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giovedì, Apr 16

Coronavirus, consigli e strategie in vista della riapertura



Da Wired.it :

Si fa un gran parlare di “fase due”, tra convivenza con il coronavirus e la tanto agognata ripresa delle attività, seppur progressiva e misurata. Ecco alcune idee e pratiche virtuose, almeno sulla carta, raccolte in giro per il mondo

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(foto: Angel Garcia/Bloomberg/Getty Images)

Ancora non abbiamo delle date esatte a cui fare riferimento, di sicuro sarà importante procedere con cautela e senza affrettare i tempi, ma il rallentamento della curva epidemica e l’allentamento della pressione sulle terapie intensive rendono sempre più urgente un serio dibattito (e magari un piano dettagliato) su come ripartire. E se da una parte quelli della nuova normalità a cui dovremo abituarci, della fase due che durerà a lungo, dell’imparare a convivere con il coronavirus e della ripartenza progressiva e graduale sono dei mantra imprescindibili e ripetuti allo sfinimento da scienziati e istituzioni, dall’altra tutti quanti si domandano (e chiedono ai decisori politici) come concretamente si deciderà di agire per rimettere in moto il Paese.

Proprio perché siamo di fronte a scelte politiche, sperabilmente guidate dalla scienza ma comunque frutto della conciliazione di diversi interessi, è impossibile fare previsioni affidabili su cosa si deciderà di fare. Al momento non sappiamo nemmeno se la fine del lockdown sarà uniforme in tutta Italia o se si procederà per regioni e aree geografiche, non sappiamo se si sceglierà di differenziare per fasce d’età oppure per categorie professionali, così come non possiamo prevedere se l’allentamento sarà definitivo, temporaneo, periodico o a singhiozzo, come per esempio si è ipotizzato nel Regno Unito. Possiamo mettere in ordine, però, alcuni punti fissi e alcune proposte di metodo, quelle best practice che negli ultimi giorni vengono invocate da più parti, talvolta prendendo ispirazione dall’estero e altre volte immaginando futuri scenari verosimili.

Le regole del gioco

Quello che sappiamo finora sulla versione italiana della fase due è poco, lo ribadiamo, ma perlomeno sappiamo quali sono le regole del gioco, i princìpi guida e le condizioni imprescindibili che dovranno essere rispettate. Nell’assenza di un vaccino o di un farmaco che neutralizzi il Sars-Cov-2, con gran parte della popolazione ancora non immunizzata, l’unica alternativa possibile è mantenere sotto controllo la trasmissione del virus. Proposte come il raggiungimento dell’immunità di gregge o l’identificazione capillare dei singoli casi per eradicare completamente la malattia sembrano, almeno per il momento, proposte inapplicabili.

Conclusa la fase uno in cui la strategia madre – un po’ per abbattere drasticamente la curva dei contagi e un po’ per darci quell’organizzazione minima che all’inizio è mancata – è stata quella di chiuderci tutti in casa per guadagnare tempo e mantenere attivo solo lo stretto indispensabile, dovremo in futuro essere così bravi, disciplinati e organizzati da riuscire a mantenere la diffusione della Covid-19 entro la soglia di sicurezza. Sarà complicatissimo: per dirla con l’Organizzazione mondiale della sanità, il nostro sistema sanitario dovrà avere la capacità di rilevare, testare, isolare e trattare i singoli casi, tracciando anche tutti i possibili contatti. Contemporaneamente nei luoghi di lavoro, nelle scuole e in qualunque altro punto di potenziale contatto sociale dovranno essere messe in campo misure preventive, riducendo in ogni caso la prossimità fisica allo stretto necessario.

Come se non bastasse, dovremo prestare a ospedali e strutture di ricovero molta più attenzione di quanta ne sia stata data fin qui, e dovremo imparare a gestire i rischi derivanti da contagi provenienti dall’estero. Infine, dovremo avere cittadini adeguatamente formati e istruiti, perché (ammessa e non concessa la perfetta aderenza alle regole della popolazione tutta) il primo passo non può che essere il mettere tutti a conoscenza di cosa fare e cosa no. Una sintesi di tutte queste indicazioni generali è stata twittata non più tardi di qualche ora fa anche dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

Il mazzo delle carte

Gli assi nella manica – veri o presunti, già realtà oppure promessi in arrivo – non mancano. Un po’ grazie alla scienza, un po’ grazie alla tecnologia e un po’ grazie all’organizzazione potremmo riuscire a semplificarci la vita. Ciascuna di queste voci meriterebbe un lunghissimo approfondimento a sé, ma in sintesi abbiamo: tamponi e altri esami per individuare i casi positivi, test sierologici per verificare la presenza di anticorpi specifici nel sangue, mascherine e altri dispositivi di protezione individuale, gel alcolici e disinfettanti vari, applicazioni per registrare chi è stato a contatto con qualcuno poi rivelatosi positivo, conoscenza dei principali meccanismi di trasmissione del virus, possibilità di definire delle regole di distanziamento e di comportamento efficaci, ospedali attrezzati a gestire (un numero non troppo elevato di) pazienti malati e una mole di personale sanitario e forze dell’ordine per svolgere la parte attiva, confidando sempre sul buonsenso dei cittadini.

La strategia per la fase due in questo senso non può essere che una: giocarci tutte le carte assieme, contemporaneamente e con più determinazione possibile, confidando che la sovrapposizione dei loro effetti possa rivelarsi sufficiente a mantenere bassa la curva dei contagi. E se non è affatto garantito che la combo basterà a scongiurare un nuovo lockdown, è invece sicuro che un solo sottogruppo di queste carte si rivelerebbe drammaticamente insufficiente. Pure il contact tracing messo in pratica a Singapore e Taiwan, spesso considerato il modello a cui ispirarsi, ha dato i risultati sperati solo perché inserito all’interno di un complesso sistema di misure.

Rendere i luoghi sicuri non basta

Un prima prima strategia d’azione, ispirata a quanto accaduto in passato per altri eventi epocali non sanitari (l’esempio classico sono gli attentati dell’11 settembre), potrebbe essere sintetizzata nella frase non accontentarti che un luogo sia sicuro, ma fa’ in modo che le persone lo percepiscano come sicuro. Prendiamo a esempio delle azioni che dovranno certamente essere intraprese nei luoghi di lavoro e magari anche negli esercizi commerciali: indossare mascherine e guanti, mantenere rigorosamente le distanze fisiche, misurare la temperatura e svolgere screening medici, prevedere frequenti disinfezioni degli ambienti, allontanare tempestivamente le persone sintomatiche,…

Al di là di quanto ciascuna di queste azioni sia singolarmente valida dal punto di vista scientifico – proprio qui sta il punto – mettere in atto tutti questi protocolli contribuisce a generare fiducia e a diffondere la cultura dell’attenzione. Se si adottano solo le mascherine, ad esempio, questo potrebbe sia essere insufficiente dal punto di vista medico sia generare un senso di invincibilità in chi le indossa. Se invece si introducono numerose e meticolose azioni simultanee, le persone saranno immerse appieno nella nuova normalità, saranno continuamente portate a fare attenzione e si sentiranno (a ragione) più protette e serene.

I protocolli sanitari non sono dogmi scolpiti

Si tratta di uno dei concetti più complessi da trasmettere (e numerose esternazioni politiche ce lo confermano di continuo): la scienza non è un complesso di saperi fisso e immutabile, e soprattutto per un nuovo patogeno come Sars-Cov-2 le nostre conoscenze si aggiornano di continuo. Man mano che conosceremo meglio il nostro amichetto mascalzone, è possibile che anche i consigli di protezione e le precauzioni sanitarie debbano cambiare. Cosa c’entra tutto ciò con la riapertura della fase due? Banalmente, occorre preparazione a rivedere di continuo i propri piani.

Potrebbe essere necessario a un certo punto cambiare le distanze interpersonali, o modificare i dispositivi di protezione in adozione, o prevedere un tipo di sanificazione diverso oppure con cadenza modificata. Da un lato dunque chi si occupa dell’organizzazione di spazi e flussi (di lavoro o di persone) dovrebbe contemplare una certa flessibilità by design, per adattarsi in fretta ai probabili aggiornamenti. Dall’altro ciascuno di noi dovrà prendere l’abitudine di tenersi continuamente aggiornato sulle novità, per esempio tramite opportuno materiale informativo presente all’ingresso di un punto vendita oppure fornito dal datore di lavoro all’inizio del turno.

Auto-valutare e comunicare

Negli Stati Uniti spesso rientra tra i consigli per le attività imprenditoriali: nella fase due conviene ribaltare l’approccio del controllo. Anziché preoccuparsi di non essere colti in fallo dalle forze dell’ordine, una strategia che promette bene è il crearsi un sistema interno di auto-disciplina e quindi un meccanismo di auto-valutazione per l’aderenza alle buone pratiche contro il contagio. Oltre a ridurre al minimo il rischio di sanzioni e ad aumentare la già citata sicurezza percepita, rafforza anche la responsabilità sociale d’impresa e porta potenzialmente nuovi clienti.

Implicito in questa strategia c’è pure un altro punto determinante: la cura della comunicazione. In un periodo in cui sarà il comportamento delle persone a fare la differenza, continuare a ribadire le misure di contenimento e farle metabolizzare anche con metodi alternativi come la gamification potrebbe dare un aiuto in più.

Se i competitor siglano una tregua

Si potrebbe criticare questa proposta perché troppo fiduciosa nella capacità di collaborazione umana. L’idea, semplicemente, è quella di darsi una mano tra competitor anche se nella vecchia normalità si era acerrimi nemici. Un esempio facile è quello di supermercati e negozi: se in uno c’è troppa fila, e non si riesce a soddisfare tutti i clienti, si potrebbe prevedere un sistema di reindirizzamento della clientela verso un altro punto vendita meno affollato. Lo stanno già facendo alcune app e siti confronta-fila, è vero, ma in questo caso si tratterebbe di un sistema coordinato di vicinato, peraltro organizzato dai rivenditori stessi.

Nella versione più avanzata di questa proposta, si potrebbe pensare anche a un sistema di scambio della merce in vendita nei diversi negozi, in modo tale che le persone possano distribuirsi più uniformemente tra gli esercizi commerciali attivi, oppure acquistare il maggior numero di prodotti possibili facendo una sola fila. La coda interminabile in un punto vendita, con quello accanto completamente deserto, è una situazione che non dà vantaggio a nessuno.

Cambiamo l’aria

Grazie anche alla bella stagione in arrivo, è uno dei consigli più semplici da applicare ma più importanti, come ribadito anche dell’Istituto superiore di sanità. Oltre che nella propria abitazione, il ricambio d’aria è un obiettivo raggiungibile in molti altri contesti chiusi, inclusi i mezzi di trasporto e i negozi. Aprire le finestre il più possibile, compatibilmente con l’attività svolta, riduce la stagnazione dell’eventuale carica virale e abbatte le probabilità di contagio.

Per chi si affida a sistemi di ventilazione o di aria condizionata, vale naturalmente il consiglio di pulire e manutenere regolarmente gli impianti, utilizzando filtri il più possibile efficienti ed evitando assolutamente di impostare il ricircolo dell’aria.

Prepararsi al peggio, di nuovo

Abbiamo già avuto abbastanza problemi senza doverne aggiungere altri, qualcuno potrebbe obiettare. Eppure la fase della ripartenza è un’occasione per mettere a punto piani strategici in vista di ipotetici scenari sfavorevoli. L’esempio più ovvio è se la curva epidemica dovesse ricominciare a crescere, costringendo a un nuovo lockdown locale o nazionale: questo è il momento di rendere telematico tutto ciò che può diventarlo, di pensare a quali attività meritano subito la precedenza perché generano un collo di bottiglia quando non ci si può spostare da casa, e di capire se c’è qualcosa in più che può essere automatizzabile.

E poi, magari approfittando dei giorni che ancora mancano all’effettiva riapertura delle attività, pianificare strategie di gestione per una lunga serie di altri possibili scenari, dai terremoti alle alluvioni, dalle pandemie di natura diversa fino agli attacchi informatici o terroristici. Vale a ogni livello e per ogni attività: l’emergenza coronavirus ci ha insegnato che l’impreparazione non fa altro che aggravare i problemi nel momento in cui questi si presentano. Ed è dimostrato che ragionare su questi scenari in un periodo di vera emergenza porta a mettere a punto piani qualitativamente migliori, perché fa porre le domande giuste.

Prepararsi all’imprescindibile

Accanto agli scenari più sfortunati e che si spera non capitino mai, ce ne sono altri che invece sono ormai dati per certi. Anche se per ora non conosciamo i dettagli fini (date, regole, limiti normativi precisi,…), il solo principio del distanziamento fisico che ormai possiamo dare per certo imporrà una serie di modifiche in molte delle attività. Spesso si parla di doppi turni e di classi o gruppi di lavoro di conseguenza dimezzati in numero, ma molte altre attività dovranno essere reinventate, almeno temporaneamente. Dalle mense aziendali ai trasporti pubblici, dalla ricreazione a scuola agli ingressi in fabbrica, si tratta di dinamiche che dovranno essere gestite anzitutto dalle relative dirigenze, ma per le quali ciascuno di noi potrà fare la propria parte.

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[Fonte Wired.it]