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Concessioni balneari, lo stato continua a svendere le sue spiagge (e la nostra estate)

By webmaster
11/07/2020
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Da Wired.it :

Confermata la proroga al 2033: fino ad allora gli stessi privati continueranno a lucrare sulle spiagge in appalto, un affare da 15 miliardi di euro l’anno di cui lo stato percepisce solo 103 milioni

È tornato il solito dibattito sulle concessioni balneari, quei permessi che lo stato dà ai privati per gestire commercialmente tratti di spiaggia pubblica, dietro pagamento di una quota annuale. Un emendamento al Dl rilancio, che verrà approvato nei prossimi giorni con la fiducia e che dunque non sarà soggetto a modifiche, ha rafforzato la proroga delle concessioni balneari vigenti al 2033, di fatto alle condizioni attuali. A proporlo è stata la deputata di Forza Italia Deborah Bergamini, con la motivazione che nell’estate più difficile per gli stabilimenti italiani a causa delle misure di distanziamento sociale e del crollo del turismo, è opportuno dare una mano a chi proprio nelle spiagge ha la sua fonte di sostentamento.

La proroga al 2033 non è in realtà nulla di nuovo. Già negli scorsi anni erano state approvate misure simili a breve termine, mentre nel 2018 la Lega, sotto la spinta del ministro dell’agricoltura Gian Marco Centinaio, aveva esteso il tutto per 15 anni, fino al 2033 appunto. Il nuovo emendamento di Forza Italia non fa altro che ribadire questo punto, rafforzandolo ulteriormente dal momento che toglie ogni spazio di manovra alle amministrazioni locali per intervenire sulle concessioni. Il problema di base è che tutto questo è in contraddizione con la normativa europea. E il risultato è che ieri come oggi, ma anche per i prossimi anni, l’Italia continuerà a svendere il proprio patrimonio pubblico per pochi spiccioli. 

La “direttiva Bolkenstein” approvata nel 2006 dalla Commissione europea stabilisce che le concessioni pubbliche vadano affidate ai privati attraverso apposite gare con regole chiare, così da garantire una procedura più trasparente, offrire migliori servizi al cittadino e valorizzare il patrimonio statale. La direttiva non è mai stata recepita in Italia nell’ambito balneare e oggi gli stabilimenti continuano a restare in mano a chi li detiene da decenni, senza che venga aperto alcun bando in tal senso. E il paradosso è che il prezzo pagato per avere le concessioni è irrisorio. “È normale che il Twinga (4 milioni fatturato) paghi 17.000 euro l’anno, il Papeete (3 milioni fatturato) 10.000 euro?”, ha denunciato in un video Carlo Calenda, leader di Azione. C’è in effetti una sproporzione tra i canoni pagati dai privati e gli introiti stagionali di quest’ultimi, al livello che in certi casi basta la prenotazione di una piazzola per tutta l’estate per rientrare nei costi di affitto. Nomisma ha stimato che lo Stato guadagni 103 milioni di euro dalle concessioni, mentre il giro d’affari dei privati è di 15 miliardi di euro annui.

Chi difende la proroga al 2033 sottolinea che, in caso di gara d’appalto per le concessioni, il rischio sarebbe quello di affidare le spiagge a grandi multinazionali, a scapito delle gestioni familiari italiane che ne uscirebbero penalizzate. Ma a ben vedere, il fatto che lo stato regali il suo patrimonio pubblico a privati che poi non condividono i propri introiti, se non pochi spiccioli, non fa sicuramente l’interesse pubblico. In un momento di crisi come quello attuale, dove ogni rubinetto può rivelarsi essenziale per aiutare il paese a rialzarsi, svendere il patrimonio pubblico in nome di una presunta tutela delle piccole e medie imprese familiari italiane è un controsenso. O forse non lo sarebbe, se la proroga riguardasse solo questo momento storico difficile, quello del coronavirus. Ma la proroga c’era già prima, così come oggi con il nuovo emendamento si continua a guardare a 15 anni. La tutela delle famiglie italiane che gestiscono i lidi in risposta alla crisi economica del 2020, insomma, sembra c’entrare ben poco. 

Il punto è che nel momento in cui lo stato concede una spiaggia a un privato, è giusto ne colga i frutti al pari di esso. Altrimenti, tanto vale lasciare la spiaggia libera, anche perché l’Italia vive un serio problema da questo punto di vista. Come ha stimato Legambiente,  oltre il 60% delle coste sabbiose in Italia è occupato da stabilimenti balneari. Le spiagge pubbliche stanno insomma finendo, divorate sempre più da un privato che avanza, fa profitto su di esse ma non condivide i suoi introiti con chi quelle spiagge gliele dà in gestione, lo stato. 

Nell’anno del Covid-19, delle imprese in ginocchio, del turismo che zoppica e dei lidi a velocità ridotta a causa delle misure di distanziamento sociale, la sospensione delle gare per le concessioni balneari poteva avere un senso, per non mettere in difficoltà proprio ora chi lavora nel settore. Fare così da qui al 2033, però, significa fregarsene delle direttivi europee e dei conti dello stato.

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[Fonte Wired.it]

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