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Commonwealth Fusion Systems ha un piano per tagliare per prima il traguardo della fusione nucleare

da | Set 15, 2025 | Tecnologia


Sparc”, prosegue Mumgaard, “sta venendo costruito molto più velocemente di Iter”, il principale progetto internazionale di ricerca sulla fusione a confinamento magnetico, situato nel sud della Francia. “Sparc è dotato di magneti ad alto campo, Iter no. Ciò dimostra quanto più rapidamente possiamo procedere”.

Le sfide della centrale elettrica

Anche se Sparc dovesse raggiungere il guadagno energetico netto, le sfide per Commonwealth Fusion Systems non sarebbero terminate. La startup – si diceva – vuole avviare una centrale elettrica da 400 MW già entro la prima parte del prossimo decennio. Riuscire a stabilizzare la reazione per lunghi periodi di tempo è solo uno degli ostacoli tecnici. Bisogna, ad esempio, anche gestire l’approvvigionamento su larga scala del combustibile per la fusione, che nel caso di Commonwealth Fusion Systems consiste in deuterio e trizio.

Dei due isotopi, quello più semplice da ottenere è il deuterio, estraibile dall’acqua di mare; il trizio, invece, è difficile da trovare in natura, ma può venire recuperato dalle centrali nucleari a fissione oppure ricavato dal litio. Quanto ai volumi necessari per mandare avanti la centrale Arc, e ai costi, Mumgaard garantisce che di combustibile “non ce ne serve così tanto. Poiché si tratta di quantità ridotte, il costo non è una preoccupazione rilevante e non influisce sulle prospettive di lungo termine”. Tutto il combustibile necessario a garantire ad Arc un periodo di attività di trent’anni dovrebbe entrare in un camion solo.

Una volta assicurato il combustibile e stabilizzata la fusione, l’energia prodotta dalla reazione andrà convertita in elettricità. Come? Per prima cosa, l’energia dei neutroni (rilasciati dalla fusione di deuterio e trizio) viene “catturata” da un sistema a sali fusi; il calore ottenuto viene poi trasferito all’acqua, azionando una turbina a vapore e generando elettricità. “È un procedimento molto simile a quello delle centrali elettriche esistenti”, commenta Mumgaard. “Non c’è nulla di davvero specifico per la fusione nel prelevare il calore per produrre elettricità”.

Il ruolo dell’intelligenza artificiale

La centrale Arc sorgerà in Virginia, uno stato ad alta concentrazione di data center. Le infrastrutture per l’intelligenza artificiale e il cloud computing hanno bisogno di parecchia elettricità e gli impianti a fusione – idealmente – sarebbero in grado di fornirgliela in abbondanza, in maniera continuativa e senza emissioni. “Le necessità energetiche dei centri dati e dell’intelligenza artificiale fungono senz’altro da motivazione per lo sviluppo di tecnologie per l’energia. E il fatto che le società di intelligenza artificiale comprendano la nostra tecnologia le rende delle ottime partner. Inoltre”, aggiunge Mumgaard, “la fusione e l’intelligenza artificiale si adattano piuttosto bene l’una all’altra”.

Con i suoi consumi energetici, insomma, l’AI boom ha certamente rafforzato le prospettive di Commonwealth Fusion Systems e delle altre startup del settore, aiutandole a raccogliere fondi. Ma non è l’unico fattore alla base dell’interesse per la fusione. “Abbiamo un tale bisogno di energia che è difficile pensare che qualcuno possa avere la soluzione giusta. Abbiamo bisogno di molta energia a prescindere, e luoghi e casi d’uso diversi richiederanno tipi di energia diversi”, spiega Bob Mumgaard, che respinge anche l’idea di una competizione tra fusione e fissione nucleare. “Nei luoghi in cui la fissione è ben accetta, è fantastico che possano sceglierla. E nei luoghi in cui la fissione è meno ben accetta, è fantastico che abbiano l’opzione della fusione”.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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