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mercoledì, Set 25

Cosa dice la risoluzione del Parlamento Ue che equipara nazismo e comunismo?


Ha fatto molto discutere, anche e soprattutto perché è stata approvata con i voti del Partito democratico. Il testo contiene qualche inesattezza storica e diverse semplificazioni che ora dividono la sinistra

Le bandiere naziste e comuniste sulla facciata della Sinfonia Varsovia, a Varsavia, Polonia (foto: NurPhoto/NurPhoto via Getty Images)

Giovedì 19 settembre il Parlamento europeo ha approvato, con 535 voti a favore, una risoluzione intitolata “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, un documento presentato congiuntamente da membri dei principali gruppi per commemorare l’anniversario degli 80 anni dallo scoppio della Seconda guerra mondiale, ma che è diventato il pretesto per l’ennesimo scontro interno alla sinistra italiana.

L’oggetto del contendere si troverebbe in alcuni passaggi del testo finale votato in aula a Strasburgo, considerati piuttosto critici nei confronti dell’ideologia comunista e dei suoi simboli, che nel documento vengono di fatto equiparati all’ideologia e ai simboli del nazismo.

L’aspetto più sottolineato della questione riguarda però il fronte favorevole alla proposta, una maggioranza trasversale che sul versante italiano annovera Forza Lega e Fratelli , ma anche 13 deputati del Partito democratico (erano 14, prima che Pietro Bartolo cambiasse il suo voto, scusandosi con i suoi elettori), erede diretto di un’esperienza politica conosciuta fino al 1991 come Partito comunista italiano.

Come nasce la risoluzione

La formula definitiva del testo è il punto di caduta di quattro diverse proposte di risoluzione, presentate rispettivamente da Ppe, S&D, Renew ed Ecr, grossomodo il centrodestra, il centrosinistra, i liberali e i sovranisti europei.

Delle quattro alternative originali, la più dura (ma anche quella con minori possibilità di essere approvata) era naturalmente quella presentata da Ecr, redatta da esponenti dell’Europa centrale, ultima area del continente a sperimentare una dittatura comunista. In questa versione del testo, la maggior parte dei punti erano dedicati alla condanna del comunismo, citando frettolosamente e con la stessa enfasi Olocausto, gulag, deportazioni sovietiche dai paesi baltici e carestia ucraina, ma soprattutto sottolineando “un’urgente necessità di sensibilizzare e di effettuare valutazioni morali e giuridiche dei crimini delle dittature comuniste”, come già accaduto con quelli nazisti, “giudicati e puniti attraverso i processi di Norimberga”.

La proposta arrivata dal lato opposto dell’emiciclo porta invece le firme dell’olandese Kati Piri e della portoghese Isabel Santos, entrambe incluse nel gruppo parlamentare dell’Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici, e cita esplicitamente una risoluzione del 2018 sull’aumento della violenza neofascista in Europa, facendo riferimento ai crimini del nazismo e dello stalinismo (il comunismo è citato appena 2 volte, contro le 14 della proposta sovranista).

Alla fine la scelta è ricaduta su una proposta di risoluzione comune, una sintesi delle quattro posizioni arrivata al termine di un breve negoziato, nel quale la formazione del socialismo europeo ha influito “in maniera non completamente soddisfacentesecondo l’eurodeputato Brando Benifei, ma comunque abbastanza da scongiurare “un testo che altrimenti avrebbe avuto molto maggiormente l’impronta dei gruppi della destra dura”.

Il testo della risoluzione

Il primo aspetto problematico della risoluzione è quello relativo alla sua aderenza storica, in particolar modo nel passaggio in cui si fa riferimento al famigerato patto Molotov-Ribbentrop come direttamente responsabile dello scoppio della seconda guerra mondiale.

Come sottolinea lo storico Guido Crainz su Repubblica, infatti, tale affermazione evidenzia una visione quantomeno semplificata della storia, dal momento che lo stesso trattato di non aggressione tra Reich e Unione sovietica fu la diretta conseguenza delle mire espansionistiche di Hitler e di quella che Crainz definisce “l’impotenza con cui le democrazie europee assistettero all’escalation hitleriana, sino al sostanziale avvallo dato ad essa a Monaco”.

Il patto tra nazismo e comunismo stalinista è stato spesso utilizzato per mettere sullo stesso piano i due totalitarismi, ma nel mondo accademico non esiste alcuna uniformità di giudizio circa quella che nel documento è tratteggiata come un’alleanza naturale. Secondo lo storico americano George Frost Kennan, ad esempio, Stalin “dovette rendersi conto che prima o poi si sarebbe trovato davanti a una scelta: o entrare in guerra contro Hitler o arrivare a un’intesa con lui. Era l’unico mezzo per guadagnar tempo, un modo per allargare le proprie possibilità di manovra e intensificare i preparativi militari”.

Se l’opportunità del trattato e la doppiezza dimostrata dall’Unione Sovietica di Stalin è argomento ancora dibattuto, lo stesso non può dirsi della tragica eredità dello stalinismo, i cui crimini sono stati denunciati già a partire dal 1956, con la relazione di Nikita Krusciov al XX congresso del Pcus. In questo caso però, a dividere la sinistra sono alcuni passaggi del testo in cui, tra le righe, le esperienze storiche di nazismo e comunismo vengono assimilate.

Espressioni come “condanna con la massima fermezza gli atti di aggressione, i crimini contro l’umanità e le massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari”, “esprime inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali e ricorda che alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti” e “in alcuni stati membri la legge vieta le ideologie comuniste e naziste” sono state accolte pressoché integralmente dal testo proposto da Ecr e hanno mandato su tutte le furie esponenti di una sinistra che, seppur con differenti sfumature, ha mantenuto una certa continuità con l’esperienza della falce e martello.

Da Nicola Fratoianni (Sinistra italiana) che ha commentato la risoluzione come “un atto di ignoranza o malafede”, a Francesco Laforgia e Luca Pastorino (LeU), fino a Maurizio Acerbo e Marco Rizzo, leader rispettivamente di Rifondazione Comunista e Partito Comunista. Ma alcuni distinguo sono arrivati dall’interno dello stesso Pd, con la presa di posizione dell’eurodeputato fresco di nomina Pierfrancesco Majorino, che su Facebook ha motivato il suo voto contrario con la volontà di evitare “banalizzazioni pericolose”, e Massimiliano Smeriglio, ex braccio destro di Nicola Zingaretti che ha definito il testo “confuso e contraddittorio”.

Il voto più criticato è stato in ogni caso quello di Giuliano Pisapia, eletto con il Partito Democratico nella circoscrizione nord-ovest, ma approdato per la prima volta nel parlamento italiano come indipendente nelle liste di Rifondazione comunista. In molti non gli hanno perdonato il voto favorevole alla risoluzione e c’è chi è arrivato a parlare di tradimento. L’ex sindaco di Milano ha provato a difendersi con un post su Facebook in cui parla di frasi sbagliate o poco chiare, ma chiudendo il caso sottolineando come non si potesse votare contro “una giornata per le vittime dei regimi totalitari”.

 

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