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lunedì, Feb 03

Coronavirus, basta scherzare sulle mascherine (e sui cinesi)


Ci spacciamo per cittadini del mondo sulle nostre bacheche, poi siamo pronti ad accogliere e dare credito alle considerazioni più infondate. Speriamo che almeno Sanremo ci risparmi il massacro da psicosi

Fiorello ha già iniziato, pubblicando sui social da Sanremo – dove farà il battitore libero della 70esima edizione del festival condotta da Amadeus – un selfie con l’immancabile mascherina decorata da una corona. A indicare ovviamente il coronavirus. Speriamo che lui o altri non sfruttino il palco dell’Ariston per speculare sulla pandemia o, peggio, “sui cinesi”: sono già morte oltre 300 persone e a milioni di altre è stata sconvolta l’esistenza. Sarebbero risate amare, strappate a caro prezzo. I passaggi ridanciani sul tema in prima serata fra una pernacchia, il promo sui fiori e Michele Zarrillo, infatti, ce li risparmieremmo. Così come ci risparmieremmo atteggiamenti che consolidano credenze infondate, luoghi comuni, razzismi assortiti della serie “nel dubbio, cambio posto”. Rai1 non è un meme da social.

Ci spacciamo per cittadini del mondo sulle nostre bacheche, poi (in molti, di certo non tutti) siamo pronti ad accogliere e dare credito alle considerazioni più infondate, come quella che sfoggiare fattezze orientali costituisca in questo periodo, sic et simpliciter, un elemento di rischio di essere infetti al nuovo virus. Quando, ovviamente, se non si è viaggiato in Cina, e in particolare nello Hubei, e non si è entrati in contatto con una persona contagiata, non c’è alcuna differenza fra noi e gli altri. Anzi, il punto è proprio questo: non ci sono noi e non ci sono gli altri, nel pieno di una simile emergenza. L’isolamento dei 57 italiani appena rientrati da Wuhan, epicentro dell’infezione, lo dimostra in tutta la sua plasticità. Eppure se avessimo incrociato in metropolitana uno di quei 57 connazionali, dai lineamenti italianissimi, non ci saremmo spostati di posto.

Dagli insulti sui campi di calcio dilettantistico rivolti ai ragazzini ai volantini degli immancabili di Forza Nuova a Brescia che invitano a “comprare italiano”, che sarebbe – tanto per non dimenticare quanti apprezzino lo Stato etico – un “dovere morale”. E invece forse mai come oggi è utile farsi un piatto di involtini primavera nel ristorante sotto casa lasciato semivuoto dalla cretinaggine di un paese che viaggerà pure tanto ma rimane irrimediabilmente provinciale, iperprudenziale quando non serve e incosciente quando bisognerebbe fare un passo indietro. Ancora: dai divieti d’ingresso negli esercizi (a Roma come a Forlì, “in modo da evitare possibili contagi”) alle catene di Sant’Antonio via chat con i “consigli sanitari” che spiegano di evitare i negozi e le persone cinesi fino alle calunnie per strada (come sul lungarno di Firenze) o ai tanti, miserevoli episodi denunciati da singoli cittadini, per esempio sui mezzi pubblici. Li abbiamo visti giorni fa, se ne sono aggiunti molti nel corso delle settimane e il salto da diffidenza a paranoia è stato velocissimo.

C’è poi la politica, da mettere fra virgolette, che tuona per le frontiere sigillate. E il governo stesso che raccoglie i peggiori istinti e sceglie di sospendere i collegamenti aerei con la repubblica popolare – infilandoci, meglio abbondare, pure Taiwan – in modo piuttosto avventato, senza considerare che con uno scalo si va e si viene comunque dalla Cina e che l’Oms non ha consigliato questo genere di provvedimento. C’è, come sempre, l’infotainment, che cavalca la presunta “psicosi” al tempo stesso alimentandola, sguinzagliando i malcapitati reporter a filmare di nascosto le reazioni di commercianti e cittadini al cospetto di un attore cinese che si finge malato: roba da candid camera. Sì dirà: è per testimoniare dal vivo cosa pensa la gente. Certo: contribuendo al contempo a consolidare quella psicosi in cui ci si tuffa.

Meccanismi di difesa inconsapevoli che ci accompagnano fin dall’infanzia, necessità di individuare un “nemico” per veicolare le energie verso un fronte e non disperderle, per quanto possano essere spese in modo ingiustificato. Oppure costruzione di sillogismi fallaci, della serie “il virus è nato in Cina, tutti i cinesi sono portatori del virus”. Sillogismi che abbiamo già visto alla prova molte volte nel corso della storia e che, in proporzioni minori ma neanche troppo, puntellano la nostra stessa esistenza quotidiana scatenandosi ora contro i rom ora contro gli immigrati, trasformando la nostra esistenza in uno slalom di miserie e pregiudizi. Se non, nei casi più gravi, di gesti criminali inaccettabili in una società matura. Siamo insomma ben oltre la sinofobia.

Dovremmo attenerci ai dati, ovviamente, e alle indicazioni scientifiche: non tutti hanno però voglia, tempo, modo o strumenti per farlo, come dimostra il sold-out delle mascherine. Non a tutti si può d’altronde chiedere di trovare dall’oggi al domani quel tempo, quel modo e quegli strumenti per approfondire un tema che è senza dubbio complesso, coinvolge aspetti spinosi e sul quale d’altronde gli stessi esperti proseguono negli studi. A tutti, però, si può chiedere di mettere in moto il cervello: nell’ambito delle proprie preferenze, perfino quelle che sfidano scienza e buon senso, non c’è paranoia razzistoide che tenga.

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