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giovedì, Gen 16

Cosa dicono i dati sulle differenze di classi sociali a scuola


Una scuola di Roma ha subito accuse di classismo per aver diviso i plessi dell’istituto per censo. I dati di un’indagine Ocse del 2018 mostrano che le differenze di classe sono, di fatto, ancora una grande discriminante nel percorso educativo

(foto: Getty Images)

Nelle ultime ore si è molto discusso del caso di una scuola di Roma, l’Istituto Comprensivo Via Trionfale, che ha messo nero su bianco – in una sua presentazione su internet poi corretta – l’estrazione sociale dei diversi alunni in base alle sedi dell’istituto. In pratica, ha chiarito che in un plesso studiano i ragazzi “dell’alta borghesia” e in un altro, alunni di “estrazione medio-bassa”. La notizia, riportata da Leggo.it, ha suscitato molte reazioni, fra cui quella della neo ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, che ha detto che descrivere e pubblicare la propria popolazione scolastica per censo non ha senso. Il consiglio d’istituto, in replica, ha spiegato che si trattava di una “mera descrizione socio-economica del territorio, secondo le indicazioni del Ministero per la redazione del Pof (Piano dell’offerta formativa, ndr)”.

L’episodio di fatto è però sintomatico di una situazione che esiste nel paese, ovvero di come la classe sociale influisca durante il percorso educativo e, quindi, nella carriera dello studente. Se si guardano gli ultimi dati, si troverà uno studio realizzato dall’Ocse nel 2018 chiamato proprio “Equity in Education”. Dall’indagine condotta emerge che l’ascensore sociale nell’ambito dell’istruzione è sostanzialmente fermo. “Il divario di rendimento scolastico tra bambini avvantaggiati e svantaggiati si sviluppa già dai 10 anni e si allarga durante la vita degli studenti” si legge nel rapporto. Nel dettaglio, “nei paesi Ocse con dati comparabili, oltre i due terzi del divario di rendimento osservato all’età di 15 anni e circa i due terzi del divario tra i 25-29 anni era già stato rintracciato tra i bambini di 10 anni”.

(Fonte: Ocse)

In altre parole, lo studio rintraccia un forte legame tra il profilo socio-economico di una scuola e il rendimento di uno studente. “Gli studenti che frequentano scuole più avvantaggiate dal punto di vista socioeconomico ottengono risultati migliori nella Pisa” e cioè un’indagine triennale promossa dall’Ocse che valuta in quale misura gli studenti in tutto il mondo hanno acquisito le conoscenze e le competenze essenziali per la piena partecipazione alla società, valutando essenzialmente tre ambiti: lettura, matematica e scienze. Dall’ultimo rilevamento Ocse, emerge che solo il 12 per cento degli studenti più svantaggiati sulla scala socio-economica riesce a raggiungere il novero dei migliori. E solo il 6 per cento dei meno abbienti viene iscritto negli istituti prestigiosi.

Una cifra bassa che, come riportava Repubblica nel 2018, dimostra un divario più grande: “Sulla scala Pisa, più di 150 punti separano la valutazione media del 25 per cento più bravo dal punteggio raggiunto dal 25 per cento più svantaggiato”. Equità nell’istruzione significa – spiega in una nota l’analista Daniel Salinas – che “gli studenti con diverso stato socio-economico raggiungono livelli simili di rendimento accademico e di benessere sociale ed emotivo avendo le stesse probabilità di accedere all’istruzione secondaria”. Per questo è fondamentale anche l’apporto degli insegnati: “Le scuole superiori con una maggiore concentrazione di studenti svantaggiati”scrive Orizzonte scuola – “tendono ad avere una percentuale minore di insegnanti abilitati (83 per cento contro il 97). Le scuole difficili e periferiche, nel 2015, avevano più insegnanti precari”.

In conclusione, quindi, ghettizzare gli studenti per classi sociali – seppur l’istituto al centro della polemica abbia di fatto scritto come stavano le cose e non operato una distinzione al momento dell’iscrizione – di certo non aiuta l’inclusione, ma è opinione comune a molti esperti che dovremmo preoccuparci dei risultati di questi studenti. Il caso rappresenta una realtà di fondo, che si può cambiare solo cambiando solo intervenendo con dei cambiamenti strutturali. E non contando, come spiega il report, solo sul riscatto del singolo alunno più svantaggiato.

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