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giovedì, Nov 04

Daitarn 3: Haran Banjo, un eroe tragico



Da Wired.it :

«Per la pace nel mondo combatterò i Meganoidi con il Daitarn3. Se non temi questa potenza, combatti!».

Haran Banjo pronuncia questa frase in ogni puntata, al momento dello scontro con il cattivo. La pronuncia con la bocca, ma l’accompagna anche con la gestualità del gigantesco robot di cui è il pilota, la mente e il cuore: il Daitarn 3. Enorme, con i suoi 120 metri di altezza, il Daitarn è uno dei pochissimi robot ad avere una mimica facciale: un tratto che diventa una sorta di portale verso un’altra epoca e un altro mondo. Quello del teatro greco e degli attori che calcano la scena col volto coperto da una maschera capace di esprimere gioia e tristezza, rabbia e dolore. E così anche il Daitarn comunica le emozioni e i sentimenti di Haran Banjo, emozioni più profonde e complesse di quanto appaia.

Chi è Haran Banjo

Una vetrata rotta, lo sconcerto generale in una serata di gala, un uomo che volteggia appeso a un cavo in una tuta nera. Tolta la tuta, appare lui, in un elegante completo rosso. Haran Banjo entra in scena così per la prima volta, un po’ 007 un po’ supereroe. Banjo è bello, come pochi esseri umani in carne ed ossa potrebbero esserlo. Banjo è ricco, raffinato, atletico. Banjo è affascinante. Banjo piega le sbarre delle prigioni e spezza le catene, sconfigge a mani nude schiere di nemici armati, combatte contro i cattivi, sorseggia cocktail nella sua enorme villa con piscina. Banjo guida un robot invincibile. E tutto questo lo si scopre praticamente subito. Ma non è tutto. Nel susseguirsi degli episodi si imparano nuove cose su di lui: semplici dettagli, che vanno però a comporre un mosaico molto più profondo e sfaccettato. Si apprende così che Banjo è nato su Marte e che proprio suo padre, il professor Haran Sozo, è il creatore dei Meganoidi. Frutto di una sofisticata ricerca, questi cyborg si rivoltano però contro il creatore. La ribellione culmina nell’uccisione della madre e del fratello di Banjo, che giura odio eterno e vendetta. Banjo fugge sulla Terra con il Daitarn, e qui forma una squadra composta dalle due bellissime assistenti Beauty e Reika, dal piccolo Toppi e dal fido maggiordomo Garrison. I Meganoidi, dunque sono il male, e sono il frutto della superbia dell’uomo, la “ybris” dei Greci. Ma il riscatto dalla colpa passa proprio attraverso la lotta contro il male, e come in una tragedia greca il figlio cerca di rimediare all’errore del padre. Certo, sembra difficile immaginare un Edipo con i capelli a ciuffi color Tiffany o un Oreste con un’aderentissima tutina arancione, ma il bel Banjo, puntata dopo puntata porta avanti la sua lotta contro la malvagità. E l’essenza del nostro eroe si rivela nel finale della serie, tanto strano quanto controverso, oggetto di diverse interpretazioni, passato attraverso due operazioni di doppiaggio nel tentativo di rendere giustizia a un senso che sembrava perduto.

Banjo svanisce nell’alba

Nell’epico scontro finale, Banjo si trova ad affrontare Don Zauker, il capo dei Meganoidi, una macchina animata solo da un cervello, contenuto in una teca trasparente e che comunica con il mondo grazie alla sua assistente, la suprema Koros, anima principale delle mire espansionistiche meganoidi. È Banjo a sparare a Koros, ponendo fine al sogno dell’impero meganoide. È Daitarn a fronteggiare e sconfiggere Don Zauker trasformato in megaborg. Ma Haran Banjo, al timone del colossale robot, nel momento di maggiore difficoltà sente la voce del padre incoraggiarlo: «Figlio mio, puoi vincere, la mente umana è più forte». La risposta del giovane è spiazzante: «Intendi espiare in questo modo la tua colpa, padre?… Io non ho bisogno del tuo aiuto». Attacco solare, vittoria dei buoni. Festa? Felicità? Giubilo? No. Banjo guarda sgomento il campo di battaglia: «Che cosa ho fatto?» si chiede. Poi Banjo, come recita il titolo dell’episodio, “svanisce nell’alba”. Non lo si vede più. Non sul Daitarn, che sparisce con lui. Non nella villa, dove, dice qualcuno, si è rinchiuso. Il finale lascia l’amaro in bocca, e tanti interrogativi aperti.

“Che cosa ho fatto?”

In queste parole è il senso del dramma. La dimensione tragica di un personaggio che sembra lieve e scanzonato, dove “tragico” è il conflitto irrazionale tra la volontà dell’uomo e la necessità del reale. Eroe tragico è Achille, che per riaffermare il proprio onore violato da Agamennone compie una scelta disonorevole e si astiene dal combattere, condannando alla sconfitta i suoi compagni. Tragica è la contrapposizione tra due scelte che si rivelerebbero comunque sbagliate. Tragico è Edipo che si scopre uccisore del padre e marito della madre, che corre disperatamente verso un fato che tenta di eludere. Perché nella tragedia greca l’eroe sceglie liberamente una sorte che in realtà gli è già stata assegnata. E i fan di Banjo si chiedono se lui stesso non abbia causato l’ira dei meganoidi, se la sua lotta per la libertà non sia una piccola vendetta personale, se Don Zauker non sia in realtà il padre di Banjo. Le discussioni e le ipotesi su questo finale si sono sprecate per dare un’uniformità e un senso a una chiusura che sembra stridere con il resto della serie. Ma se si guardano bene i singoli episodi, gli indizi che portano a una dimensione più profonda non mancano: la visione della madre e del fratello, il rapporto con Beauty, il cui padre aveva finanziato i lavori di Sozo, il continuo ribadire la superiorità dell’uomo sulla macchina. Parallelamente si svolgono i drammi dei singoli meganoidi, uomini, che il più delle volte hanno scelto di diventare macchine per superare le loro debolezze. Così la saga di Daitarn canta, come la tragedia greca, il problema universale del male.

La squadra di Banjo si scioglie, le sue assistenti tornano a casa, Toppi se ne va, le luci si spengono (tranne una, la camera di Banjo?), la villa viene chiusa. Piove. Il fedele Garrison batte tre volte il piede e chiama «Daitarn3!». Ma ad arrivare è solo un autobus, che sembra un ponte per tornare a una realtà dove non ci sono robot invincibili, né un Mach Patrol pronto a portarci “nell’occhio all’avventura”.



[Fonte Wired.it]