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giovedì, Gen 16

Con Wolfsburg la tv italiana sta progettando il suo primo lupo mannaro


Sarà in parte analogico e in parte digitale. Ci lavora un super team internazionale per raggiungere il massimo del realismo. E la trama della serie, di cui l’animale è protagonista, è perfetta. Siamo stati sul set, per “conoscerlo” in anteprima. E renderci conto che la bava può creare scompiglio

Foto: Luisa Cosentino/Cross Productions

Quando, dopo il battito del ciak e il rituale “Azione”, l’assistente alla regia dice: “Ok, vieni avanti Benjamin”, qualcuno ripete “Benjamin, come forward”. E a uscire, molto lentamente, dal cono d’ombra, per guadagnare il taglio di luce che lo illumina, è un lupo innaturalmente grosso. È pronto a mordere una mano sanguinante che gli viene vicina: ma non lo fa con violenza, lo fa con calma e con la forza giusta per ferire e non di più. La mano vuole essere morsa, vuole essere contagiata, mentre l’animale non è certo di volerlo fare. Il corpo del lupo è un costume dentro il quale c’è Benjamin Thomas Haywood, creature performer di Birmingham, che di lavoro si muove come gli animali. La testa, dentro, è tutta elettronica, i movimenti sono comandati a distanza da Christopher Richard Clarke, specialista in animatronic con esperienza nella nuova saga di Guerre Stellari, War Horse e V per Vendetta, appena tornato dal set del nuovo Jurassic World, dove muove la parte animatronic dei dinosauri.

È solo un pezzo del team degli effetti speciali e visivi che comprende anche Rafael Martin, che il lupo l’ha disegnato (tra le sue esperienze c’è l’episodio Nosedive di Black Mirror), e Richard Martin (che invece ha lavorato a Batman Begins), colui che l’ha materialmente costruito. A coordinare il tutto, Victor Perez, supervisore degli effetti speciali e visivi già al lavoro su Il cavaliere oscuro, Harry Potter, I pirati dei Caraibi e Rogue One. Si capisce bene che l’idea è di raggiungere uno standard superiore a quello solito italiano. Ma non finisce qui, in seguito un’altra squadra completerà il lavoro in post-produzione, aggiustando dettagli come la distanza delle spalle o la grandezza del corpo, dandogli movimenti più fluidi e animando la faccia con più decisione. Insomma rendendolo perfetto.

Questa parte del team, quindi, è quella che sta animando il lupo adesso, sul set di Wolfsburg, la serie tv prodotta da Cross Production (Il Cacciatore, Skam Italia), la prima ad affrontare i lupi mannari in la prima horror da anni a questa parte. C’è una certa elettricità nell’aria, perché oramai non esiste più esperienza in questo campo, chi faceva horror negli anni ‘60, ‘70 e ‘80, o non lavora più o non è a livello degli standard internazionali odierni. Di fatto si parte da zero per raggiungere uno livello altissimo, quello dei prodotti che girano il mondo: “Diciamo che la vita di questa serie non si esaurisce con la messa in onda italiana”, ci verrà detto più avanti, ma è chiaro da subito. In pochi, a oggi, in pensano le serie solo per lo sfruttamento nazionale, da Gomorra in poi l’estero sembra essere affamato di prodotti nostrani. La nostra qualità è cresciuta di conseguenza. E, come capita spesso nelle serie italiane migliori, gli attori sono tutti sconosciuti.

Davide Marengo, al centro, dirige gli attori prima della scena (foto: Luisa Cosentino/Cross Productions)

Ad aver ideato e poi scritto (con Ilaria Macchia e Giacomo BendottiWolfsburg è Stefano Sardo, uno dei pochi showrunner italiani, cioè uno dei pochi sceneggiatori che possono immaginare un progetto con ambizioni internazionali e coordinare una squadra di scrittori. Lavora da parecchio, ma con 1992, 1993, e 1994 il suo nome è cresciuto moltissimo e le ottime vendite mondiali delle tre stagioni l’hanno affermato. Ora con un nuovo team ha scritto una storia su lupi mannari ed emigrazione: “C’è una cosa che non riusciamo a scrollarci di dosso: questa mitologia del neorealismo, quegli italiani brillantina e canottiera, brave persone, che lottano per una vita migliore. Ho pensato, allora, di usarla e ribaltarla, fare una serie che unisca il nostro cinema anni ‘60 tipo I Magliari con il fantastico in stile Lasciami entrare”. Andando più nel pratico, Davide Marengo, che la serie la dirigerà (e già ha diretto Il Cacciatore), cita Peaky Blinders per lo stile visivo e anche lui ribadisce Lasciami entrare per l’idea di orrore.

Certo, lo spunto in sé è davvero potente: il giorno prima di emigrare per lavorare alla Volkswagen un calabrese finisce per errore in un rito e viene morso da un lupo mannaro; non lo sa, ma porterà in Germania il male. Ancora di più: i tedeschi ci metteranno poco a mettere in relazione le morti violente con l’arrivo degli italiani e prendersela con loro, così spregiudicati con le donne, così predatori, così animaleschi. Ancora di più: il lupo che l’ha morso prima di partire era un vecchio boss, infatti la ‘ndrangheta da sempre ha al vertice un lupo mannaro che passa il suo potere al discendente, ma stavolta per errore l’ha dato a uno che non vuole comandare, vuole solo avere una vita tranquilla e invece suo malgrado nelle notti di luna piena diventa una bestia, quindi lo cercheranno per avere quel che lui ha. Standard internazionale, 10 puntate da 50 minuti l’una, tutto parlato in italiano e tedesco. “È una storia comprensibile a qualunque latitudine”, chiude Sardo con una botta di cinefilia. “Un uomo che vuole essere normale, ma ha un demone dentro che gli cambia l’esistenza e i rapporti con gli altri. Una storia di immigrazione, sul cercare una vita migliore che unisce neorealismo italiano ed espressionismo tedesco”.

Un momento delle riprese (foto: Luisa Cosentino/Cross Productions)

Stanotte, al gelo della campagna laziale in una specie di stalla diroccata, stanno girando una scena della terza puntata in cui il protagonista, Rocco (non a caso come Rocco e i suoi fratelli), è tornato in Calabria, gli hanno rapito la famiglia perché pretendono che lui trasformi qualcuno, visto che ormai il vecchio boss non ce la fa più a farlo. Si gira proprio il momento della trasformazione e della comparsa del lupo. Spoiler: non finirà bene. “Del resto, è tipico dei personaggi delle serie tv moderne”, continua Sardo: “Pensa a Walter White, a Dexter, a Don Draper o a Genny di Gomorra sono tutti personaggi divisi, che hanno due personalità o due lati in lotta. In questo caso, è solo più esplicito e violento. Di certo preferisco fare paura piuttosto che fare schifo, non amo l’estetica delle viscere, quindi non faremo esibizionismo del disgusto”.

E a proposito di disgusto: “E la bava? Che fate? La mettete dopo col computer???”, a chiederlo è il produttore, Rosario Rinaldo, sul set siamo accanto a lui, perché è il punto migliore in cui stare, nessuno ti rompe le scatole se resti attaccato al produttore, nessuno ti dice: “Tu che ci fai qua! Spostati, stiamo girando”, con il nervosismo tipico da set, tutti pensano che sia anche tu produttore associato o simili. Un potente. Tanto che dopo poco che siamo lì, a pochi metri dalla scena, senza averlo chiesto ci portano un piccolo monitor per vedere in diretta com’è il risultato finale. “Beh, era ora!”, vorrei dire per confermare un potere inesistente, ma mi trattengo. A ogni modo, la domanda sulla bava di Rinaldo ha innescato in un attimo un bava-gate: “Sì, probabilmente la aggiungeranno”, gli rispondono incauti. “Ma adesso vado a chiedere”. Dopo 5 minuti un’altra persona arriva portando una smentita: “La bava c’è, se la sono portata da Birmingham”. Dopo 10 minuti un’altra ancora: “Dicono che avrai tutta la bava che vuoi”. Rosario se la ride: “Visto? È bastato poco per creare scompiglio”. Forse l’ha fatto apposta.

Davide Marengo, al centro mentre si inquadra una mano (foto: Luisa Cosentino/Cross Productions)

La verità è che sul set c’è nervosismo, perché l’obiettivo di queste riprese è determinare e pianificare il lavoro futuro. È la prima volta che si gira qualcosa di Wolfsburg e bisogna comprendere come lavorare con gli effetti, ottimizzare il piano di lavoro per il ritocco in digitale, comunicare efficacemente con la parte di Birmingham (“Dobbiamo parlare tutti in inglese, non solo chi dialoga con loro, altrimenti si sentono tagliati fuori e non capiscono niente”, verrà poi detto in una vivace riunione durante la cena, il cui argomento centrale sarà come mai il lupo sembra non vedere bene la mano che gli viene tesa). Tutto è in fase di aggiustamento, questo primo test produrrà una piccola scena che farà parte della serie, ma è così emblematica (la notte, il rito calabrese, la trasformazione e la comparsa del lupo) che viene girata per prima, così da diventare un teaser trailer da mostrare a potenziali investitori.

Manca, infatti, ancora il 10% del budget (non è inusuale in questi casi). Solo per questa scena è stato stanziato 1 milione di euro (il totale della serie sarà tra i 25 e i 30 milioni). Numeri grossi e la RAI, incredibile a dirsi, è a un passo dal prenderla. Incredibile ma anche spaventoso, perché una serie RAI sui lupi mannari sembra un ossimoro: “Guarda è dal 2015 che ci lavoriamo”, dice Rinaldo, “ben prima che la RAI si interessasse, e non la cambiamo per loro, sono loro che la vogliono, perché stanno creando un nuovo stile con RaiPlay al centro”. Cioè? “Vuol dire che non tutto ciò che viene preso deve fare ascolti come in passato. Alcune cose devono fare comunicazione, se ne deve parlare, devono essere sulla bocca di tutti, come per Netflix o Amazon ”.

Il lupo fuori dal set (foto: Luisa Cosentino/Cross Productions)

Ma, prima di tutto il lupo. Quando vuoi rappresentarne uno mannaro, ci sono due possibili opzioni: o ha forma umanoide e sta su due zampe (come Dog Soldiers, per esempio) o ha la forma di lupo grosso (come L’ululato o Un lupo mannaro americano a Londra): “Abbiamo scelto di fare una cosa un po’ diversa”, dice Sardo. “Il nostro ha la forma del lupo, ma alcuni dettagli umani come le zampe con il pollice opponibile. Ci è voluto un anno per disegnarlo per bene, perché è realistico, è come sarebbe se esistesse. Da lontano ti pare un lupo, però più lo guardi e più capisci che non è solo quello”. In effetti, la parte più affascinante della scena che vediamo è che il lupo, quando sbrana con foga, mangia come una bestia, ma ogni tanto ha dei movimenti chiaramente umani. È la bravura di Benjamin, insaccato in un costume realistico con dei trampoli di 30 centimetri che gli allungano gambe e braccia, tutti verdi (per essere poi modificati al computer), così da  raggiungere le proporzioni tipiche di un lupo. Poco distante, fuori dall’inquadratura, c’è Chris Clarke, l’uomo che muove la testa manovrando 2 joystick. Ogni spostamento sui 4 assi dei joystick muove qualcosa di diverso, in più ci sono pulsanti, leve e grilletti. In totale 16 canali che combinati muovono orecchie, alzano labbra per scoprire i denti, aprono la bocca, chiudono o stringono gli occhi, corrugano la fronte… Sembra fintissimo, ma del resto tutto sui set sembra finto, sempre. L’obiettivo qui è creare la miglior versione analogica possibile, così che poi ci si possa lavorare bene in digitale durante la post-produzione.

Guarda che è una cosa mai fatta prima da una produzione che non è uno studio americano”, spiega Victor Perez.Se un animale è tutto in computer grafica, alla fine si vede che è finto. Anche Il Re Leone, che è il massimo mai visto a oggi nel campo del digitale, in certi punti si vede che è finto, e va bene così. Anche Iron Man si vede che è finto, ma ci sta, perché è un fumettone. Come, al contrario, non ti infastidisce vedere Yoda in Episodio IV di Guerre Stellari, anche se evidentemente è un pupazzo che  è coerente con il tono del film. Questo, però, è un titolo realistico in tutto e per tutto e il lupo mannaro non deve essere fumettoso, deve essere realistico anche lui”. In effetti così è la storia, l’ha spiegato poco prima Stefano Sardo: “Quello che mi interessava era fare un racconto spaventoso in cui il lupo mannaro non è un potere ma un problema. In che modo si può gestire una cosa del genere ed evitare che ti rovini la vita? Scopri di avere dentro il male più profondo e che cosa fai? Come lo spieghi a tua moglie?”. Proprio questo tono realistico, secondo Perez,è complicato quando devi far vedere l’impossibile. Io lo so che ce la faremo, eppure sarà difficile”.

Che sia difficile lo si vede sul set. Ciascuna inquadratura richiede una soluzione diversa, ogni volta va ricalibrato tutto e ogni volta ci si chiede se alla fine si userà o no la computer grafica: “Alcune inquadrature sono 100% analogiche, altre hanno il lupo analogico e un forte ritocco digitale, in altre il lupo è metà e metà e altre ancora sono al 100% digitali, pure lo sfondo”, dice sempre Perez, praticamente è come avere ogni volta una creatura diversa, solo che deve essere identica alle altre. Perciò è un lavoro come mai fatto prima, la cui parte digitale sarà affidata a uno studio italiano, Frame By Frame, e forse un secondo ancora da trovare. Di fatto, al momento, “giriamo le scene col lupo 2 volte, una in analogico e una immaginandolo di aggiungerlo in computer grafica. È faticoso, ma ci garantisce il risultato. Poi, in post-produzione vedremo”. Così faticoso che, quando ce ne andiamo dopo 4 ore in cui si è lavorato a una sola inquadratura, scopriamo che Stefano Sardo, lo sceneggiatore, probabilmente dirigerà 2 episodi: “Hai già scelto quali fare?” – “Certo! Quelli in cui c’è meno lupo possibile”.

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