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mercoledì, Ott 23

Cosa prevede l’accordo tra Russia e Turchia sul nord della Siria


Ankara avrà il controllo su un’area abitata dai curdi che si estende per 30 chilometri oltre il confine siriano, e Mosca concretizza la sua influenza sulla regione mediorientale

Il presidente turco Erdogan e quello russo Putin (foto: Mikhail Svetlov/Getty Images)

Il 22 ottobre il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e quello russo Vladimir Putin hanno raggiunto un accordo che permette ad Ankara di controllare una zona di 30 chilometri al confine tra Turchia e Siria e costringe i curdi ad abbandonare il territorio in cui abitano da decenni. Putin ha inoltre concesso a Erdogan la gestione di un’altra area ad est, compresa tra Tal Abyad e Ras al Ain, e si è offerto di inviare alcune truppe per aiutarlo a pattugliare le aree di confine.

L’accordo dovrebbe mettere fine all’operazione militare che Ankara aveva avviato a inizio ottobre col benestare dell’amministrazione Trump e che aveva costretto i curdi ad allearsi – o meglio, ad accettare l’aiuto – del dittatore siriano Bashar al-Assad, alleato di Mosca. I curdi sono stati il principale alleato degli Stati Uniti nella lotta allo stato islamico, ma com’è noto le istituzione turche li considerano formalmente come terroristi.

L’operazione militare della Turchia era stata parzialmente sospesa il 17 ottobre scorso, perché Turchia e Stati Uniti avevano concordato una tregua che imponeva ai combattenti curdi di lasciare l’area entro cinque giorni. Erdogan e Putin si sono incontrati proprio alla scadenza di questo cessate il fuoco e hanno deciso di prolungarlo di altre 150 ore.

Sia la Turchia che la Russia escono fortificate da questa trattativa. La prima ha infatti ottenuto esattamente ciò che voleva: la “neutralizzazione della minaccia curda”, per dirla con le parole di Erdogan, e il controllo su un territorio dove vuole trasferire tutti i profughi che sono emigrati nel paese dopo lo scoppio della guerra civile in Siria nel 2011. La seconda, invece, è riuscita a consolidare ulteriormente la sua influenza in Siria a spese di Washington.

Cosa aspettarsi ora

In queste ultime ore Assad ha fatto sapere di aver accettato l’accordo e l’esercito russo è arrivato a Kobane, città al confine con la Turchia che in questi ultimi anni era diventata il simbolo della lotta dei curdi allo stato islamico. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha detto che, se i curdi non abbandoneranno la zona, le truppe russe e quelle siriane saranno costrette a intervenire e “le formazioni curde rimaste [cadranno] sotto il peso dell’esercito turco”.

La condizione dei curdi, che fino a poche settimane fa governavano di fatto un territorio semi-autonomo e ora sono costretti alla ritirata, sta facendo molto discutere in Occidente. Questa mattina un uomo di etnia curda si è dato fuoco a Ginevra, davanti alla sede dell’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, per protestare contro quello che considera un ulteriore tradimento nei confronti del suo popolo, e l’ambasciatrice statunitense nella Nato Bailey Hutchison ha chiesto di aprire un’inchiesta a carico della Turchia per crimini di guerra spiegando: “Quando le truppe americane si stavano ritirando ci sono state accuse di crimini di guerra che devono essere investigate dall’organo adeguato”. Il riferimento è ai presunti attacchi effettuati dall’esercito turco con le armi chimiche durante i concitati primi giorni dell’offensiva di questo mese: attacchi che Ankara ha sempre negato dicendo di non aver mai posseduto nel suo arsenale armi di quel tipo.

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