Seleziona una pagina
mercoledì, Apr 29

Coronavirus: e se la pandemia creasse persone di serie B?



Da Wired.it :

Per ora è fantapolitica, ma dalla Cina alla Germania, tanti paesi si sono già mossi per immaginare società divise in base all’immunità al coronavirus (che è ancora tutta da provare). Nella storia ci sono precedenti di auto-infezioni di massa

E se la pandemia dovuta alla Covid-19 creasse delle nuove classi sociali? Potrà suonare come fantapolitica, ma a uno sguardo un po’ più attento, invece, l’ipotesi merita di essere approfondita. Pensateci: ad oggi le persone contagiate dal virus Sars-Cov-2, quelle di cui abbiamo certezza, sono oltre 3 milioni (con buone ragioni per credere che il numero reale sia molto più elevato) e la fase due dovrà necessariamente comprendere delle modalità in cui usciremo, anche se parzialmente, dalla quarantena in cui ci troviamo in quasi 3 miliardi — che, comprensibilmente, il World Economic Forum ha definitoil più grande esperimento psicologico al mondo”.

Parlando proprio di come sarà questa fase di riapertura, sul New York Times, Donald G. McNeil Jr. ha recentemente descritto tra le varie misure papabili (oltre all’utilizzo dei cosiddetti challenge trials, un processo in cui a dei volontari viene somministrato il vaccino sperimentale e poi deliberatamente contagiati per verificarne l’efficacia), proprio la divisione della società “in due classi. Scrive sempre McNeil che ci saranno “coloro che hanno già passato l’infezione, e che quindi presumibilmente hanno sviluppato una qualche immunità, e coloro che sono ancora vulnerabili”.

Non sappiamo dire quanto uno scenario simile al momento sia probabile, dato che l’Organizzazione mondiale della sanità dice che “non ci sono evidenze” che chi è già stato malato di Covid-19 sviluppa l’immunità. Eppure non è uno scenario futuribile da escludere: permetterebbe a chi non corre rischi – nel caso – di uscire tranquillamente di casa, e magari di lavorare o andare a scuola, con conseguenze sulla libertà di movimento, e anche sull’economia. In ogni caso, quel che è già certo è che per poter tornare gradualmente alla vita pubblica in società dovremo riuscire a isolare i malati, e per farlo è necessario un sistema efficiente di test sulla popolazione. A proposito Bruce Aylward (fisico ed epidemiologo canadese responsabile della missione di osservatori dell’Oms in Cina), ha affermato che se dovesse scegliere un solo strumento per contenere la pandemia sceglierebbe proprio “l’isolamento totale dei malati”.

Aylward, durante la sua missione cinese, ha osservato in prima persona gli effetti della rigidità imposta durante il lockdown della città di Wuhan, dove chiunque sia risultato positivo al nuovo coronavirus è stato confinato, anche in modo coatto. In e in generale in Occidente, non è possibile pensare a misure tanto drastiche e irrispettose delle libertà individuali: eppure questa divisione tra malati e immuni è indispensabile. Eppure creerebbe di fatto due classi di individui, i liberi e i costretti all’isolamento. Sarebbe “uno scisma terrificante”: a definirlo in questi termini è stato David Nabarro, uno degli specialisti che l’Oms schiera per affrontare la pandemia in corso.

I nuovi paria

Ma come avverrebbe, questa discriminazione? In Cina, il primo paese ad avere a che fare con l’epidemia del nuovo coronavirus, si è optato per i check-point che verificano identità e temperatura corporea insieme a dei codici Qq obbligatori: vengono rilasciati a ogni cittadino a seconda del suo stato di salute, e a seconda del colore (verde per chi non è a rischio, giallo per chi è moderatamente a rischio e rosso per chi deve stare ancora in quarantena) si possono visitare o meno luoghi pubblici, negozi, prendere i mezzi e così via. Il codice Qr è legato alle informazioni personali e di salute, e di fatto crea cittadini di tre categorie, i liberi, i parzialmente liberi e coloro che in nessun modo possono avere accesso ad alcunché. Anche in farmacia, al ristorante e al supermercato i gestori hanno il dovere di controllare il codice Qr di chi accede. In Germania, invece, si pensa a dei certificati personali da far rilasciare alle strutture ospedaliere una volta testata la presenza di anticorpi che, con un certo grado di certezza, derivano dall’aver già incontrato il virus. Secondo Anthony Fauci, il rispettato fisico e immunologo oggi consigliere del presidente americano Donald Trump, sarà necessario creare un sistema di verifica simile a quello tedesco, con delle “immunity card” che sarebbero già al vaglio della presidenza.

Il pericolo di questa prospettiva, però, è la corsa all’immunità. Vedere i propri amici e vicini di casa uscire grazie a carte, codici Qr e certificati, farà venir voglia a moltissimi di trovarla da sé, l’immunità. E così, chissà, andare a infettarsi. Soprattutto i più giovani, su cui l’infezione da nuovo coronavirus avrebbe effetti meno letali, potrebbero cercare l’immunità infettandosi di proposito. Ma anche i cittadini più poveri, che non possono permettersi di stare in quarantena per troppo tempo senza lavorare, probabilmente preferirebbero il rischio dell’infezione piuttosto che la certezza della fame.

Uno scenario di auto-infezione di massa del tutto simile, d’altronde, c’è già stato. Erano gli anni ‘80 e a Cuba la relativamente poco diffusa infezione da Hiv venne affrontata dalle autorità locali isolando in modo forzato chiunque risultasse positivo al virus all’interno di “campi di isolamento” al cui interno, però, erano garantiti servizi di sussistenza, oltre che assistenza economica e sanitaria. C’erano persino teatri e corsi di formazione. Così, moltissimi senzatetto si infettarono di proposito, proprio per poter essere internati e godere di quei servizi.

L’infezione autoindotta, nel caso cubano, avveniva tramite rapporti sessuali o iniezioni e in molti morirono prima ancora che venissero somministrati farmaci antivirali. La domanda che viene da porsi, a quarant’anni da quell’episodio, è se uno scenario simile oggi è possibile. Una risposta sembra averla Michele Barry, direttrice del Centro di innovazione all’Università di Stanford, che intervistata da McNeil sul Times ha affermato: “Mia figlia, un’economista di Harvard, continua a dirmi che le persone della sua età dovrebbero dare delle feste di Covid-19, in modo da sviluppare l’immunità al virus e permettere all’economia di andare avanti”.

Il problema dell’opinione della figlia di Barry, però, è che è grosso modo la stessa che aveva Boris Johnson nel Regno Unito, fino a non troppo tempo fa: prendiamo tutti il virus e, diciamo così, ci leviamo il dente una volta per tutte. Poi, però, ha contratto lui stesso l’infezione, è finito in terapia intensiva e ha cambiato opinione.

Anche i giovani, infatti, rischiano la vita ammalandosi di Covid-19. E se questo vale per i giovani dei paesi più ricchi e organizzati dal punto di vista sanitario, si capisce chiaramente quanto il rischio sia grande per i giovani, anche giovanissimi, dei paesi meno ricchi come alcuni stati africani e asiatici. L’immunità di gregge ricercata infettandosi non è un’opzione, quella che rimane, invece, è la separazione in classi: i liberi, e i non liberi.

Potrebbe interessarti anche





[Fonte Wired.it]