La costellazione BeiDou non è un semplice duplicato del gps: ha funzionalità uniche. La sua accuratezza per usi civili è comparabile (entro 2-5 metri), ma può arrivare a livelli centimetrico-subcentimetrici con l’uso di stazioni terrestri e servizi premium. In più, include un sistema di allerta rapida per terremoti e altre emergenze naturali e ha un’infrastruttura ibrida (meo, geo, igso) che offre ridondanza e capacità di localizzazione avanzate su vaste aree. Rispetto al gps, BeiDou offre alcune funzionalità esclusive. Oltre a un servizio di messaggistica satellitare, che consente di inviare brevi messaggi di testo attraverso i terminali BeiDou anche in assenza di rete cellulare, la localizzazione è più veloce e l’accuratezza è più avanzata, quantomeno nell’area dell’Asia-Pacifico.
Autosufficienza satellitare
Con il completamento anticipato del sistema, la Cina ha fatto qualcosa che finora solo gli Stati Uniti erano riusciti a fare con il gps: costruire un sistema gnss (Global navigation satellite system) operativo, globale, preciso, e autonomo. Di fatto, Pechino ha raggiunto l’autosufficienza satellitare.
Attraverso accordi con oltre 120 paesi, BeiDou sta diventando lo standard alternativo in Asia, Africa, Medio Oriente e America Latina. Droni agricoli, veicoli connessi, telecomunicazioni: tutti possono essere “BeiDou-compatibili”. In molti paesi in via di sviluppo, la Cina offre accesso gratuito e formazione su BeiDou, integrandolo con il 5G Huawei, i satelliti per l’osservazione della Terra e i progetti della Belt and Road Initiative (Nuova Via della Seta). Questo crea ecosistemi tecnologici paralleli, difficili da disinnescare.
Ma la sfida non è solo tecnica: è, come detto, anche geopolitica. La costellazione BeiDou è diventato uno strumento di soft power. Attraverso il potenziamento della Via della Seta digitale, la Cina sta esportando terminali, infrastrutture e applicazioni BeiDou in decine di paesi del cosiddetto Sud globale. Ma anche di influenza: Stati come il Pakistan, la Thailandia, il Laos, l’Egitto e l’Arabia Saudita hanno già firmato accordi di cooperazione. Inoltre, BeiDou consente alle forze armate cinesi di non dipendere più da un sistema americano. In caso di crisi, la Cina può contare su una rete propria per guidare droni, missili, sottomarini e navi, con precisione centimetrica.
I timori dell’Occidente
Nonostante i vantaggi tecnologici, l’Occidente guarda con crescente preoccupazione all’espansione di BeiDou. I motivi sono molteplici. In primis c’è la sicurezza dei dati: la condivisione della localizzazione con un sistema controllato dal governo cinese solleva diversi dubbi sulla privacy e sulla sicurezza nazionale. C’è poi la dipendenza tecnologica nei paesi emergenti. Secondo diversi osservatori, l’adozione di BeiDou in Africa, Medio Oriente e Sud-Est asiatico potrebbe rendere queste regioni più vulnerabili alla pressione geopolitica di Pechino. E poi c’è un aspetto legato alla cosiddetta info war: in scenari di tensione militare e di future warfare, la capacità di disturbare o interferire con sistemi rivali diventa un’arma strategica.
Il posizionamento anticipato dell’ultimo satellite BeiDou non è solo una pietra miliare tecnica. È la prova tangibile che la Cina è entrata a pieno titolo tra le grandi potenze spaziali e digitali, in grado di plasmare le infrastrutture del XXI secolo. Con il suo sistema autoctono, la Cina raggiunge dunque tre obiettivi strategici.
Primo: rompe la dipendenza dal gps, soprattutto per applicazioni critiche. Secondo: ottiene un controllo completo e sovrano delle proprie infrastrutture di posizionamento e timing. Terzo: può offrire una rete alternativa ai paesi emergenti, in particolare a quelli che orbitano nella sua sfera d’influenza. Con oltre un trilione di localizzazioni al giorno, BeiDou non è più un “progetto alternativo”. È un sistema globale capace di ridefinire gli equilibri tecnologici, militari ed economici del pianeta.