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giovedì, Nov 21

Cosa impareremo da una spedizione di sole donne in Antartide


Per sensibilizzare il mondo sulla disparità di genere nella scienza e promuovere la diplomazia scientifica, la spagnola Marga Gual Soler porterà al Polo Sud 100 donne provenienti da 33 paesi. L’abbiamo intervistata

(foto: Monaco Palace via Getty Images)

Secondo i dati del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine, le temperature a Maiorca tra il 2000 e il 2018 sono state superiori a quelle registrate in tutto il Ventesimo secolo di 0.7°C. Il numero di giorni caldi (cioè sopra i 27°C) è passato da uno all’anno nel secolo scorso, a oltre 10 nel primo decennio degli anni 2000.

Marga Gual Soler è cresciuta sull’isola nel bel mezzo del Mediterraneo, appassionandosi fin da piccola all’ambiente che la circondava, e ben presto alla sua salvaguardia. Così, durante gli studi in biologia e scienze molecolari, ha iniziato a osservare il cambiamento climatico con gli occhi di un’esperta. All’epoca del suo dottorato di ricerca nel Queensland, in Australia, la passione per le immersioni subacquee è arrivata insieme alla consapevolezza che la barriera corallina si stava già visibilmente sbiancando. Per migliorare le cose, tra poco prenderà parte a una spedizione record: sarà fatta esclusivamente di donne e avrà come meta il posto più simbolico del mondo, l’Antartide.

Il percorso che l’ha portata fino a intraprendere questa avventura è iniziato sette anni fa. Gual Soler lavorava come biologa, quando ha deciso di dare una svolta alla sua carriera. “Mi sono accorta del profondo divario tra la comunità scientifica e quella della politica internazionale, così ho deciso di dedicare la mia carriera a costruire un ponte tra le due”, ci racconta in un’intervista. Da allora, ha lavorato come diplomatica scientifica per avvicinare la scienza alla società e fare le veci del clima nella diplomazia internazionale.

La diplomazia scientifica consiste nell’uso della collaborazione scientifica internazionale per migliorare le relazioni e creare partenariati costruttivi tra paesi e società”, spiega Gual Soler. “La scienza è un linguaggio universale: è stata usata nel corso della storia per costruire legami e gli scienziati hanno continuato a collaborare con i loro colleghi in tutto il mondo, anche quando altri canali erano chiusi”. Mentre questa pratica esiste da secoli e ci sono esempi recenti molto noti – come il Trattato Antartico o la Stazione spaziale internazionale – la diplomazia scientifica è stata riconosciuta come materia a sé soltanto nel 2010 con un rapporto congiunto pubblicato l’American Association of the Advancement of Science (Aaas) e dalla Royal Society.

Gual Soler ha lavorato per cinque anni al Center for Science Diplomacy, ed è parte integrante dei progetti Horizon 2020, di Inventing a Shared Science Diplomacy for Europe (InsSciDE) e di Science Diplomacy for Global Challenges (S4D4C).

Marga Gual Soler parla alla March for Science del 2018

Ma il più grande risultato è stato supervisionare la partnership tra gli Stati Uniti e Cuba su scienze ambientali e salute, un accordo storico per due paesi ostili da 50 anni. “È uno dei progetti di cui vado più fiera, perché ho potuto mettere alla prova la diplomazia scientifica sul campo ed è stato molto soddisfacente”.

Il suo approccio si basa sull’educazione e la formazione dei leader futuri, prendendo spunto dalla cultura anglosassone che incoraggia questo aspetto della ricerca. “Negli Stati Uniti e nel Regno Unito ci sono meccanismi molto avanzati per connettere accademici e decisori politici. Per esempio gli studenti di dottorato possono trascorrere un paio di mesi in un ufficio governativo o parlamentare”, spiega Gual Soler. “Nella maggior parte dei paesi del mondo, c’è invece molta resistenza all’idea che uno scienziato possa funzionare in altre sezioni della società che non siano il suo laboratorio o una scrivania. Quindi finisce che manca una politica basata sui fatti scientifici e il ministro della ricerca non parla nemmeno con quello degli esteri”.

E di una cosa è convinta: “Dobbiamo rendere il dialogo la norma, incentivarlo per gli scienziati anche dal punto di vista della loro carriera, perché la comprensione della scienza da parte della società è cruciale”.

Creare queste connessioni richiede tempo ed è specialmente complicato se si è una giovane donna. “Puoi venire ignorata, puoi ricevere un sacco di mansplaining, ma questo è semplicemente essere una donna nel mondo. In certe sfere, non è nemmeno accettato che persone giovani occupino le posizioni più alte”. Il suo prossimo passo sarà non per niente quello di aderire a Homeward Bound, insieme ad altre 100 donne provenienti da 33 paesi diversi e 25 discipline diverse. Il gruppo partirà da Ushuaia in Argentina il prossimo 22 novembre e visiterà fino a 10 basi e stazioni di ricerca in tre settimane, ma il lavoro diplomatico che porta avanti è iniziato circa un anno fa.

Homeward Bound si basa sull’idea che la crisi climatica non sia riducibile a un problema ambientale, economico o politico: le donne coinvolte sono convinte che il vero problema sia fondamentalmente una crisi di leadership a tutti i livelli e in tutti i settori della società. “E uno dei modi per affrontare questo problema è costruire strutture di leadership più diversificate e inclusive a tutti i livelli. Per quanto mi riguarda, guardo il livello macro, il quadro globale – ed è una sfida per la diplomazia e il modo in cui i paesi scelgono di collaborare oppure di competere tra loro”. Ecco perché occorre ristabilire l’importanza della scienza: “Non esiste soluzione alla crisi climatica se i nostri processi decisionali e le politiche pubbliche non sono informati dalla migliore scienza disponibile”.

Perché proprio in Antartide? “In fondo è il luogo simbolo della diplomazia scientifica, una sentinella per i cambiamenti climatici. Nessuno possiede l’Antartide, appartiene a tutti noi, che dobbiamo parlare per questa terra che non ha popoli indigeni. Sono molto entusiasta di essere lì per celebrare il 60° anniversario del Trattato antartico il 1° dicembre”.

C’è un motivo anche dietro alla scelta di promuovere il lavoro e l’esperienza delle donne in una forma di ‘discriminazione positiva’. “Abbiamo bisogno di più donne con background scientifici che guidino il futuro del nostro pianeta”, sostiene Gual Soler. “Le donne sono influenzate in modo sproporzionato dai cambiamenti climatici e dalle sue conseguenze, ma le loro voci non sono sempre ascoltate a causa della mancanza di rappresentanza nel processo decisionale. Migliorare la partecipazione e la leadership delle donne è fondamentale per un futuro sostenibile per tutti. Lo stile di leadership femminile (collaborativo, a lungo termine, inclusivo) fa bene al pianeta!”.

Eppure secondo l’ultimo rapporto Unesco, a livello globale il 72 percento dei ricercatori scientifici sono uomini. Soltanto un paese su cinque raggiunge quella che viene classificata come parità di genere laddove le donne costituiscono il 45-55 percento dei ricercatori. In Europa le donne costituiscono ancora soltanto il 41 percento di scienziati e ingegneri.

Oltre al noto pay-gap, le donne nel mondo Stem (ovvero le quattro discipline di scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) soffrono di una sorta di fundraising gap. Il sesso costituisce una differenza del 10 percento nei guadagni delle donne che raccolgono fondi rispetto ai loro colleghi, secondo una ricerca pubblicata dall’Associazione dei professionisti della raccolta fondi (Afp). Una ricerca di Crunchbase mostra che le società avviate da donne hanno ricevuto solo il 3 percento del capitale investito in tutto il mondo i primi sei mesi del 2019.

Per questo, le partecipanti di Homeward Bound ricevono una borsa di studio, ma sono anche chiamate a fare crowdfunding per ottenere più sponsor e raggiungere i 17mila dollari necessari a testa. “Questa campagna vuole metterci nella posizione di promuovere noi stesse come fanno continuamente gli uomini della Silicon Valley di fronte a un pubblico di investitori milionari”, dice a Wired Gual Soler. 

Lo scopo della spedizione è innanzitutto la sensibilizzazione. “Penso che ci sia una confusione diffusa sul perché le donne non riescono a raggiungere certi obiettivi, che le colpevolizza insistendo sul fatto che non fanno abbastanza e dovrebbero fare di più. Io proprio non voglio appoggiare questo messaggio: le donne non sono meno sicure di sé degli uomini: sono la struttura della nostra società e gli input che ricevono a costituire una barriera”.

Gual Soler e le sue compagne faranno ritorno a metà dicembre, proprio quando COP25 a Madrid entrerà nel vivo dei suoi ultimi frenetici negoziati, e loro saranno pronte per condividere i risultati della spedizione (le cui emissioni di CO2 saranno completamente compensate) con tutti gli uomini e le donne rimasti a casa.

Mentre i sentimenti populisti e anti-scienza crescono in molti paesi, le minacce all’Europa unita sono anche minacce alla ricerca scientifica, e le minacce a una ricerca scientifica libera e aperta costituiscono una minaccia per l’Europa”, ha detto Gual Soler durante il suo discorso per i Research and Innovation Days a Bruxelles. “Quindi dobbiamo addestrare i nostri futuri leader a essere operatori di pace e agenti del cambiamento di domani”.

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