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mercoledì, Giu 02

Cosa sappiamo sull’efficacia dei vaccini contro le varianti del Sars-Cov-2



Da Wired.it :

Un punto sulle evidenze scientifiche raccolte finora, tra le varianti più diffuse e le quattro formulazioni vaccinali a oggi in uso nel nostro paese. Tutti i vaccini sono comunque fondamentali per prevenire, oltre alle forme gravi di Covid-19, la diffusione di ulteriori varianti

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(foto: Brano/Unsplash)

Con il passare dei mesi di pandemia stanno anche aumentando, come era facilmente prevedibile, sia i vaccini anti Covid-19 a disposizione sia le varianti del coronavirus Sars-Cov-2 in circolazione. All’interno di questa crescente complessità, con un numero di combinazioni vaccino-variante in rapida ascesa, è facile perdersi: proviamo allora a rimettere in ordine quello che sappiamo a oggi, pur consapevoli che la letteratura scientifica in materia si aggiorna quasi ogni giorno, dunque si tratta necessariamente di verità non definitive, raccolte al meglio di quanto la comunità scientifica sia stata in grado finora di stabilire.

Le varianti della forma iniziale di Sars-Cov-2 sono innumerevoli, ma in termine di diffusione, di rilevanza e di impatto effettivo sui sistemi sanitari le più rilevanti si riducono al momento a quattro. Passate agli onori delle cronache con il nome del paese dove per prime hanno raggiunto una proliferazione significativa, sono la sudafricana (o, più scientificamente, B.1.351), la brasiliana (B.1.1.28), l’inglese (B.1.1.7 ) e infine, ultima solo in ordine cronologico, la variante cosiddetta indiana (B.1.617.2). Senza contare che le mutazioni del virus si intrecciano ulteriormente, e che quasi quotidianamente ne emergono altre da tenere sott’occhio (come quella vietnamita, per citare un caso di questi giorni).

Un altro elemento di complessità, al di là dello specifico vaccino e della variante particolare, è che in generale c’è differenza tra l’aver ricevuto una o due dosi del vaccino, e per alcune formulazioni si sta già lavorando alla somministrazione di un’ulteriore dose di richiamo per stimolare una risposta immunitaria specifica contro determinate varianti. Ma andiamo per ordine.

Variante indiana (B.1.617.2)

In quanto di più recente identificazione, è la variante di cui abbiamo le conoscenze meno consolidate, pur sapendo già bene della sua alta trasmissibilità. Un recentissimo studio pubblicato lo scorso 22 maggio da Public Health England ha valutato che il vaccino di Pfizer-Biontech raggiunga un’efficacia dell’88% contro la variante indiana a due settimane dalla seconda somministrazione. Superando le stime ottenute dall’azienda stessa, che aveva valutato l’efficacia intorno al 75%.

Con la doppia dose del vaccino targato Oxford-AstraZeneca, invece, l’efficacia è stata stimata al 60% circa. Se invece ci si ferma alla sola prima dose, sia per Pfizer sia per AstraZeneca si è valutata un’efficacia piuttosto inferiore, pari al 33%.

Riguardo alla formulazione sviluppata da Moderna, è noto che la risposta alla variante indiana risulta un po’ indebolita rispetto alle altre varianti (per le quali invece è molto buona), ma non abbiamo ancora dati quantitativi a disposizione. Dalle informazioni preliminari a disposizione, comunque, la capacità protettiva del vaccino dovrebbe restare buona. Al momento non abbiamo studi pubblicati a disposizione nemmeno per il vaccino di Janssen (Johnson & Johnson), per il quale al momento è difficile fare stime o previsioni.

Variante inglese (B.1.1.7 )

Secondo uno studio uscito sul New England Journal of Medicine, il vaccino di Pfizer è efficace nel prevenire l’infezione da variante inglese compresa tra l’87% e l’89%. E una ricerca uscita su Lancet ha stimato un’efficacia ancora maggiore, addirittura superiore al 95%, mentre con la sola prima dose (a tre settimane dall’iniezione) ci si è attestati intorno al 50%.

Dai dati delle evidenze del mondo reale, come ha riferito la Bbc, il vaccino AstraZeneca avrebbe un’efficacia piuttosto alta, pari al 66% con la doppia dose e al 50% a tre settimane dalla prima dose. Con lo stesso metodo, l’efficacia della formulazione Pfizer con la doppia dose è stata valutata del 93%.

Per quanto riguarda Moderna, dai primi studi pare che la risposta anticorpale sia in generale protettiva anche contro la variante inglese, sperabilmente tanto quanto Pfizer, ma al momento non esistono stime quantitative ritenute affidabili. E infine Johnson & Johnson, per il quale (pur senza studi specifici) l’efficacia è compresa tra il 72% e il 57%, più probabilmente prossima al 65%.

Variante sudafricana (B.1.351)

Secondo Pfizer, la protezione garantita dal proprio vaccino contro la variante brasiliana è prossima a tre casi su quattro, e in particolare a due settimane dalla seconda dose il range è stimato tra il 72% e il 75%. Uno studio pubblicato a inizio aprile ha mostrato invece un’efficacia del 100% nel prevenire la forma sintomatica di Covid-19, nonostante sia stato condotto su un numero limitato di persone (800 in tutto). E altri studi specifici sono in corso.

Non altrettanto strepitose – ma comunque molto buone – sono invece le notizie relative a Vaxzevria di AstraZeneca, per il quale si parla anche di un 75% di efficacia nel prevenire le forme gravi, mentre di un valore molto più basso nel prevenire le forme asintomatiche o lievi della malattia, addirittura prossimo al 10%.

Per Moderna c’è già la ragionevole certezza di una certa efficacia, anche se non ci sono stime precise e si ritiene che i valori possano essere inferiori rispetto alle altre varianti. E pure per Johnson & Johnson l’efficacia dovrebbe essere un poco ridotta rispetto alle altre varianti, ma con valori comunque elevati: da uno studio condotto in Sudafrica è stata ricavata un’efficacia dell’82% contro le forme più gravi della malattia, e del 64% contro Covid-19 moderato.

Variante brasiliana (B.1.1.28)

AstraZeneca pare – almeno secondo i pochi studi a disposizione – perdere buona parte della propria capacità protettiva contro la variante sudafricana, garantendo quindi una copertura più bassa rispetto alle altre varianti. Buona invece sembra essere la risposta garantita dal vaccino Johnson & Johnson, con un 68% contro le forme più lievi della malattia e un 88% per Covid-19 in forma grave.

Riguardo alla formulazione di Pfizer e a quella di Moderna, infine, le evidenze sono ancora preliminari: uno studio di laboratorio ha stimato una buona risposta immunitaria, anche se inferiore a quella delle altre varianti, mentre un’altra ricerca analoga ha valutato un’efficacia confrontabile rispetto alla variante inglese. Insomma, è un po’ presto per dare certezze.

Altre varianti e altri vaccini, ma un obiettivo unico

Come anticipato, le combinazioni vaccino-variante raccontate fin qui non esauriscono affatto la lista delle possibilità. Sia per l’emergere di nuove varianti (qui ci sono quelle monitorate dall’Organizzazione mondiale della sanità) sia per i tanti vaccini in fase avanzata di sperimentazione, le evidenze scientifiche da raccogliere sono innumerevoli. Per citare solo uno dei tanti esempi, il British Medical Journal ha già riportato che la formulazione Novavax pare efficace contro la variante inglese, ma molto meno nei confronti di quella sudafricana.

Ci sono però alcune questioni generali da tenere in conto. Anzitutto, moltissime aziende produttrici stanno già sviluppando vaccini di seconda generazione studiati appositamente per essere più efficaci contro le varianti finora note. Sempre come esempio, si può citare in proposito il vaccino europeo a mRna CureVac, per il quale – senza che la prima versione sia ancora arrivata in commercio – esistono già in pre-print degli studi su modelli animali relativi all’efficacia della seconda formulazione di fronte alle varianti.

In secondo luogo, per chi è già stato vaccinato, si sta contemplando la possibilità di ampliare il ciclo vaccinale con una dose aggiuntiva (la terza o la seconda, in base al tipo di formulazione): proprio a giugno parte una ricerca chiamata Cov-Boost con cui si arruoleranno 3mila persone già vaccinate a dicembre 2020 o a gennaio 2021 per verificare quanto la dose aggiuntiva possa essere protettiva.

E poi, ovviamente, non vale la pena perdersi troppo nelle differenze numeriche. Pur essendo importanti da conoscere e studiare a livello scientifico, queste distinzioni di qualche percento confermano che la priorità è comunque vaccinare più persone possibile e più in fretta possibile, sia perché tutti i vaccini garantiscono buona protezione contro le forme gravi di Covid-19 per tutte (o quasi tutte) le varianti, sia perché ridurre la circolazione generale del nuovo coronavirus permette di diminuire la probabilità di nuove mutazioni. E, per citare il premier Mario Draghi lo scorso fine settimana, “Finché la pandemia infuria, il virus può subire mutazioni pericolose che possono minare anche la campagna di vaccinazione di maggiore successo”.





[Fonte Wired.it]