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sabato, Apr 24

Covax, come sta andando la distribuzione equa dei vaccini contro Covid-19



Da Wired.it :

Si pone come una “rivoluzione culturale”, per garantire accesso ai vaccini anche ai paesi che non possono permettersi di acquistarli. Ma ha davanti a sé diverse difficoltà e criticità da superare

(Foto: UNICEF Ethiopia via Flickr CC)

Yemen, Costa Rica, Suriname, Nepal, Barbados, Montenegro, Tuvalu, El Salvator, Ecuador, Colombia, Brasile, Eswatini, Nicaragua. E via così, fino a superare quota 100, 118 esattamente nel momento in cui scriviamo. Per un totale di oltre 40 milioni di dosi, distribuite in tutto il mondo. A tanto ammontano oggi, rispettivamente, la conta dei paesi e dei vaccini raggiunti e distribuiti attraverso Covax, il programma internazionale globale per la distribuzione equa dei vaccini. Nelle scorse settimane si sono moltiplicati gli annunci sull’arrivo delle prime dosi in questo o quel paese – tra gli ultimi a essere raggiunti anche la Siria – e il superamento della quota 100 è stato accolto come un primo importante traguardo del programma, al cui sostegno si è appena unita anche la fondazione della giovane attivista Greta Thunberg. Si va avanti, crescono i paesi raggiunti, ma la corsa a vaccinare i paesi più poveri deve subire, come e più che altrove, un’accelerata, è l’appello che arriva da più parti. E senza un continuo sostegno il programma rischia di non centrare i suoi obiettivi. E il rischio (in termini di salute) è per tutti, non solo per i paesi in via di sviluppo, i primi destinatari del progetto.

Che cosa è Covax

La scommessa di Covax è soprattutto quella di una una “grande rivoluzione culturale”, ci racconta Andrea Iacomini, portavoce Unicef per l’ braccio operativo del progetto. “L’idea alla base del programma parte da un presupposto fondamentale: non c’è sicurezza per nessuno se non c’è equità, se non facciamo i modo che i paesi a basso e medio reddito accedano anch’essi a programmi di vaccinazione di massa. Bisogna vaccinare tutti, ovunque: la sicurezza di ognuno passa per l’equità, la propria sicurezza passa dalla sicurezza globale”. No one is safe, unless everyone is safe, per dirla con le parole dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Covax infatti è questo: un programma per lo sviluppo, la produzione, la negoziazione dei prezzi dei vaccini e la loro distribuzione, promosso dall’Oms, Gavi (l’Alleanza globale per i vaccini), Cepi e Oms e partecipato dall’Unicef, a sostegno di 190 paesi. Ma alcuni più bisognosi di altri: se infatti aderiscono al progetto anche paesi a medio e alto reddito per cui il programma può funzionare (da statment) come un sorta di assicurazione per i propri programmi di vaccinazione (non senza criticità, vedremo) o come un sistema per l’approvvigionamento di vaccini in assenza di accordi bilaterali, il focus è sui paesi a basso e medio reddito. Sui paesi più poveri: 92 i più bisognosi, ai quali è appunto principalmente indirizzato il programma. Due miliardi di dosi di vaccini quelli che si mira a distribuire entro il 2021 (cento milioni assicurati nel cosiddetto Covax Buffer, per popolazioni ad alto rischio in contesti umanitari). Una “àncora di salvezza” per chi non ha possibilità di avere accesso ai vaccini, continua Iacomini: “Di questi 1,3 miliardi sono destinati ai 92 paesi a basso e medio reddito inclusi in Covax. Paesi per il quali questo programma rappresenta di fatto l’unica via per accedere ai vaccini, in quanto parliamo di economie che non si possono permettere di pagarli”.

Chi vaccinare e come

Sul numero di quelle identificate per il 2021, Iacomini riconosce che si tratti di poche dosi e spiega come si tratti di un inizio, ragionato, per offrire un minimo di protezione dove ce n’è più bisogno: “Iniziamo con i più vulnerabili, come persone ad altro rischio e gli operatori sanitari”. Quando parla di iniziare il portavoce dell’Unicef, da sempre impegnata nel campo, si riferisce non solo alla distribuzione dei vaccini ma all’intera organizzazione dei piani vaccinali nei paesi in cui arrivano le dosi. Con un lavoro che parte in realtà ben prima: “Il lavoro comincia assicurandosi che i diversi paesi siano nelle condizioni di poter ricevere e somministrare prima di tutti i vaccini, il cui arrivo di fatto è l’ultimo atto di un lavoro complesso cominciato molto prima: dobbiamo lavorare per garantire una catena del freddo, la presenza di siringhe, la gestione dei rifiuti sanitari, la formazione per gestire tutto questo e la distribuzione con accordi con le compagnie aeree”. Un lavoro sì cui l’Unicef è abituata, anche per l’allocazione di altri vaccini, ma tutt’alto che scontato in epoca pandemica.

Per tutti i vaccini.“Covax trova oggi una situazione davvero complessa dal punto di vista della logistica: la pandemia e la chiusura delle frontiere hanno peggiorato le situazioni dei paesi più poveri, sotto il punto di vista della fame, della povertà, della mortalità infantile”. Per far fronte alla promessa di distribuire quei 1,3 miliardi di vaccini anti-Covid-19 ai 92 paesi a basso e medio reddito servono ora oltre 500 milioni di dollari, afferma Iacomini: “Se mancano i fondi non possiamo fare tutto questo”.

Le difficoltà di Covax

La mancanza di fondi – Covax è finanziato da aiuti pubblici allo sviluppo che arrivano dai paesi che aderiscono al progetto, o da donazioni, che possono arrivare da organizzazioni filantropiche, come aziende, ci ricorda Iacomini – è una delle criticità e delle sfide sollevate intorno alla buona riuscita del progetto che seppur lodevole negli intenti secondo alcuni rischia di non centrare i risultati, o di farlo in maniera non del tutto equa come proposto, e troppo tardi. “Covax ha avuto l’ambizione di fare tutto per tutti, coinvolgendo anche i paesi ad alto reddito, e in questo modo ha probabilmente perso tempo prezioso nelle fasi di negoziazioni con le case farmaceutiche”, ci spiega Silvia Mancini di Medici senza frontiere (Msf): “E forse, più che porsi come iniziativa autonoma, poteva essere pensato come un progetto per affiancare e rafforzare realtà già esistenti nel campo, come l’Unione africana”.

Le perplessità sollevate da Msf – che riconosce all’iniziativa il merito di aver creato un buffer destinato alle popolazioni più in crisi, colpite da eventi catastrofici  – potrebbero sembrare solo un difetto di forma nella struttura di Covax, ma quello cui fa riferimento Mancini è un problema anche di funzionamento: “Creare strutture autonome, più che puntare ad affiancare quelle esistenti, rischia di segmentare la capacità di negoziazione, ma non solo: aver voluto includere nello stesso programma paesi ad alto reddito e paesi poverissimi rischia di creare dei trattamenti diseguali, perché i primi hanno anche la possibilità di procedere da soli, mentre per i secondi Covax è l’unica soluzione”. Ma non solo: Mancini si riferisce a una clausola prevista dal programma che consente ai paesi autofinanzianti (quelli che hanno sostenuto l’iniziativa) di poter richiedere dosi per vaccinare fino al 50% della propria popolazione, quando il target per i paesi finanziati è del 20%. “I paesi auto-finazianti possono avere anche opzione di scelta in merito ai vaccini”, aggiunge Mancini.

Il nodo della disponibilità dei vaccini

Accanto a questo rimangono alcuni aspetti pratici che possono ostacolare la buona riuscita di Covax. Al momento, dicevamo, sono circa 40 milioni le dosi di vaccino distribuite attraverso il programma in 100 diversi paesi. Appena una goccia, se pensiamo, per confronto che solo in Italia ne sono state distribuite la metà. E anche l’obiettivo di vaccinare almeno il 20% della popolazione, sebbene mirato a mettere al riparo i più vulnerabili e gli operatori sanitari, è limitato. Covax inoltre potrebbe trovarsi di fronte proprio a un problema prima di tutto di disponibilità, e quindi ritardi, nei vaccini. È già successo nelle scorse settimane, con il caso dell’India che, di fronte all’acuirsi della pandemia, aveva bloccato l’export delle dosi del vaccino AstraZeneca destinate al programma Covax.

L’obiettivo di Covax è messo in pericolo da un cronico sotto-finanziamento, dal nazionalismo e dalla restrizioni nelle esportazioni”, scriveva riassumendo i problemi dell’iniziativa Deborah Gleeson, Associate Professor in Public Health a La Trobe University sulle pagine di The Conversation nei giorni scorsi, tra gli altri, in primis la stessa Oms per voce del suo direttore generale. Gleeson proponeva di guardare anche oltre per tentare di ampliare l’offerta vaccinale ai paesi più bisognosi nel breve termine, per esempio alla sospensione dei diritti di proprietà intellettuale per i prodotti Covid-19 in epoca pandemica come chiesto dall’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) da India e Sudafrica già da mesi. Un’iniziativa che anche per Msf potrebbe aiutare la lotta alla disuguaglianze e favorire una distribuzione più equa di vaccini e medicinali. Così come la condivisione delle dosi extra dei paesi ricchi con quelli più bisognoosi, come chiesto da Unicef e dall’Oms.

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[Fonte Wired.it]