in cui un aumento delle inondazioni diventa parte della vita quotidiana.

Fra i finalisti, Kailash Bharti ha creato un libro di poesie con pagine che possono essere piantate nella terra e la stilista Daphne Gomez ha creato un abito tradizionale peruviano con materiali riciclati. La mostra d’arte 25×25 porta anche un messaggio di speranza, mettendo in mostra poster fatti per portare le persone all’azione. Un altro progetto di Wwf, invece, mostra varianti dei dipinti esposti al Museo del Prado come se fossero ambientati in un mondo devastato dai cambiamenti climatici.

Infine, i Pollution Pods dell’artista britannico Michael Pinsky vogliono evidenziare il legame tra cambiamenti climatici e inquinamento atmosferico. L’installazione ricrea l’inquinamento atmosferico vissuto quotidianamente da milioni di persone nel mondo e permette ai visitatori di sperimentare di persona cosa significa vivere in città come Londra, Pechino, San Paolo e Nuova Delhi. Per quanto dopo due minuti all’interno dei Pod si rimanga già senza fiato, non c’è nulla di pericoloso se non miscele di profumi e nebbia che imitano la qualità dell’aria nelle città più inquinate del mondo. Hanno inaugurato l’opera la ministra per la Transizione ecologica, Teresa Ribera, la direttrice dell’Oms Maria Neira e il vicesegretario esecutivo dell’Unfccc, Ovais Sarmad.

La marcia di Fridays For Future a Madrid (foto: Marcos del Mazo/LightRocket via Getty Images)

Il momento Greta Thunberg

Dall’inizio di Cop i ragazzi di Fridays For Future hanno più volte parlato per chiedere decisioni politiche ambiziose contro i cambiamenti climatici. La loro presenza ha un’importanza cruciale, ora che inizierà la fase più calda dei negoziati.

Greta Thunberg è arrivata venerdì mattina a Madrid dopo aver navigato attraverso l’oceano Atlantico e poi essersi spostata in treno da Lisbona. La folla nella sede del vertice l’ha circondata come una star di Hollywood, anche se Thunberg stessa ha sottolineato che l’attenzione dovrebbe piuttosto essere diretta al movimento in generale – se non, meglio ancora, ai problemi che cerca di portare alla luce.

Stiamo diventando sempre più forti e le nostre voci vengono ascoltate sempre di più, ma ovviamente ciò non si traduce in azione politica”, ha detto Thunberg durante una conferenza stampa presso il centro culturale La Casa Encendida venerdì pomeriggio. “Spero sinceramente che i leader mondiali e le persone al potere comprendano l’urgenza della crisi climatica perché in questo momento non sembra che lo stiano facendo”.

L’attivista ha aggiunto che, nonostante alcuni abbiano visto Cop25 come “una sorta di anno intermedio” rispetto al vertice di Glasgow del prossimo anno, non c’è tempo da perdere. “Non possiamo permetterci anni intermedi, non possiamo permetterci altri giorni senza che venga fatto nulla”, ha detto Thunberg. “Dobbiamo fare tutto quello che possiamo ottenere per migliorare la situazione”. Un’altra attivista, l’ugandese Vanessa Nakate, si è rivolta ai negoziatori: “Non vogliamo più promesse. Sono le vostre azioni che ci salveranno”.

Dopo la conferenza stampa a La Casa Encendida, Thunberg ha preso parte alla marcia per il clima iniziata ad Atocha e conclusa in centro vicino al complesso governativo Nuevos Ministerios di Chamberí. La marcia, che ha avuto il sostegno di 850 fra organizzazioni sociali e ambientaliste, è andata avanti per quasi tre ore finché i ragazzi di Fridays For Future hanno parlato dal palco allestito all’arrivo e si è poi chiusa con un concerto.

Il cambiamento di cui abbiamo bisogno non arriverà da quelli al potere”, ha detto Thunberg rivolgendosi alla folla. “Il cambiamento verrà dalle persone e dalle masse che lo chiedono”.

Nello stesso momento si sono svolte marce di Fridays For Future in altre città del mondo, fra cui Santiago in Cile, dove inizialmente doveva tenersi Cop. Gli organizzatori dicono che a Madrid sono scese in strada 500mila persone, ma le autorità locali e la polizia ne hanno contate 15mila in totale e – stando a quello che ci risulta – è probabile che la stima al ribasso sia quella corretta.

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