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sabato, Giu 29

Cos’hanno da insegnare le azzurre agli azzurri (e non solo a loro)?


Impegno, fiducia nel ct e assenza di individualismi che minano lo spirito di squadra. Ecco cos’ha fatto grande la nazionale femminile: valori che quella maschile deve riscoprire per tornare a vincere

Cos’hanno da insegnarci le azzurre del calcio femminile? La risposta, forse, è molto meno filosofica di quanto si possa pensare. Proiezioni sociali a favore del genere femminile sono state fatte in tutte le salse, in questi giorni, elevando a rappresentanti dell’altra metà del cielo Gama e compagne, come se da loro dipendesse il salario delle madri di famiglia in carriera e l’annullamento della violenza sulle donne. Vedere il calcio femminile sulla Rai, però, non è il risultato di una denuncia di genere.

Semmai, è la vittoria delle possibilità che avanzano e si sviluppano per tutti.

(foto: Wikipedia)

Se il calcio femminile è oggi sulla Rai e su Sk e fa milioni di spettatori, emoziona e alza i numeri delle proprie tesserate in maniera esponenziale, è perché la squadra allenata da Milena Bertolini si è qualificata tra le migliori del mondo, ha raggiunto un obiettivo sportivo immenso ed è stata accompagnata da un ottimo lavoro di comunicazione, marketing e dal coraggio di chi ci ha creduto. Dall’obbligo, per dirne un’altra, messo nero su bianco, nel 2016, per le squadre di serie A, di avere anche un settore femminile con paletti ben fissati. Anche se tutto è partito da prima: per esempio dai due bronzi under 17 del 2014 ai Mondiali e agli Europei, prima che arrivassero le regole scritte.

(foto: Marco Canoniero/LightRocket via Getty Images)

Il calcio femminile che desta tanta emozione è da attribuire a diversi aspetti che si racchiudono, però, in una parola sola: “lavoro”. Nulla si crea dall’oggi al domani e il Mondiale di calcio è una manifestazione alla quale non si arriva certo su invito, bensì dopo una trafila vera ed estenuante e lunga. Un po’ come ottenere un incarico dopo una selezione lavorativa che passa dal colloquio di gruppo a quello individuale, per finire con una chiacchierata con i futuri capi che devo decidere del futuro del candidato. La fatica è più o meno la stessa. Al Mondiale ci si arriva perché si vincono le partite, perché si portano le classi 1997 alle manifestazioni più importanti e le si fanno giocare titolari. Quello che ci insegnano le azzurre è che nulla viene regalato mai, che tutto va meritato. Non che le donne siano meglio.

Nel 2013, Rita Guarino, ora coach della Juventus campione , disse, durante un congresso sul calcio femminile, a Meda (MB), che il calcio femminile italiano, all’epoca – quindi sei anni fa – non era pronto per trasmettere una partita intera in tv e che si sarebbe dovuto lavorare sugli highlight. Oggi l’Italia impazzisce davanti all’ex tubo catodico per la nazionale femminile approdata ai Mondiali e la segue in tv disintegrando lo share. Ecco cosa fa la consapevolezza. Ti fa dire la verità senza paura ad un convegno con addetti ai lavori e giornalisti e ti fa migliorare e arrivare in alto. La consapevolezza ti fa lavorare sereno senza distrazioni.

C’è poi, naturalmente, il buon gioco, un palleggio e un possesso palla che ti permettono di pensare e costruire l’azione e di rimanere sul pezzo per novanta minuti e oltre. C’è il muro coriaceo di Alia Guagni, là sulla destra, la cattiveria agonistica di Sarah Gama, i gol di Barbara Bonansea e Cristiana Girelli, c’è Manuela Giuliano che, se le dai la palla, il passaggio successivo non lo sbaglia mai (e sui social i tifosi la vorrebbero volentieri, si legge, al posto di Biglia, nel centrocampo dei rossoneri).

E poi, c’è un valore aggiunto sotto gli occhi di tutti. Che si chiama Milena Bertolini. La squadra gioca per lei. Un concetto che sfugge spesso e volentieri alle regole tecniche, tattiche. Il contrario di “la squadra gioca per l’allenatore” non è “la squadra gioca contro l’allenatore” (chi gioca contro l’allenatore gioca contro se stesso). La squadra che gioca per l’allenatore significa avere uno slancio inevitabilmente maggiore, significa riconoscere un condottiero per il quale giocarsi la pelle, un punto di riferimento che, poi, si tiene nel cuore per la vita intera. E Milena è questa cosa qui. Il valore aggiunto della nazionale italiana di calcio femminile è l’allenatrice, che sa tenere il gruppo, che sa compattarlo, che sa motivarlo.

Le azzurre hanno da insegnarci che per arrivare al cuore dell’ già innamorata del calcio, ci voleva ancora calcio, condito dalla bellezza sportiva e dai risultati. E le ragazze si son qualificate al Mondiale, che racconta le storie umane, non nascoste dietro l’apparenza di uno status economico sociale come quello del “calciatore” che, prima o poi, cadrà inevitabilmente in declino, con il proprio distacco dalla realtà e la convinzione, per chi guarda da fuori che si tratti di un film. Ad inizio luglio, uscirà l’aggiornamento del numero delle tesserate Figc. A far innamorare le masse, a fare i numeri, sono i buoni risultati. E da qui in poi, il calcio femminile ha solo da diventare ancora più grande.

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