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venerdì, Mar 06

Coronavirus: i bambini hanno le stesse probabilità di infezione, ma sintomi più lievi



Da Wired.it :

Il numero inferiore di casi di bambini con coronavirus era uno dei misteri su cui si stava indagando. Uno studio cinese rivela in realtà il virus avrebbe le stesse probabilità di attaccarli rispetto agli adulti, ma in forma più leggera (e quindi non sarebbero individuati)

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(foto: Getty Images)

Una nuova ricerca che offre nuovi indizi sulla modalità di trasmissione del nuovo coronavirus, utili per riuscire a raggiungere l’obiettivo del contenimento. In altre parole, i risultati potrebbero aiutare a risolvere uno dei quesiti più urgenti dell’epidemia da Covid-19, ossia il ruolo dei bambini. Finora, infatti, si era ipotizzato che i più piccoli venissero in qualche modo, ancora sconosciuto, risparmiati dal coronavirus. Eppure, secondo i ricercatori dell’Harbin Institute of Technology di Shenzhen e del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie di Shenzhen, non lo sono affatto: i bambini avrebbero la stessa probabilità di contrarre il virus degli adulti, anche se presentano sintomi lievi. Un dato, quindi, che ci suggerisce come la decisione del governo italiano nel sospendere le attività didattiche nelle scuole e nelle università di tutta la penisola sia importante per provare a contenere l’ulteriore diffusione del coronavirus. La nuova analisi, basata sui dati dell’epidemia nella città cinese di Shenzhen, è stata appena pubblicata sul sito pre-print medRxiv (ancora da sottoporre al vaglio della peer review degli altri scienziati, quindi).

Ricordiamo che il ruolo dei bambini nell’epidemia del nuovo coronavirus era rimasto finora un mistero. Infatti, alcuni precedenti studi, come vi avevamo raccontato, evidenziavano come i bambini potessero avere molte meno probabilità di essere contagiati dal nuovo coronavirus, rispetto agli adulti. Anche se la comunità scientifica non era ancora riuscita a capirne con esattezza il motivo. Non era chiaro, infatti, se fosse perché venissero in qualche modo risparmiati dal virus, oppure se riuscissero a combattere l’infezione in modo molto più efficace rispetto agli adulti. “I bambini hanno la stessa probabilità di essere infettati e non si ammalano”, ha spiegato Justin Lessler, ricercatore della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, che ha collaborato allo studio.

Per capirlo, i ricercatori hanno esaminato sia le persone affette dalla Covid-19, sia un gran numero dei loro contatti più stretti, alcuni dei quali sono risultati successivamente positivi al nuovo coronavirus, mentre molti altri negativi. In particolare, i ricercatori hanno monitorato 391 persone a cui era stata diagnosticata la malattia dal 14 gennaio al 12 febbraio scorsi e altre 1.286 persone con cui hanno avuto contatti stretti, per capire se risultavano positivi al virus, anche se erano asintomatici. Dai risultati è emerso che i casi di contagio avevano in media 45 anni di età, in ugual misura tra uomini e donne. Il 91%, inoltre, presentava sintomi lievi al momento della diagnosi e le persone che vivevano nella stessa famiglia di una persona positiva al coronavirus avevano una probabilità di circa sei volte maggiore di contrarre il virus, rispetto a chi ha avuto contatti con una persona infetta, ma in altri contesti.

Ma non solo: il team ha scoperto che i bambini di età inferiore ai 10 anni potenzialmente esposti al virus avevano la stessa probabilità di contrarre l’infezione rispetto alla popolazione generale, sebbene con meno possibilità di presentare sintomi gravi. “Questa potrebbe essere la prima chiara evidenza che i bambini sono sensibili quanto gli adulti all’infezione da Sars-CoV-2”, ha spiegato a Nature Ben Cowling, ricercatore dell’Università di Hong Kong. Tuttavia, rimane ancora un mistero il perché non siano ancora stati osservati focolai nelle scuole. Probabilmente, ipotizzano i ricercatori, perché i bambini hanno generalmente sintomi lievi. “Questo è uno studio chiave che può supportare la chiusura delle scuole come un intervento efficace”, ha scritto in un tweet Caitlin Rivers, della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health.

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[Fonte Wired.it]