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Cosa fa G42, la società degli Emirati Arabi che vuole entrare nell’Olimpo dell’AI

da | Mag 24, 2025 | Tecnologia


La sfida qui, come per tutti, è portare avanti la tecnologia limitando l’impatto ambientale, in altre parole, innovazione e sostenibilità. Non facile. Ma una strada, questa, che gli Emirati Arabi, nella loro corsa alla diversificazione economica dal petrolio, hanno già intrapreso da anni.

Mohammed Soliman, ricercatore al Middle East Institute, intervistato dal quotidiano emiratino The National, ha sottolineato che l’energia necessaria per alimentare l’intelligenza artificiale offre agli Emirati Arabi Uniti e all’Arabia Saudita una leva importante. “Penso che il vero collo di bottiglia per l’intelligenza artificiale sia l’energia – ha affermato Soliman -. Quindi cosa offrono i paesi del Golfo? Una rapida e massiccia espansione dell’infrastruttura di AI in grado di proporre l’informatica come servizio alle nazioni di tutto il mondo“.

Nuke for AI

L’offerta energetica degli Emirati Arabi, dunque, che arrivi principalmente dal petrolio (come ancora avviene oggi), oppure dal nucleare e dalle rinnovabili (secondo il piano del paese per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050) li renderebbe un luogo attraente per gli investimenti nel settore e un modello da seguire. L’anno scorso la quarta e ultima unità della centrale nucleare di Barakah, che sorge nel deserto intorno ad Abu Dhabi, è stata collegata alla rete elettrica degli Emirati Arabi, diventando la più grande fonte singola di elettricità nucleare in Medio Oriente. All’inizio di quest’anno, invece, Abu Dhabi ha inaugurato quello che è stato descritto come il primo impianto al mondo in grado di fornire energia rinnovabile su larga scala 24 ore su 24. Progetto di Masdar (società che si occupa di rinnovabili, finanziata dal fondo sovrano Mudala oltre che dalla compagnia petrolifera nazionale Adnoc), prevede di combinare 5 gigawatt di capacità solare con 19 gigawattora di accumulo a batteria, per produrre 1 gigawatt di energia pulita ininterrotta. Parchi solari come il Mohammed bin Rashid Al Maktoum Solar Park o il Noor Abu Dhabi Solar Power Project, tra i più grandi al mondo dopo quelli cinesi, possono fornire energia pulita a un costo molto competitivo, tra i più bassi sul mercato: intorno a 1,35 centesimi di dollaro per kilowattora (il dato arriva dalla Dubai Electricity & Water Authority).

Geopolitica e microchip

E poi la geopolitica, che può passare anche attraverso i microchip. L’accordo tra Donald Trump e gli sceicchi sull’intelligenza artificiale rappresenta un risultato fondamentale per Abu Dhabi e, a conti fatti, vantaggioso anche per gli Stati Uniti che tornano, almeno con il loro know how tecnologico, ad avere un peso nella ragione. Il Segretario al Commercio statunitense Howard Lutnick ha definito l’intesa “diplomazia dell’intelligenza artificiale che contribuirà a consolidare il patrimonio tecnologico americano nella regione”, come ha scritto su X. Abu Dhabi, invece, rilancia così le relazioni con un alleato di lunga data, gli Stati Uniti appunto, pur mantenendo solidi i rapporti con la Cina, divenuta negli anni il principale partner commerciale sulla Nuova via della seta. Erano stati proprio i legami sempre più stretti con Xi Jinping, infatti, ad avere finora limitato l’accesso agli Emirati Arabi alle tecnologie AI e ai chip statunitensi, con una norma voluta dal precedente presidente Joe Biden per evitare di consegnare alle autocrazie mediorientali legate alla Cina, un vantaggio nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Norma che, bloccando l’import di microchip in alcuni stati (tra i quali le monarchie del Golfo) sulla base del loro grado di allineamento o meno con gli Stati Uniti, tentava di ostacolare la Cina nella corsa ai semiconduttori avanzati e di evitare che la tecnologia americana potesse finire nelle mani di Pechino anche attraverso terze parti. La costruzione del campus, e la conseguente fornitura di michrochip, permette dunque di di bypassare la normativa Biden, senza compromettere i legami commerciali con la Cina.

Per ora, e come garanzia di sicurezza, in cambio delle tecnologie statunitensi, i data center emiratini saranno gestiti da aziende americane. Oltre all’impegno degli Emirati, scrive la Casa Bianca, “ad investire, costruire o finanziare data center statunitensi grandi e potenti almeno quanto quelli degli Emirati”. Abu Dhabi ha dichiarato inoltre di “allineare le proprie normative sulla sicurezza nazionale a quelle degli Usa, tra cui forti tutele per impedire lo sviamento di tecnologie di origine statunitense”, assicura Washington. Garanzia troppo blanda, secondo molti, per evitare che il know how americano finisca in Cina, anche perché negli Emirati Arabi operano diverse aziende cinesi del settore, da Huawei e Alibaba Cloud. “I controlli sulle esportazioni dell’amministrazione Biden non sono mai stati concepiti per catturare amici, alleati e partner strategici”, ha però dichiarato a Riyadh lo zar del presidente americano per cripto e AI, David Sacks. E per la guerra di Trump contro la Cina, questo è un rischio che probabilmente si può correre.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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