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venerdì, Feb 12

Con l’addio di Di Battista il M5s perde il suo grillo parlante



Da Wired.it :

Alla fine Dibba non ce l’ha fatta a tollerare l’ultima ibridazione, la più estrema: quella tra il Movimento e Draghi, l’uomo che incarna il “sistema Europa”. La sua è coerenza politica o infantile avversione al cambiamento?

Alessandro Di Battista ha lasciato il Movimento 5 stelle ed è difficile ora immaginarsi un Movimento 5 stelle che possa sopravvivere al vuoto lasciato da Alessandro Di Battista. Il voto su Rousseau, con cui quasi il 60% degli iscritti ha dato approvazione all’appoggio pentastellato a un governo multicolore guidato da Mario Draghi, è stata la cosiddetta goccia che ha fatto traboccare il vaso e la coscienza di Dibba non ha più retto, come da lui stesso dichiarato in un video sui suoi profili social. “Non parlerò più a nome del Movimento 5 Stelle anche perché in questo momento il Movimento non parla a nome mio. Non posso far altro che farmi da parte”, ha sentenziato malinconico.

È molto tempo che si dice che il Movimento 5 stelle sia morto. Tante cose sono cambiate dai V-days di una decina di anni fa, la creatura è cresciuta, è maturata, ed effettivamente è riuscita ad aprire quella scatoletta di tonno rappresentata dalle istituzioni politiche, divenendo persino il primo partito in Italia alle ultime elezioni legislative. Eppure durante questo percorso molti ideali originari sono stati calpestati, tanti veti sono stati traditi, diverse battaglie sono state accantonate e il Movimento ha finito per assumere le sembianze di quello stesso sistema che si prefiggeva di combattere.

Anche Alessandro Di Battista ci ha messo del suo. Da una parte ha sempre recitato il ruolo dell’outsider, senza peli sulla lingua ogni volta che c’era da denunciare la deriva pericolosa che stava prendendo la compagine pentastellata. Lo ha fatto nel 2018, quando il partito si è accordato con la Lega per la formazione del governo giallo-verde, o l’anno successivo, quando è stata la volta dell’alleanza giallorossa con il Pd. Dibba, una lunga esperienza in missioni umanitarie nei paesi in via di sviluppo e un occhio di riguardo per i diritti umani, si è ritrovato a dover sopportare una partnership con il partito dei porti chiusi; poi è stata la volta del “partito di Bibbiano”, su cui stava scrivendo anche un libro accusa di cui però, ovviamente, non si è avuta più notizia.

Ogni volta sembrava la sua storia d’amore con il Movimento 5 stelle dovesse finire, o almeno così doveva andare sulla base delle sue dichiarazioni del passato. Ma poi Di Battista è sempre rimasto, ultimo a recitare fino alla fine il ruolo del grillino doc, ambasciatore in via di estinzione di quel populismo a copyright pentastellato andato perso da quando il Movimento è entrato in quel Palazzo sempre equiparato a un girone dell’inferno dantesco.

Non era rimasto più nessuno come Alessandro Di Battista. I denti sempre digrignati contro l’Europa, il dito perennemente puntato contro i “partiti del sistema” nonostante il Movimento si stesse alleando con gli stessi, il lessico ancora improntato su termini come “casta” e “poteri forti”. Mentre il Movimento perdeva la sua identità in modo totalmente apatico e passivo, Dibba viveva un conflitto interiore che da una parte non lo salvava dalla caduta nel baratro, ma dall’altra gli permetteva quanto meno di mantenere una certa genuinità agli occhi degli attivisti. Alla fine però ha tradito anche questi ultimi, di fatto sconfessando il loro pensiero.

Quella della democrazia diretta è sempre stata un’utopia concreta pentastellata e nella logica orizzontale del Movimento il potere decisionale doveva stare in mano agli attivisti, con i loro rappresentati che si trasformavano in meri portavoce. Eppure oggi Di Battista ha rinunciato a tutto questo, respingendo il mandato conferito da Rousseau al Movimento e mettendo così una pietra sopra a un altro dei pilastri su cui il Movimento si è costruito, la democrazia diretta appunto.

Perché lo ha fatto? Perché da ultimo dei grillini, non è riuscito a sopportare che l’evoluzione ideologica dei suoi compagni di viaggio avesse finito per infettare anche la cosiddetta base. Mentre la barca della dirigenza pentastellata andava alla deriva, quello delle scorse ore su Rousseau è stato l’ennesimo voto che ha certificato come la maggioranza degli attivisti volesse seguire i suoi leader nel naufragio. Dibba non ha retto e ha preso coscienza che ormai il Movimento 5 stelle dei V-day, quella creatura anti-politica che rifiutava persino di farsi chiamare partito e che doveva rivoltare l’Italia come un calzino, ormai non esiste più.

Lo ha realizzato con colpevole ritardo, contribuendo lui stesso negli anni con le sue contraddizioni a questo sgretolamento, ma in fin dei conti rimanendo il più coerente di tutti con il mandato originario, tanto nelle esternazioni quanto nella sua scelta finale di andarsene. Oggi con la dipartita del suo ultimo senatore si celebra il funerale di quella creatura da tempo malata che è il Movimento 5 Stelle per come lo avevamo conosciuto nel decennio scorso.

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[Fonte Wired.it]