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sabato, Apr 03

Coronavirus e scuola, perché non possiamo trascurare i rischi (ma piuttosto dobbiamo gestirli)



Da Wired.it :

Il problema è complesso. Il Consiglio di stato respinge l’appello del governo contro le istanze di due ricorsi della rete Scuola in presenza, spiegando che i documenti scientifici presentati dal governo non supportano che le scuole siano grave fonte di contagio. Ma un’analisi su Lancet porta prove del fatto che il rischio c’è e che negarlo equivale a non investire sulle misure di mitigazione

scuola
(foto: Cole Stivers via Pixabay)

Scuola sì o scuola no, in presenza, a distanza oppure un po’ e un po’, la discussione sull’apertura degli istituti scolastici continua con toni sempre più accesi. A fronte di due ricorsi della rete nazionale Scuola in presenza il Consiglio di stato ha chiesto al governo di riesaminare le norme sulla chiusura delle scuole, anche in zona rossa, motivandole con dati certi. Ma un articolo su Lancet indica che dire che le scuole non contribuiscano ad aumentare i rischi è un’ipotesi sostenuta da studi con forti limiti ed equivale a non investire sulle misure di mitigazione del rischio, che in presenza delle varianti dovrebbero essere ancora di più. Come abbiamo compreso dalle prove raccolte finora, dire che “sì la scuola è sicura” o al contrario sostenere che è certamente pericolosa sono due posizioni opposte che non rendono giustizia della realtà e della complessità del problema e che alimentano un dibattito polarizzato, infruttuoso e spesso addirittura dannoso.

Cosa dice il Consiglio di stato

Il Consiglio di stato ha respinto l’appello del governo contro le istanze di richieste cautelari in due ricorsi di comitati della rete nazionale Scuola in presenza. “Il giudice – rendono noto i comitati aderenti alla rete, autori del primo ricorso al Tar – ribadisce l’obbligo per il Governo di riesaminare le norme che regolano la chiusura delle scuole, anche in zona rossa, motivandole con dati certi”. La motivazione? “I documenti scientifici presentati dalla presidenza del Consiglio non supportano la tesi che le scuole siano grave fonte di contagio”, spiega Scuola in presenza. “Il governo non ha saputo motivare in maniera razionale la priorità assegnata alla precauzione sanitaria a fronte della grave compressione del diritto all’istruzione”“.

Il punto non è se, ma quanto

Non sappiamo quali siano questi documenti scientifici, ma è un dato di realtà il fatto che l’universo scuola, sia includendo sia escludendo ciò che avviene prima e dopo le lezioni in aula, rappresenta un momento di aggregazione. Dunque non si può negare completamente la presenza di un rischio di contagio, che che è comunque (magari leggermente, ma ancora non lo sappiamo) maggiore rispetto alla situazione in cui lo studente resta a casa. E sicuramente il rischio oggi è più alto rispetto anche solo di qualche mese fa, a causa delle nuove varianti del coronavirus, più trasmissibili, che sono diventate prevalenti (la variante inglese in quasi 9 casi su 10).

Il punto dunque non è se le scuole siano fonte di contagio, ma quanto possano esserlo. Ed è importante chiederselo – come hanno fatto e stanno facendo varie ricerche sul tema – visto che anche continuare a chiedere a bambini e ragazzi di continuare a fare lezione a distanza è un problema sicuramente rilevante, sia per loro, in termini di eventuale riduzione dell’offerta didattica, di una minore socialità, sia per le famiglie che si trovano in smart working a dover contemporaneamente gestire i figli piccoli.

Non negare i rischi per trovare nuove strade necessarie

Rispondere non è semplice, come non lo è la domanda e il problema posto, molto complesso. Oggi prova a rispondere un’analisi inglese, cui ha preso parte l’università di Cambridge, insieme ad altre università, appena pubblicato su The Lancet, a prima firma di Deepti Gurdasani. La ricerca indica che le pubblicazioni che sostengono che le scuole non contribuiscono alla trasmissione del coronavirus e al rischio complessivo di Covid-19 hanno delle importanti limitazioni. Inoltre, elemento rilevante messo in luce dall’articolo, sostenere che il rischio è trascurabile implica che non si lavori sufficientemente sulle misure di mitigazione del rischio stesso.

A riprova della tesi sostenuta gli autori citano i dati dell’agenzia governativa inglese Office for National Statistics indicano che la prevalenza di casi in Inghilterra nei bambini fra 2 e 10 anni e nei ragazzi fra gli 11 e i 16 subito prima delle vacanze di Natale è aumentata ed è risultata superiore rispetto a quella in tutte le altre fasce d’età. Al contrario, ci sono prove che associano la chiusura delle scuole primarie e secondarie a riduzioni sostanziali nel tempo del numero di riproduzione effettiva (Rt) in molti paesi, inclusa l’Inghilterra.

Il dibattito resta aperto

Insomma, potrebbe non rispondere al vero, come indica anche l’articolo citato sul Lancet, dire che non ci sono prove di un’associazione fra l’apertura delle scuole e la seconda ondata dell’epidemia di Covid-19 in Italia. Lo afferma invece (già nel titolo No evidence of association between schools and Sars-CoV-2 second wave in Italy) uno studio reso noto il 18 dicembre 2020 (in preprint su medRxiv) e da poco pubblicato (nella versione peer reviewed il titolo è un po’ diverso) su The Lancet Regional Health, una rivista minore dello stesso gruppo di Lancet, a prima firma di Sara Gandini dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo).

Questa ricerca ha ricevuto alcune critiche da altri scienziati. Le obiezioni riguardano la sua strutturazione, dato che gli autori prendono in considerazione soltanto i casi di Covid fra gli studenti a lezione in presenza e non c’è un confronto con i contagi di un campione di bambini e ragazzi rimasti a casa. Altri dubbi riguardano il fatto che la ricerca si limita a considerare i contagi dal 12 settembre all’8 novembre (alcune scuole peraltro hanno chiuso prima), una fase molto precoce della seconda ondata in Italia. Senza dimenticare che oggi dominano le varianti (la variante inglese) più trasmissibili e letali per cui le stime andrebbero rifatte – Angela Merkel ha parlato recentemente di una “nuova pandemia” in Germania per la presenza di varianti Covid-19.

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[Fonte Wired.it]