Seleziona una pagina
venerdì, Apr 03

Coronavirus, tutti i numeri che la Protezione civile non dice



Da Wired.it :

Alcuni dati sull’epidemia di Covid-19 non sono proprio stati raccolti (ed è un problema), altri vengono spiegati male, qualcuno è notoriamente sottostimato e su altri ancora si glissa

coronavirus_dati_protezione_civile
Angelo Borrelli (foto: Cosimo Martemucci/LightRocket/Getty Images)

La conoscenza esatta e assoluta di tutto quel che sta accadendo con il Sars-Cov-2 in Italia potrebbe averla, nel mondo ideale, solo un osservatore onnisciente. Nel mondo reale, a farci da narratore principale dell’epidemia in queste settimane è di fatto la Protezione civile, che fa sia da collettore di tutto ciò che proviene dalle Regioni sia da punto di riferimento quotidiano per chiunque voglia qualche aggiornamento sugli sviluppi della curva epidemica e sulla gestione dell’emergenza.

E se certo nessuno può pretendere l’onniscienza o la preveggenza tra le capacità del capo dipartimento Angelo Borrelli e dei numerosi e titolati esperti che si alternano al suo fianco, più passa il tempo e meno diventa tollerabile il fatto che i dati ufficiali siano nella migliore delle ipotesi parziali, in gran parte del tutto assenti quando si tratta di elementi rilevanti, e in qualche occasione pure travisati. Qualcuno ha parlato (probabilmente non a torto) di vere e proprie “bugie”. Con un pizzico di indulgenza in più, le si potrebbero chiamare problematiche omissioni.

L’impressione, peraltro confermata e rafforzata a ogni appuntamento delle 18:00, è che i numeri che abbiamo a disposizione siano sostanzialmente inutili per capire l’evoluzione dell’epidemia, a meno di limitarsi a un genericissimo “sta andando sempre peggio/un po’ meglio/sempre uguale“. Ma tutte le volte che un giornalista chiede chiarimenti sull’incertezza associata ai valori forniti, o vorrebbe una spiegazione per interpretare i dati, o evidenzia qualche contraddizione nelle cifre ufficiali, le risposte sono sempre dello stesso tenore, con fortissimo stridore di specchi.

I problemi dei numeri nei bollettini

Ormai alcune cose le hanno imparate anche i muri, e ci limitiamo a ricapitolarle. Il numero dei nuovi casi positivi è sottostimato, probabilmente di un fattore 5 o 10, perché i tamponi vengono eseguiti in sostanza sui soli soggetti (molto) sintomatici, e di fatto la maggior parte dei contagiati con sintomi lievi o assenti non viene mai formalmente dichiarata affetta da Covid-19. Pure il numero dei decessi è sottostimato, come dimostrano le tante persone morte in casa (o nelle case di riposo) con sintomi compatibili con l’infezione da coronavirus e mai sottoposte a tampone. Sulla base dei confronti con il tasso medio di mortalità, nelle zone più colpite potremmo avere facilmente il doppio o il triplo di morti rispetto al computo ufficiale. Per i guariti vale qualcosa di simile, ma nel verso opposto: anche se meno rilevante, pure quel numero è un po’ falsato perché include in modo indiscriminato sia chi è stato dichiarato guarito dopo un doppio tampone negativo, sia chi è clinicamente guarito poiché non mostra più sintomi, sia chi è migliorato al punto da essere semplicemente dimesso dall’ospedale. Certo, non sono più persone che rischiano la vita, ma potrebbero essere ancora positive al virus e contagiose.

Alla luce di questi inghippi nei dati d’origine, il numero ricavato delle persone attualmente positive (quello su cui si insiste nelle conferenze stampa, come noto in modo un po’ ingarbugliato) ha un’incertezza che è la somma di tutte quelle dei dati di partenza. Se poi a questo si aggiunge che i dati giungono con ritardi diversi dalle varie regioni, con tempi e strategie di esecuzione differenti dei tamponi a seconda della zona, e con un mix statistico variabile, il bollettino quotidiano sarà anche bollinato con l’ufficialità, ma in quanto ad accuratezza andrebbe ammesso che la perfezione è molto lontana.

I dati grandi assenti

Se è più che comprensibile – visto il ritardo generale con cui il sistema Paese ha affrontato il coronavirus e la crescita rapidissima dei contagi – che alcuni dati siano imprecisi, difficilmente si spiega come mai altri numeri risultino ancora del tutto non disponibili. Per esempio non c’è una stima ufficiale, almeno in termini di ordine di grandezza, di quale sia il numero verosimile di persone contagiate e di quelle decedute con la Covid-19. Ossia, di conseguenza, manca una valutazione sensata della letalità effettiva della malattia, che non sia la semplice letalità apparente ricavata dal rapporto tra il numero (sottostimato) dei morti e quello (sottostimato) dei contagiati. Non ha senso, infatti, stare a commentare una variazione di qualche punto percentuale nelle cifre ufficiali se poi siamo tutti d’accordo che quelle cifre siano profondamente sbagliate, e non sappiamo nemmeno dare un’idea di quanto.

In altri casi non vengono comunicati (nemmeno di fronte a richieste esplicite) dei numeri che non possono non esserci. Il più eclatante è probabilmente il numero di persone sottoposte ad almeno un tampone. Conosciamo infatti il numero di tamponi complessivamente eseguiti (con dettaglio giorno per giorno), ma non sappiamo quanti di questi fossero il secondo, il terzo o magari il quarto tampone fatto sempre sulla stessa persona. Di conseguenza, quindi, non possiamo sapere quale sia la frazione della popolazione censita, e pure il chiacchieratissimo rapporto tra casi positivi e tamponi di fatto significa poco o nulla, in quanto nel computo dei tamponi rientrano pure quelli per la verifica delle guarigioni.

Al di là di quale sia l’ente deputato alla raccolta dei singoli dati, le nostre istituzioni non sono ancora stato in grado di fornire il numero di persone decedute nelle case di riposo, la differenza nella mortalità generale del 2020 rispetto agli anni passati (con l’eccezione di circa un comune su sette, per i quali abbiamo i dati), l’età media delle persone ricoverate in terapia intensiva, la probabilità di sopravvivenza dei pazienti ricoverati in ospedale, e così via.

Quegli zeri che di sicuro non lo sono

L’arma retorica preferita per difendersi dalle domande scomode dei giornalisti e glissare sugli argomenti spinosi è diventata da tempo il classico “a me non risulta”, oppure il “non ci è arrivata alcuna segnalazione”, affiancata a volte dalla giustificazione che sono le regioni a non fornire le informazioni. Ora, che non risulti formalmente e che non sia stato segnalato può pure essere vero – nessuno lo mette in dubbio – ma il fatto che un coordinamento nazionale paia essere all’oscuro di dinamiche per le quali ci sono decine o centinaia di testimonianze dirette solo sulla stampa non è un buon segno. Il non risulta, infatti, è un’aggravante che dimostra come qualcosa non stia funzionando, non un modo per negare che i problemi esistano. Ma facciamo qualche esempio.

Quante sono, secondo la Protezione civile, le persone che non hanno potuto accedere alle terapie intensive a causa del sovraccarico degli ospedali? Zero. Eppure ci sono medici che ci dicono che hanno dovuto scegliere chi curare e chi no, ci sono le già citate migliaia di persone morte fuori dagli ospedali a cui non è mai stato fatto nemmeno un tampone, e c’è quello strano gomito nell’andamento della percentuale di pazienti ricoverati in terapia intensiva che guarda-caso coincide con il momento in cui i reparti hanno raggiunto la massima capienza. Ufficialmente, gli unici pazienti che non hanno trovato spazio in Lombardia sono quel centinaio di trasferiti tramite il sistema interregionale Cross in altre zone . Ufficialmente tutti hanno ricevuto il massimo delle cure possibili, con soccorsi tempestivi e con il ricovero in terapia intensiva tutte le volte che poteva essere utile. Ma nella pratica non è andata così, eppure la risposta continua a essere zero.

Poi, quanti sono gli ospedali che hanno affrontato una fase critica, in cui i pazienti non hanno ricevuto la miglior assistenza possibile? Zero. Mai, dall’inizio dell’epidemia, è stato segnalato dal coordinamento nazionale un disservizio del sistema sanitario, se non attraverso generici riferimenti a una situazione molto intensa. Tuttavia, cronache locali alla mano, sono diverse le storie di ambulanze chiamate per urgenze e sopraggiunte anche mezza giornata dopo, e tutti siamo rimasti colpiti dalle dichiarazioni di medici affranti che hanno dovuto dare la precedenza ai pazienti con più possibilità di cavarsela. Naturalmente in questo caso non si può pretendere un valore numerico preciso, ma si potrebbe ammettere che non si tratta di uno zero.

E quante sono, secondo gli esperti che hanno preso parte alle conferenze stampa, le persone su cui non è stato fatto il tampone ma su cui si sarebbe dovuto eseguire il test? Zero. Ciò equivale ad affermare, in base alle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità che tutti ribadiscono di aver seguito, che a tutte le persone che abbiano avuto almeno un sintomo tra febbre, tosse e difficolta respiratore sarebbe stato fatto il tampone. Dobbiamo crederci? Probabilmente qualunque italiano ha tra le proprie conoscenze almeno una persona che potrebbe confutare questa risposta per esperienza diretta.

Certo, da un lato c’è la necessità di restare aderenti ai dati ufficiali e non lasciarsi andare alle speculazioni, dall’altro c’è pure la volontà di rassicurare e non creare il panico. Poi c’è la certezza che, di fronte all’eventuale ammissione che questi zeri non sono degli zeri, la domanda successiva sarebbe “e allora quanti?”. A quel punto bisognerebbe ammettere che non solo quel problema esiste (o perlomeno è esistito), ma anche che è stato numericamente piuttosto grande, e che nessuno sa davvero quanto.

Potrebbe interessarti anche





[Fonte Wired.it]