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giovedì, Mar 09

Creato un superconduttore che funziona a bassa temperatura e pressione: siamo a un punto di svolta?

da Hardware Upgrade :

All’Università di Rochester (via Phys.org) dicono di aver creato un materiale superconduttore che mantiene le sue proprietà a temperature e pressioni sufficientemente basse da consentire applicazioni concrete. Potrebbe trattarsi di un risultato storico, potenzialmente foriero di grandi evoluzioni tecnologiche in diversi settori, ma attorno alla scoperta circola un po’ di scetticismo.

Prima di spiegarne il motivo, entriamo un po’ più nel merito. I superconduttori, come dice il nome, non sono dei semplici conduttori ma hanno una resistenza elettrica nulla, cioè non ostacolano il passaggio delle cariche elettriche, cosa che nei conduttori crea il ben noto fenomeno della dissipazione del calore.

Un’altra caratteristica dei materiali superconduttori è l’effetto Meissner, alla base della levitazione magnetica. In pratica, possono “fluttuare nell’aria” se accompagnati da un magnete esterno che genera un campo magnetico. Questo perché nei superconduttori il campo magnetico viene espulso, creando “diamagnete perfetto”.

I superconduttori potrebbero essere applicati in molti settori con grandi vantaggio, ad esempio nelle reti elettriche senza perdere fino a 200 milioni di megawattora (MWh) a causa della resistenza elettrica. Un altro impiego è nei treni a levitazione magnetica, nella creazione di chip logici e memorie più veloci ed efficienti, ma anche nei tokamak per ottenere la fusione nucleare. Ultimo ma non meno importante, potrebbero consentire di mettere a punto tecniche di imaging e scansione in ambito medico più avanzate ed efficienti.

In genere la superconduttività si ottiene solo a temperature oltre una certa soglia, chiamata temperatura critica, in alcuni casi vicina allo zero assoluto (esistono varie tipologie di superconduttori). Ottenerla richiede soluzioni di raffreddamento complesse che fanno lievitare i costi di applicazione. Eliminare il problema del raffreddamento, o minimizzarlo, potrebbe portare a una svolta.

Con questo materiale è arrivata l’alba della superconduttività a condizioni ambientali e delle tecnologie applicate“, dichiarano i ricercatori del team guidato da Ranga Dias, assistente professore di ingegneria meccanica e fisica. In un articolo pubblicato su Nature, i ricercatori descrivono le qualità dell’idruro di lutezio drogato con azoto (NDLH), capace di mostrare superconduttività a 69 °F (20,5 °C) di temperatura e 10 kilobar (145.000 psi) di pressione. Quest’ultimo è un valore che, sebbene possa apparire elevato (la pressione a livello del mare è di circa 15 psi), è ben inferiore a quella applicata nell’ambito della produzione di chip.

Tutto appare quindi “apparecchiato” per un risultato di portata storica, se non che il team guidato da Dias è stato negli anni passati al centro di aspre polemiche per altre ricerche sui superconduttori, avversate da altri fisici per i metodi di processo e analisi usati, tanto che Nature ha dovuto rimuovere lo studio, ripresentato poi con nuovi dati per convalidare il lavoro precedente, sotto la supervisione di altri scienziati.

Per quest’ultimo studio, Dias e il suo team affermano di aver adottato un approccio simile, ovvero hanno raccolto i dati davanti a una platea di scienziati che ha visto dal vivo la transizione superconduttiva. Perciò, a meno che non emergano altre critiche su metodologia, numeri e vari aspetti, bisogna prendere i risultati per buoni.

I ricercatori, dopo aver analizzato diversi terre rare, sono giunti alla conclusione che il lutezio sembrava un buon candidato per creare un superconduttore a temperature e pressioni accettabili. L’elemento metallico presenta “14 elettroni completamente riempiti altamente localizzati nella sua configurazione elettronica dei suoi orbitali f che sopprimono il softening del fonone e forniscono un miglioramento all’accoppiamento elettrone-fonone necessario affinché la superconduttività avvenga a temperatura ambiente”.

Per ottenere la stabilizzazione e abbassare la pressione richiesta i ricercatori si sono rivolti all’azoto. Come il carbonio, l’azoto ha una struttura atomica rigida che può essere usata per creare un reticolo più stabile, simile a una gabbia all’interno di un materiale e indurisce i fononi ottici a bassa frequenza. Questa struttura fornisce la stabilità affinché la superconduttività si verifichi a pressioni più basse.

Il team di Dias ha creato una miscela di gas al 99% di idrogeno e all’1% di azoto, l’ha collocata in una camera di reazione con un campione puro di lutezio e ha lasciato reagire i componenti per due o tre giorni a 392 °F (200 °C).

Il composto risultante di lutezio-azoto-idrogeno era inizialmente di un “brillante colore bluastro”, ma quando è stato compresso in una cella ad incudine di diamante, si è verificata una “sorprendente trasformazione visiva”: dal blu al rosa all’inizio della superconduttività, e poi a uno stato metallico rosso vivo non superconduttore.

“Era di un rosso molto brillante”, ha spiegato Dias. “Sono rimasto scioccato nel vedere colori di questa intensità. Abbiamo scherzosamente suggerito un nome in codice per il materiale in questo stato – ‘reddmatter’ – come un materiale creato da Spock nel film Star Trek del 2009″.

I 145.000 psi di pressione richiesti per indurre la superconduttività sono quasi due ordini di grandezza inferiori rispetto a quanto richiesto in altri studi passati, e questo ha permesso a Dias e al suo team di ottenere un superconduttore in grado di esistere sia a temperature ambiente che a pressioni sufficientemente basse per applicazioni pratiche.

Il professore Dias e il suo team stanno ora esplorando la possibilità di addestrare algoritmi di apprendimento automatico con i dati accumulati per rintracciare altri possibili materiali simili. “Nella vita di tutti i giorni abbiamo molti metalli diversi che usiamo per diverse applicazioni, quindi avremo anche bisogno di diversi tipi di materiali superconduttori“, ha affermato.

Il coautore dello studio Keith Lawlor ha già iniziato a sviluppare algoritmi e a fare i calcoli necessari affidandosi alle risorse del Center for Integrated Research Computing dell’Università di Rochester.

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