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sabato, Apr 18

Con l’epidemia stiamo tornando alla Milano noir di Scerbanenco



Da Wired.it :

Il grande autore dei noir italiani ha riversato su Milano intrighi e delitti unici, ritraendola anche come preda di una follia securitaria e percorsa da inquietanti guerre batteriologiche

La Milano della crisi epidemica da coronavirus si confonde con la Milano dell’indagini sulle Rsa e il Pio Albergo Trivulzio, quella della cattiva gestione dell’emergenza sanitaria. Certamente una Milano non solo desolata, ma anche rabbiosa, spettrale, quella che si vive quest’oggi: una città che fino a pochi mesi fa era il faro dell’economia nazionale, protagonista da anni di una personale rinascita anche culturale. Abbiamo nostalgia di quella Milano pacifica e vibrante, ma spesso è la Milano raccontata nel Novecento ad assomigliare più a quella con cui facciamo i conti oggi. Vi ricordate i gialli milanesi di Giorgio Scerbanenco? 

Nato nel 1911 in Ucraina, Scerbanenco perse il padre durante la Rivoluzione russa, e si trasferì con la madre a soli sei mesi in Italia. Dopo la già intensa attività giornalistica nei giornali storici milanesi come L’Ambrosiano e il Corriere, e l’esordio nei Gialli Mondadori con la serie d’ispirazione americana e gangster (dedicata al fittizio archivista della polizia di Boston Arthur Jelling) nel Dopoguerra, ritornato dall’esilio in Svizzera, conobbe il suo vero successo, e una certa notorietà di massa. Anche perché fu curatore di alcune Poste del Cuore che sono passate alla storia dei rotocalchi rosa italiani – lui che era stato anche direttore di Novella – come la Posta del Cuore di Valentino e quella di Adrian. Famosissimo per il romanzo noir, non disdegnò il midcult e la fantascienza, divenendo così autore di cutlo dei giallisti italiani d’oggi.

Non è un caso forse che uno dei suoi primi romanzi, Venere privata, che inaugurò il ciclo dedicato al personaggio di Duca Lamberti, l’investigatore ex medico condannato al carcere per aver praticato eutanasia, abbia al centro il tragico ritrovamento del corpo morto di una donna – e potremmo dire in generale che tutti i suoi romanzi sono racconti di donne italiane condannate a soffrire a causa della criminalità organizzata, e in genere della società.

Soffre in questo romanzo la morta, Alberta Radelli, ritrovata per strada a Metanopoli, soffre l’amica di Alberta, la sfigurata Livia Ussaro, che funge da cavia per mettere in trappola la banda milanese che fotografa donne, le sevizia, le fa prostituire. Sono donne che soffrivano anche prima, malate di solitudine e di depressione, a descrivere una Milano nervosa (sono gli anni della cosiddetta Banda Cavallero, di Vallanzasca e dell’arrivo della mafia…). Ma anche opulenta, come quella rappresentata dall’imprenditore Pietro Auseri, “uno dei magnifici cinque ingegneri della plastica”, all’apparenza modesto ingegnere. La realtà milanese è un miscuglio davvero poco raccomandabile, dove “la vita è un pozzo delle meraviglie, c’è dentro di tutto, stracci, brillanti, coltellate in gola…”. A Milano, al codice penale della legge bisogna sempre associare il codice morale, direbbe Duca Lamberti. Lui, protagonista nauseato dalla Milano dei bari, come forse oggi sarebbe nauseato dalla Milano dei dirigenti delle Rsa.

Il secondo romanzo della serie milanese dedicata a Lamberti ebbe un importante riconoscimento in Francia, il Grand Prix de Littérature Policière, e si tratta di Traditori di tutti. Dalla trama e dal periodare più complesso del precedente, ma sempre legata da un lato all’ambiente dei dottori milanesi, connesso a doppio filo con quello della malavita locale dal tema delle dipendenze (in questo romanzo dipendenza da droga, così come nel primo si parlava di alcolismo). Il realismo affilato e all’apparenza freddo di Scerbanenco raggiunge uno dei suoi vertici, e il trio formato da Lamberti, il commissario Carrua e l’attendente Mascaranti si definisce ancora di più.

Ambientato tra i Navigli e la Certosa di Pavia, inizia con il delitto misterioso di una vettura spinta nell’acqua del nebbioso Naviglio Pavese da un’americana – “è difficile uccidere due persone contemporaneamente”, lei pensa, ma ci riesce, per poi andare a costituirsi solo successivamente, a romanzo inoltrato – e da lì dipana i legami tra avvocati e malviventi milanesi, in un domino di traditori e traditi – in amore, come nel vizio e nel crimine – che fanno ancora una volta di Lamberti un uomo condannato a essere testimone della degenerazione di Milano: come un medico non più in grado di curare un paziente sempre terminale e con le ferite aperte.   

Celebre romanzo del ciclo milanese del Lamberti è anche I milanesi ammazzano al sabato, riportato alla ribalta anche dall’omonimo album del 2008 degli Afterhours. Se nei giorni di isolamento preoccupa il problema della violenza domestica di genere, questo libro sarà per i lettori terribile: prende avvio con il diletto di una donna problematica, ninfomane e affetta da elefantiasi che le provoca un forte ritardo mentale, il cui corpo viene trovato bruciato in campagna. Sulle tracce di chi abbia agito, portando via la figlia al morboso padre Amanzio Berzaghi, l’investigatore-medico si imbatte sul pappone Salvatore Carasanto. Esplora così i livelli più infimi della Milano della prostituzione, delle famose case per massaggi, dello spaccio, della degradazione sociale, una Milano in cerca di lusso e ricchezza, che ha però abbandonato ogni moralità. Il padre della donna uccisa, informato involontariamente e libero dalla settimana lavorativa, andrà in parallelo a farsi giustizia da solo, perché è sabato: “Se non fosse stato sabato non l’avrei fatto, tutto questo disastro”, confessa il padre vendicato, tragica figura ma anche esempio paradossale di indefesso lavoratore milanese. “Con la civiltà di massa oggi viene fuori anche la criminalità di massa”, si legge nel romanzo. 

Chi volesse continuare a esplorare la vena violenta e a tratti sadica di Scerbanenco, mescolando però con quella più lieve, da feuilleton e romanzo rosa-erotico, potrebbe far incetta di storie, nel vero e proprio manifesto e album di racconti dello scerbanenchismo doc, Il Centodelitti. Racconti alcuni brevissimi, “inizi di possibili storie più ampie” rimasti di una pagina, di meschinità di provincia e di città, non solo milanesi, che furono raccolti (e a tratti modificati) da Oreste del Buono nel 1970 a pochi anni dalla morte per infarto dell’autore. E sempre per la Nave di Teseo, che è oggi l’editore che – con l’intuizione geniale di far illustrare le copertine a Manuele Fior – di Scerbanenco ha pubblicato anche libri ritrovati e potremmo dire laterali – oltre a una biografia scritta dalla figlia Cecilia, Il fabbricatore di storie – come Luna di MieleL’ isola degli idealisti (e c’è anche da segnalare che è appena uscito in e-book un nuovo racconto di Scerbanenco, Stazione centrale ammazzare subito, disponibile qui)

Il personaggio spiazzante per i canoni di Scerbanenco del primo romanzo citato in precedenza non è un medico, ma un prete non proprio perfetto, Don Paolo. Che rimane invischiato nel triangolo amoroso e violento di tre personaggi Lena, Alberto e Eva. Anche qui è il tradimento a farla da padrone, ma rispetto al ciclo di Lamberti, il personaggio del prete, che pare avvicinarsi a qualche abisso alla Bernanos, è scisso tra il dovere di giudicare come uomo di fede, e quello di comprendere come uomo di carne, avvicinandosi al Male quasi per attrazione morbosa, in una storia che finisce nelle villette della piccola borghesia milanese di provincia.

L’isola è invece un particolare romanzo ritrovato dello stesso periodo svizzero in cui Scerbanenco fu in esilio fuori da Milano. La trama pare sovvertire l’andamento del noir dell’autore: si parte dall’idillio dell’isola della Ginestra che viene interrotto dall’arrivo di due malviventi, che giungono in cerca di rifugio al cospetto dell’opulenta famiglia Reffi nel loro buen retiro sull’isola e da lì tutto si avvia, in un romanzo che sa essere anche affresco famigliare della borghesia del Nord. 

Merita infine menzionare, assente però dalle librerie, lo Scerbanenco della fantascienza degli anni ’30, della quale era pur sempre un maestro. Citiamo questi libri perché la fantascienza qui è legatissima a Milano ancora una volta. Il paese senza cielo è apparso in libreria, accompagnato da illustrazioni, pubblicato da Aliberti. Mentre Il cavallo venduto è uscito per Rizzoli nel 1963 e mai più ritornato in libreria. In entrambi, la Milano distopica è inquietante e attuale: nel secondo ad esempio Milano è controllata da un totalitarismo panoptico che la rende una gabbia perfetta, verso il quale una massa di diseredati a seguito di una guerra italiana vorrebbe vivere pur di superare le proprie pene (“andare a Milano è” per loro “come vendere il proprio cavallo migliore per un sacco di grano guasto”). Così come nel primo, dove Milano degli anni Duemila è in mano a scellerati robot poliziotti in preda a una follia securitaria, invasa dallo smog e percorsa da inquietanti guerre batteriologiche, una città dalla quale i due protagonisti fuggono verso l’America all’avventura. Come molti cittadini di Milano forse vorrebbero fare anche oggi.

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[Fonte Wired.it]