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venerdì, Set 25

Covid-19, quanto dovrebbe durare la quarantena?



Da Wired.it :

Per potersi dichiarare guariti da Covid-19 in Italia c’è bisogno di 14 giorni di quarantena e due tamponi negativi. L’Oms invece raccomanda di abbandonare il doppio tampone, e la Francia riduce la quarantena a 7 giorni. Quali basi scientifiche ci sono dietro queste scelte?

Quarantena
(Immagine: Getty Images)

Dopo un’estate relativamente tranquilla, almeno in Europa, i contagi da coronavirus sono tornati a salire un po’ dappertutto. In Francia e Spagna, per esempio, si sono registrati oltre 10mila casi nelle ultime 24 ore. Stesso discorso per il Regno Unito, dove i contagi giornalieri sono saliti a quota 5mila. In Italia la situazione sembra, per ora, essere leggermente più tranquilla, ma comunque molto delicata. Uno degli aspetti dirimenti per il controllo della diffusione dei contagi è certamente quello dell’isolamento delle persone infette, e del loro ritorno alla vita normale nel momento in cui guariscono. Una questione che ha profonde implicazioni sanitarie, economiche e sociali. Quello su cui si dibatte, in particolare, è la definizione di persona guarita: quali sono le condizioni che un dato paziente deve soddisfare per poter essere dichiarato ufficialmente sano e non contagioso? E dopo quanto tempo dalla fine dei sintomi può tornare alla vita normale?

Rispondere a questa domanda è tutt’altro che semplice. E anche in questo caso, come per molte altre questioni legate alla pandemia, la comunità scientifica è divisa. A partire dai massimi vertici della sanità. A gennaio, infatti, l’Organizzazione mondiale della sanità aveva diramato delle linee guida provvisorie, basate principalmente sulle conoscenze di coronavirus simili a Sars-Cov-2 (i responsabili di Sars e Mers), in cui si raccomandava un doppio tampone negativo (con i due tamponi eseguiti ad almeno 24 ore di distanza l’uno dall’altro) per certificare la guarigione da Covid-19 e liberare i pazienti dall’isolamento. Alla fine di giugno, poi, c’è stato un parziale ripensamento di queste raccomandazioni: l’Oms ha emendato il documento eliminando il tampone di conferma e suggerendo di aspettare tre giorni senza sintomi a partire da dieci giorni dall’insorgenza dei sintomi (per i pazienti sintomatici) o dieci giorni dopo un tampone negativo (per i pazienti asintomatici). Sembra complicato, ma non lo è: per fare un esempio, pratico, l’Oms raccomanda che se un paziente ha avuto sintomi per due giorni, il suo isolamento può cessare dopo 13 giorni (10+3)  dalla data di insorgenza dei sintomi; per un paziente con sintomi da 14 giorni, la cessazione dell’isolamento può avvenire 17 giorni (14+3) dopo la data di insorgenza dei sintomi, e così via. Tuttavia, specifica ancora l’Oms, “le singole nazioni possono ancora scegliere di continuare a usare il tampone come criterio di rilascio dall’isolamento. In questo caso, resta valida la raccomandazione iniziale di due tamponi raccolti a distanza di almeno 24 ore”.

Le ragioni di questo allentamento stanno anzitutto nella necessità di razionalizzare il ricorso ai tamponi, specialmente nelle aree dove la trasmissione del virus è più intensa, e nel fatto che sottoporre una persona a un isolamento più lungo del necessario può inficiarne il benessere sociale ed economico. Ma c’è anche una ragione scientifica: spesso, dice l’Oms, la carica virale è così bassa da essere a cavallo della soglia di sensibilità dei test, il che può portare a risultati negativi seguiti da risultati positivi, probabilmente poco significativi sul piano clinico e poco indicativi dell’effettiva infettività del soggetto.

Di parere simile sono i Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) statunitensi, che ad agosto scorso, citando i risultati di oltre 15 studi internazionali relativi alla lunghezza dell’infezione, alla persistenza della carica virale, all’infettività degli asintomatici e al rischio di diffusione dell’infezione in diversi gruppi di pazienti, hanno fatto notare come la quantità di materiale virale vivo nel naso e nella gola cali significativamente subito dopo lo sviluppo dei sintomi, e che la durata dell’infettività nella maggior parte dei pazienti non sia più lunga di dieci giorni dall’inizio dei sintomi. Unica eccezione i pazienti gravemente immunodepressi o con forme gravi della malattia, per i quali comunque tale finestra non sarebbe più lunga di 20 giorni dalla comparsa dei sintomi.

E in Italia? La situazione è, se possibile, ancora più complessa. Da noi le raccomandazioni sono ancora improntate al principio della massima prudenza, ossia prevedono l’esecuzione di un doppio tampone e l’attesa di 14 giorni dalla scomparsa dei sintomi (la Francia, tanto per fare un altro esempio, ha appena ridotto a 7 giorni questa finestra temporale).

Tuttavia molti esperti suggeriscono di abbracciare le raccomandazioni di Oms e Cdc: tra questi c’è Antonella Viola, immunologa, direttrice scientifica dell’Istituto di ricerca pediatrica Città della speranza e ordinaria di patologia generale all’Università di Padova. “In generale è buona norma aderire al principio di massima prudenza”, ci ha spiegato, “ma bisogna anche tener conto delle implicazioni sanitarie, sociali e sul benessere personale di restrizioni troppo forti, dal momento che si osserva che le persone tendono a non rispettare le regole se queste sono percepite come troppo stringenti o immotivate. Le evidenze ci dicono che la contagiosità cala drasticamente 7-10 giorni dopo la comparsa dei sintomi, e che difficilmente dopo 10 giorni si può trovare ancora traccia del virus”. Ragion per cui Viola suggerisce di aderire alle raccomandazioni di Oms e degli statunitensi Cdc, restringendo il periodo di quarantena ed eliminando la necessità del doppio tampone. “Sarebbe anche opportuno”, continua, “che assieme al risultato del tampone si fornisse anche il numero di amplificazione al quale si registra la positività [ovvero il numero di volte in cui è necessario ingrandire il risultato del test per trovare traccia del virus, nda]: un tampone positivo dopo la 40esima amplificazione ha tutt’altro significato di un tampone positivo dopo la 20esima”.

Non tutti, però, sono concordi. C’è chi invece, alla luce del fatto che ancora non si ha alcuna certezza matematica sulla contagiosità del virus e che ci troviamo per l’appunto in un momento cruciale per il decorso dell’epidemia, rimarca la necessità di tenere comportamenti incentrati sulla prudenza, evitando qualsiasi situazione che possa favorire, anche con basse probabilità, un’ulteriore diffusione del virus. È il caso per esempio di Massimo Galli, docente di malattie infettive a Tor Vergata e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali.

Galli concorda con il fatto che le evidenze scientifiche suggeriscano che dopo 7-10 dalla scomparsa dei sintomi di solito non ci sia più infettività, e che in generale un tampone negativo sia sufficiente a indicare la scomparsa della malattia, ma sottolinea che “in alcuni casi, anche se rari, può avvenire anche il contrario: è stato osservato, per esempio, che soggetti con tampone negativo manifestano in seguito una positività; nella pratica clinica, inoltre, non è così infrequente osservare persone asintomatiche, o clinicamente guarite, manifestare ancora tracce del virus. Per questo bisogna sottolineare che al momento il tampone non può indicare con certezza se il virus è vitale o in grado di infettare. E non avendo criteri certi, credo che in questa fase dell’epidemia sia ancora indispensabile aderire a un principio di massima prudenza. Ossia confermare la necessità di un doppio tampone negativo e di 14 giorni di isolamento prima di farlo cessare”.

La questione si gioca sui numeri: le evidenze dicono che si può essere ragionevolmente sicuri che dopo 10 giorni e un tampone negativo il 90% circa dei soggetti sia non infettivo. “In un momento di scarsa circolazione del virus, con pochi contagiati, perdersi un 10% di persone potrebbe essere del tutto ininfluente; ma viceversa, se la stessa percentuale di persone sfugge all’isolamento in un momento di forte risalita dei contagi la situazione potrebbe sfuggire velocemente di mano”, conclude Galli. “Le percentuali sono sempre le stesse. È il numero che è al denominatore a cambiare”. E la salute pubblica si gioca anche su quel numero.

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[Fonte Wired.it]