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martedì, Mag 12

Dalla Corea all’Europa, ecco come si fa contact tracing nel mondo



Da Wired.it :

Dalla politica della Corea al dibattito aperto in Europa, dalla scelta tra decentralizzato e centralizzato agli Usa: come si tracciano i contagi da Covid-19?

Un medico in Portogallo mentre somministra un tampone a un paziente (Photo by Horacio Villalobos#Corbis/Corbis via Getty Images)

Quali saranno gli strumenti operativi che permetteranno all’Italia di uscire dall’emergenza per entrare nella fase 2 in sicurezza? L’Oms indica nel contact tracing una delle armi. Il suo schema è tracciare, testare e trattare i contagi, per isolare ed estinguere le nuove sacche epidemiche che potrebbero emergere alla fine dei lockdown.

E le applicazioni per smartphone non basteranno, come spiegato dall’Ada Lovelace Institute, se non vengono utilizzate in un sistema integrato di tracciamento, sull’esempio di quello che è stato fatto in molti paesi del mondo.

Modello Corea del sud

La Corea del Sud ha realizzato, tra le democrazie, il modello più efficiente. Lo dicono i numeri: è riuscita a schiacciare la curva in 20 giorni senza chiudere il paese e il suo tasso di mortalità è il più basso del mondo (2,23%). I nuovi casi ormai si contano sotto la cifra simbolica delle 15 persone infette al giorno. Questi risultati sono frutto di una politica di tamponi che ha portato, fin dalle prime fasi, a testare fino a 20 mila persone al giorno.

Al cuore del modello test, test, test coreano non c’e’ nessuna forma di contact tracing basata su applicazioni che usano il bluetooth. I dati sui contagiati vengono raccolti direttamente dalle autorità del Korean Center for Disease Control (Kcdc). La legge gli consegna il potere di fare i tamponi, di indagare sui contatti dei contagiati, di raccogliere e trattare le informazioni in modo rapido ed efficace per bloccare immediatamente il diffondersi del virus. 

Gli spostamenti effettuati dai positivi al Covid-19 vengono ricostruiti dalle analisi delle tracce gps dei loro cellulari e delle transazioni con le loro carte di credito e bancomat che certificano acquisti effettuati in negozi o ristoranti, incrociati con le immagini delle telecamere di sorveglianza e le dichiarazioni verbali dei contagiati. I luoghi così identificati vengono poi chiusi e sanificati, per poi essere riaperti dopo un paio di giorni. Le applicazioni per smartphone, alcune delle quali obbligatorie, sono solo un elemento nella catena di trasmissione delle informazioni: servono a mantenere aggiornate le autorità sullo stato di salute degli individui che entrano in Corea, a monitorare le persone sottoposte a quarantena e a segnalare ai cittadini i luoghi colpiti dall’infezione per favorire un distanziamento  sociale intelligente. Alla base di questo sistema c’è la modifica nel 2015 della legge sulla prevenzione delle malattie infettive, entrata in vigore dopo gli errori che la Corea del sud aveva compiuto durante l’epidemia di Mers del 2015.

In un documento prodotto dal governo coreano si legge che “il sistema di supporto alle indagini epidemiologiche opera in modo rigoroso per proteggere la privacy”. Per accedere alle informazioni sulla posizione di un contagiato è necessaria un’autorizzazione ulteriore da parte della polizia nazionale. La piattaforma di gestione funziona su base temporanea e tutti i dati personali in essa memorizzati vengono eliminati una volta completata la risposta al Covid 19. Il suo sistema di cyber security però non ha evitato alcuni problemi. Nonostante dati molto sensibili come il nome della persona infetta o la sua residenza non vengano rivelate, dall’incrocio di alcune informazioni è stato possibile in alcuni rarissimi casi fare speculazioni sull’identità degli contagiati.

La situazione in Europa

In Europa il Belgio ha deciso che per il momento non svilupperà un’applicazione. “Non ce n’è bisogno, il contact tracing può essere fatto manualmente e lo facciamo da anni”, ha detto il ministro delle Telecomunicazioni Philippe De Backer. Quindi punterà sull’assunzione di  2000 “covid detective”, distribuiti a livello regionale, che andranno a caccia dei contagiati per testarli e isolarli. Le regioni saranno anche responsabili della loro formazione. “Se  poi la app potrà essere usata, la implementeremo in seguito”, ha aggiunto De Backer.

L’Irlanda impiega sul contact tracing anche i giovani cadetti dell’esercito. La sua strategia si basa su alcune centrali operative diffuse su tutto il territorio nazionale. Quando una persona risulta positiva al tampone, le sue informazioni vengono inserite in un sistema informatico chiamato Covid-19 Tracker e sono accessibili solo agli operatori del tracing. I “tracers” contattano la persona contagiata per informarla del risultato del test e per scoprire con chi è stata in contatto. La riservatezza viene garantita assegnando ad ognuno un Id anonimo. I tracers non rivelano l’identità degli infetti a nessuna delle persone chiamate durante il processo successivo, che serve a fornire una guida ai contatti secondari. Ad oggi l’Irlanda utilizza più di 1500 persone per questo compito. Entro fine mese verrà adottata anche una app a supporto delle indagini manuali.

L’Inghilterra si sta muovendo sul solco dell’Irlanda con un piano che prevede l’utilizzo di 18mila contact tracer, di cui 3000 saranno professionisti sanitari. Ma potrebbero  servirne fino a 100 mila. Stephen Powis, direttore medico del National Health System (Nhs), ha specificato che “il contact tracing sarà più efficace quanto più riusciremo ad abbassare il numero degli infetti con le misure di contenimento”. Oggi in Inghilterra si fa fatica a testare tutte le persone che hanno i sintomi. Tra il 18 marzo e il 16 aprile ben 15.000 cittadini ogni giorno hanno chiamato la linea telefonica di assistenza sanitaria del Nhs segnalando potenziali sintomi di Covid-19. Per fare il tampone a loro e ai loro contatti sarebbero necessari 60mila test al giorno, mentre oggi l’Inghilterra riesce a farne solo 37mila. Quindi è probabile che a molti di loro venga detto di autoisolarsi senza test. Nel frattempo il Regno Unito sta anche progettando un’applicazione per smartphone. “È fondamentale per tenere sotto controllo il virus”, ha detto il ministro della salute Matt Hancock.

La Francia punta tutto sul modello Robert di contact tracing digitale, anche se il primo ministro Edouard Philippe nel suo discorso all’Assemblea Nazionale del 28 aprile ha modificato le priorità. Ha promesso che in ogni dipartimento verranno reclutate brigate di agenti che si occuperanno del tracing. Secondo il presidente del Consiglio Scientifico francese, Jean-Francois Delfraissy, potrebbero essere necessarie 30 mila persone per effettuare questo lavoro di identificazione e test: “Lasceremo poi alla persona infetta la scelta di isolarsi a casa oppure di essere ospitata in strutture apposite, come hotel che sono stati requisiti”. 

Centralizzato vs decentralizzato

L’applicazione francese sarà lanciata il 2 giugno e seguirà un modello di gestioni dati di tipo centralizzato, mentre altri paesi europei hanno scelto sistemi decentrati che si integrano con le nuove tecnologie che Apple e Google hanno messo a disposizione per consentire il riconoscimento reciproco dei cellulari via Bluetooth. Questa presa di posizione dei colossi americani, non disponibili a lasciare aperti i loro sistemi alla intromissione degli stati,  ha fatto arrabbiare il Ministro francese del digitale, Cedric O, che ha attaccato Google e Apple per non avere collaborato nello sviluppo dell’applicazione francese. Il Regno Unito, in un primo momento sponsor del modello centralizzato, sta valutando un cambio di paradigma: la prospettiva di non vedere la propria applicazione integrabile con la maggioranza degli smartphone presenti sul mercato è  un rischio che il sistema sanitario inglese non può correre.

I dati scambiati tra i cellulari non dovrebbero servire ad altro se non a fare contact tracing” ci dice Michale Veale, professore di diritto digitale alla Ucl, membro del consorzio Dp3t e fautore del modello decentrato. “Non c’è bisogno che lo Stato conosca la catena dei miei contagi, l’importante è che chi è entrato in contatto con una persona infetta venga avvertito in automatico dall’applicazione e che possa decidere come comportarsi. Evitiamo che si trasformi in una porta d’ingresso per una invasione nella privacy dei cittadini”.

Ma il modello decentrato è compatibile con l’interesse statale ad avere un controllo sullo sviluppo dell’epidemia? “Sicuramente in termini di efficacia sarebbe meglio avere un modello centralizzato, perché garantisce una maggiore copertura degli scenari di contagio e perché riesce ad individuare anche gli asintomatici, che nel modello decentrato non comparirebbero” ci spiega Marco Trombetti, amministratore delegato di Pi Campus.  Se guardiamo a quello che è successo a Singapore, che ha adottato un modello decentrato, l’applicazione è stata poco utile a debellare il virus, tanto che poi si è deciso di intervenire con un lockdown”. L’analisi dei dati ad un livello centralizzato ha poi un’altra funzione.

Un server in comune con le autorità sanitarie rende più facile mettere a servizio del tracciamento i dati raccolti dalle applicazioni”, spiega il fisico Alessandro Vespignani, uno dei massimi esperti di epidemiologia computazionale. “Questo può portare alla chiusura di zone a rischio in modo veloce, in caso della emersione di nuovi cluster infettivi. I modelli predittivi basati sull’analisi dei big data aggregati portano all’adozione di azioni preventive molto efficaci”.  Dall’altro lato però, in caso di attacco da parte di hacker, l’accumulo di grandi quantità di dati medici sensibili in un’unico server potrebbe mettere a rischio la privacy di milioni di persone. “Ma già oggi il mondo è protetto da sistemi di cifratura analoghi al modello centralizzato” dice Trombetti:Abbiamo già una grandissima esperienza con i sistemi sanitari e con le banche. Non ci stiamo inventando una tecnologia nuova con rischi nuovi”.

Il ruolo degli intervistatori

Sul fronte digitale, anche la Germania si sta muovendo verso un’applicazione decentrata. Mentre si aspetta il suo affinamento, il Robert Koch Institute già a marzo aveva aperto una call pubblica per cercare i cosiddetti “containement scout”: personale di supporto alla gestione della crisi con il compito di intervistare telefonicamente i pazienti affetti da coronavirus e le persone con cui sono entrati in contatto. L’annuncio, rivolto a studenti e a chi si poteva prendere un semestre di pausa dal lavoro, prevedeva una retribuzione di  2325 euro al mese. Angela Merkel ha affermato recentemente che: “Il servizio sanitario pubblico svolge un ruolo forse meno visibile ma ugualmente cruciale nella lotta contro la pandemia. Il Robert Koch Institute istituirà 105 squadre mobili composte da studenti, scout di contenimento che potranno essere schierati laddove vi sarà un’esigenza speciale”. L’obiettivo è che ogni stato tedesco sia in possesso di team composti da 5 tracer ogni 20 mila abitanti.

Perfino gli Stati Uniti, paradiso della sanità privata, stanno pensando di rafforzare le strutture di sanità pubblica. Ad oggi i contact tracer federali sono 2200, mentre si ritiene che l’America abbia bisogno di 300.000 agenti. Alcuni stati e città hanno quindi iniziato ad organizzarsi, ma in ordine sparso. Per esempio il Massachussets ha lanciato la sua campagna di contact tracing il 3 aprile insieme a Partners in Health, una no profit che ha combattuto Ebola in West Africa. La California ha annunciato l’intenzione di costruire un “esercito” di 10 mila persone che controlleranno l’esecuzione dei test e faranno le indagini sui contatti. Secondo le linee guida del Center for Disease Control, le indagini sui casi, il loro tracciamento e il monitoraggio dovranno essere collegati a test tempestivi, servizi clinici e sistemi di gestione dei dati agili, per facilitare la trasmissione elettronica in tempo reale dei dati di laboratorio e dei casi utili a realizzare politiche di sanità pubblica.

In loro aiuto potrebbe arrivare il progetto Safe Paths del Mit, pensato come un ecosistema in cui individui e autorità sanitarie possono interagire. “Pensate a quanto possa essere traumatico per una persona ricevere la  notifica sul proprio cellulare che negli ultimi giorni è entrata in contatto con un infetto”, spiega Francesco Benedetti, uno dei membri italiani del progetto, “è importante che la gestione del rapporto medico passi attraverso un operatore pubblico, che sia formato nella relazione psicologica e sappia guidare il paziente verso un percorso di test e di cura”.

E l’Italia a che punto sta?

Il Veneto è considerato la Corea italiana, con un sistema di biosorveglianza avanzato ed efficace, per il quale lavorano oltre 500 persone. I tracer hanno accesso a una piattaforma che raccoglie e integra vari database (anagrafe, Inps, medicina del lavoro, tamponi) con un’interfaccia grafica che mostra la geolocalizzazione dei contagiati e dei loro contatti. I dati permettono di realizzare anche analisi predittive per agire con lockdown mirati a livello di quartiere, di strada o di fabbrica.

Sul fronte della app governativa Immuni non si capisce ancora un punto fondamentale: il sistema di raccolta dati sarà integrato con il contact tracing manuale degli operatori sanitari? Mentre si attende fine maggio, il ministero della Salute ha emesso un decreto in cui spiega che saranno le regioni a monitorare l’innesco di nuove epidemie. Viene richiesto un numero adeguato di personale territoriale addetto al contact tracing che dovrà ricostruire i contatti stretti del contagiato e monitorare i casi sottoposti a quarantena. Almeno un tracer ogni 10 mila abitanti. Al centro di tutto ci sono le risorse umane che faranno i controlli, ma in alcune aziende sanitarie del sud, come quella di Reggio Calabria o Cosenza, manca fino al 60% di personale addetto al tracing. Lo Stato deve disporre al più presto risorse economiche aggiuntive, perché i costi del controllo non ricadranno su servizi territoriali già fortemente provati dai tagli degli anni passati. Il rischio è che la prima linea contro il virus rimanga sguarnita.

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[Fonte Wired.it]