Israele, che ha dato il via al conflitto con l’Iran due settimane fa, ha accolto con entusiasmo l’intervento americano. Netanyahu ha diffuso domenica una dichiarazione scritta per ringraziare pubblicamente Trump: “Congratulazioni, presidente Trump. La tua audace decisione di colpire le strutture nucleari dell’Iran con la potenza fantastica e giusta degli Stati Uniti cambierà la storia”. Durante una conferenza stampa preregistrata domenica sera, Netanyahu ha affermato che gli attacchi americani hanno inflitto danni molto seri al sito di Fordow e che “stiamo avanzando passo dopo passo verso i nostri obiettivi. Siamo molto vicini al loro raggiungimento”.
L’Iran nega i danni sostanziali
Dal fronte iraniano, l’Organizzazione per l’energia atomica dell’Iran ha comunicato domenica pomeriggio che i controlli radiologici nei tre siti colpiti non hanno registrato alcuna contaminazione. L’agenzia ha dichiarato che “dopo l’attacco illegale americano sui siti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan, i rilevamenti sul campo e i dati dei sistemi di radiazione hanno mostrato: nessuna contaminazione registrata”. Il ministro degli Esteri Abbas Araghchi ha pubblicato una dichiarazione su X, accusando gli Stati Uniti di aver “varcato la linea rossa” attaccando “le installazioni nucleari pacifiche dell’Iran”, Aragchi, incontrerà Putin domani per discutere delle conseguenze dell’attacco e dei futuri equilibri regionali.
La narrazione americana sull’efficacia dei raid degli Stati Uniti in Iran viene però contestata ufficialmente da Teheran. Manan Raeisi, deputato di Qom – la città più vicina all’impianto di Fordow – ha definito i danni provocati “abbastanza superficiali”, smentendo le affermazioni del presidente Donald Trump, secondo cui i bombardamenti avrebbero causato una “distruzione totale”. Il dettaglio più rilevante, però, è emerso da alcuni funzionari iraniani, che avrebbero riferito oggi a Reuters che “la maggior parte dell’uranio altamente arricchito presente nell’impianto di Fordow era stata trasferita altrove prima dell’attacco”. Se confermata, l’informazione indicherebbe che Teheran è riuscita a mettere al sicuro i materiali nucleari più sensibili.
Nel frattempo, il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, in una telefonata con l’omologo francese Emmanuel Macron, ha affermato che “gli americani devono ricevere una risposta alla loro aggressione”. Tra le ipotesi considerate da Teheran per una possibile ritorsione figurano le basi militari statunitensi in Iraq, Qatar, Emirati Arabi e Bahrein – tutte nel raggio dei missili iraniani – oppure la chiusura dello Stretto di Hormuz, da cui transita circa il 20% del petrolio mondiale. La risposta americana non si è fatta attendere. Il Dipartimento di Stato ha emesso un “worldwide caution alert” rivolto a tutti i cittadini statunitensi all’estero; anche le basi americane presenti in Italia sono state poste in stato di massima allerta.
La situazione interna iraniana è più complessa di quanto appaia: mentre il regime organizza manifestazioni anti-americane, l’opposizione rimane frammentata e molti attivisti del movimento “Donna, Vita, Libertà” del 2022 sono riluttanti a scendere in piazza durante i bombardamenti. Alcuni oppositori hanno però promesso che “dopo la fine degli attacchi alzeremo le nostre voci perché questo regime è responsabile della guerra”.