Mentre fa scorpacciata di oro come fosse una banca centrale, Tether – l’emittente di USD₮, la prima stablecoin al mondo per capitalizzazione – riceve una sonora bocciatura dall’agenzia di rating Standard & Poor’s. Ma l’amministratore delegato Paolo Ardoino non ci sta, e risponde per le rime.
Cosa succede a Tether?
Tether, “the gold whale” con 116 tonnellate di oro nel caveau
Quando a ottobre il prezzo dell’oro ha iniziato a macinare record su record, si è parlato del ritorno al bene rifugio per eccellenza in un periodo di forte instabilità geopolitica, così come dei mercati. Il quotidiano Financial Times ipotizza una spiegazione diversa: e se l’impennata fosse stata causata dagli acquisti di Tether? Al colosso crypto, infatti, i lingotti servono sia come parte delle riserve di USD₮ – seppure in misura minore rispetto ai buoni del Tesoro statunitensi – sia come garanzia diretta per un’altra criptovaluta, XAUt (in cui ogni token vale un’oncia troy di oro, circa 31 grammi).
A fine settembre Tether dichiarava di possedere 116 tonnellate d’oro. All’incirca quanto le banche centrali di paesi come la Corea del Sud, l’Ungheria e la Grecia. Ma a influenzare il mercato è stato soprattutto il ritmo frenetico degli acquisti dell’ultimo trimestre: da sola Tether ha rappresentato quasi il 2% della domanda totale di oro del periodo, il 12% degli acquisti delle banche centrali.
È lecito chiedersi cosa intenda farne. Di sicuro non potrà usarlo come garanzia per la sua nuova stablecoin USAT che lancerà entro fine anno, perché il Genius Act – la legge dell’amministrazione Trump sulle criptovalute – non lo permette. Forse, ma è solo un’ipotesi, Tether vuole spingere il mercato dell’oro tokenizzato: oro fisico convertito in token digitali e negoziabile su blockchain, senza oneri di custodia dei lingotti.
Perché Standard & Poor’s non ritiene affidabile la stablecoin di Tether
Ma di Tether si parla anche perché Standard & Poor’s ha declassato da 4 (limitata) a 5 (debole) la capacità di USD₮ di mantenere l’ancoraggio al dollaro statunitense. Una revisione negativa che, scrive, “riflette l’aumento degli asset ad alto rischio che sostengono le riserve di USDT”. Preoccupa, in particolare, che il bitcoin rappresenti circa il 5,6% degli USD₮ in circolazione: se il suo valore dovesse scendere bruscamente insieme a quello di altri asset a rischio, non ci sarebbe più un dollaro reale dietro ogni token (in gergo si parla di sottocollateralizzazione).
L’agenzia di rating ammette che molte riserve sono investite in Treasury e altre attività liquide in dollari, ma denuncia la scarsa trasparenza “sull’affidabilità creditizia dei suoi custodi, delle controparti o dei fornitori dei conti bancari” e “sulla gestione delle riserve e sulla propensione al rischio”. S&P lamenta anche “l’assenza di un quadro regolatorio robusto, la mancanza di segregazione degli asset a protezione degli utenti in caso di insolvenza dell’emittente, e limitazioni nella possibilità di riscattare USD₮ direttamente alla fonte”.
La risposta di Paolo Ardoino: “Indossiamo il vostro disprezzo con orgoglio”
Secondo l’amministratore delegato di Tether, Paolo Ardoino, è un caso da manuale di FUD (acronimo che sta per “paura, incertezza e dubbio”): un tentativo strumentale di seminare il panico per screditare il progetto. Alla fine del terzo trimestre 2025 – scrive su X – la società dichiarava circa 7 miliardi di dollari di capitale proprio in eccesso, oltre a 23 miliardi di utili non distribuiti, per un totale di circa 215 miliardi di attivi contro 184,5 miliardi di passività legate alle stablecoin. S&P avrebbe ignorato sia questo capitale aggiuntivo, sia i circa 500 milioni di dollari al mese generati dai rendimenti sui Treasury statunitensi.



