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venerdì, Ott 30

Davide Calgaro è il più giovane stand-up comedian italiano, ma non vuole ”essere per sempre il comico 18enne”



Da Wired.it :

Adesso di anni ne ha 20 ed è il più giovane stand-up comedian italiano. Premio Nebbia per il cabaret, non disdegna di flirtare con il cinema. A Wired racconta anche che effetto ha avuto sulla sua generazione e sulla comicità sospendere la vita per qualche mese a causa del coronavirus


Non ha esitazione sui suoi modelli di riferimento:
I grandi monologhisti, compresi quelli moderni come Antonio Albanese, il maestro del teatro canzone Giorgio Gaber e, se posso spingermi oltreoceano, Robin Williams, Jim Carrey, Eddie Murphy… che passano con nonchalance ed estrema versatilità dalla commedia al dramma”. Davide Calgaro è il più giovane stand-up comedian italiano. Milanese, 20 anni, sta costruendo la sua carriera con piccoli passi e scelte di carattere. Gli studi classici, la scuola di recitazione Quelli di Grock, i canali più tradizionali: Comedy Central ZeligColorado il palco di YouTube, il Premio Nebbia per il cabaret e il primo one man show. Flirta anche con il cinema: l’ultimo film in sala di Aldo Giovanni e Giacomo Odio l’estate, il titolo Netflix dell’estate 2020 Sotto il sole di Riccione. “All’inizio volevo solo fare l’attore”.

All’inizio quando?

“In prima superiore. Ma poi ho cominciato a seguire i comici italiani e a scoprire i locali dove perfetti sconosciuti potevano esibirsi. Portavo monologhi di cinque minuti sulla scuola, la famiglia…  Erano testi acerbi, ovvio; eppure, una sera in un ristorante un autore di Zelig, Teo Guadalupi, mi ha notato e contattato. Da allora lavoriamo insieme”. 

Un adolescente, illuminato da un occhio di bue, di fronte a un gruppo di estranei, che prova a farli ridere: può essere di una crudeltà spaventosa. 

“Eppure andavo benino, meglio che al liceo. In queste occasioni si paga soprattutto l’inesperienza di palco: la comicità richiede una buona conoscenza di ciò di cui si sta parlando, va approfondito, interiorizzato, esorcizzato. Altrimenti detto: sei credibile, se hai esperienze di vita. Ecco perché la maggior parte degli stand-up comedian raggiunge il successo tardi”. 

Tu come sei riuscito ad accorciare un po’ i tempi?

“Ho fatto da subito tesoro di un consiglio di Teo Guadalupi e cioè di pormi sempre una domanda prima di scrivere: ‘Qualcun altro potrebbe parlare come me dello stesso argomento?’. È stato un buon punto di partenza, perché mi sono concentrato di più sul mio personalissimo vissuto, sui miei coetanei, e ho accantonato la pretesa di piacere anche agli adulti, di far ridere i cinquantenni, per esempio. Che poi, a pensarci bene, non è squisitamente una questione di età… Cioè, la mia famiglia è numerosa, ho cinque fratelli, la privacy in casa diventa un problema, il lockdown in camera è stato una tortura: se ci costruisco attorno un monologo, è sicuro che lo comprenda meglio chi condivide la mia stessa condizione, l’empatia aiuta la risata”. 

YouTube ha oggettivamente abbassato l’età media di chi fa intrattenimento. 

“È un altro mestiere”.

Anche tu sei passato da YouTube. 

“E mi ha dato moltissimo! So bene che chi mi conosce è perché ha visto una mia clip lì, ovvero sul canale di Zelig invece che a Zelig. Ma emergere sul web, senza le basi solide di un palco, è un rischio: quello di arenarsi poco dopo. Ormai ogni 10 minuti viene scoperto qualcuno e osannato come fosse il talento più incredibile al mondo: lo sarà per davvero? Di contro, tutti hanno uno spazio democratico per dimostrare ciò che sanno fare. E se macinano numeri, adesso vuol dire che piacciono; una volta, nemmeno tanto tempo fa, non funzionava così: a Zelig, per esempio, era necessario conquistare l’apprezzamento degli addetti ai lavori, che poi intercedevano con il pubblico”.

Morale: meglio la comicità del passato?

“Non è che quella di oggi su YouTube e Netflix sia molto diversa. Chessò, le dinamiche di coppia tra Gigi e Andrea negli ’80 e ’90 sono le medesime che ci sono oggi tra Matte & Bise o tra iPantellas. Eppure, i giovani snobbano il cabaret e il teatro più tradizionale, per preferire le stesse gag online, più veloci e quindi più moderne, più comode perché non serve uscire casa”.

Quanto contano i social per uno stand-up comedian?

“Cerco di non pensarci troppo, nonostante siano un ottimo termometro. Mi spiego: il film Sotto il sole di Riccione mi ha portato su Instagram 10mila follower in un mese scarso, praticamente gli stessi numeri che mi hanno fatto guadagnare complessivamente Odio l’estate, Colorado, Zelig e una puntata di DOC: il che dà la misura di quanta eco abbia Netflix tra i ragazzi”. 

Com’è flirtare con il cinema?

“Il ruolo di Cupido va alla mia agenzia, che mi propone i provini. Per il film di Aldo Giovanni e Giacomo ne ho sostenuti quattro, per la commedia Sotto il sole di Riccione ne è bastato uno: mi sono presentato per la parte di Marco, che alla fine è andata a Saul Nanni, e per me è stata creata da hoc quella di Furio. Ora spero che mi capiti un ruolo drammatico. Lo so, in Italia non è facile”.

Se nasci tondo, non puoi morire quadrato.

“Ma solo qui, dove scrollarsi di dosso un’etichetta o una specializzazione pare un’impresa”. 

E allora si va in America?

“Magari!”.     

Non sembri convintissimo…

“No, è un sogno, ma io ne ho tanti e alcuni fin da quando ero bambino. Tipo: a 10 anni, forse 12, sono stato al Teatro degli Arcinboldi a vedere Ammutta muddica, l’ultimo spettacolo di Aldo Giovanni e Giacomo, ho pensato che fosse il posto più bello al mondo e che un giorno avrebbe ospitato anche me”. 

Com’è il futuro per chi a 20 anni adesso?

“Ho parecchi amici che sono fin troppo pragmatici: studio qua per lavorare lì, non faccio filosofia altrimenti resto disoccupato… discorsi di questo genere. Ma non è ancora arrivato il momento delle disillusioni, di accantonare le ambizioni più folli!”. 

Sospendere la vita per qualche mese a causa del coronavirus: che effetto ha avuto sulla tua generazione?

“Per quanto mi riguarda, ho deciso di buttare via il mio primo spettacolo Questa casa non è un albergo, il best of dei monologhi con cui ho esordito. Prima del lockdown di marzo dovevo portarlo in tour, ma sono riuscito a fare giusto tre date. Poi, ci siamo dovuti fermare: stare chiuso in casa, anzi in camera, mi ha costretto a rivedere un po’ tutto. Al contempo Andreée Ruth Shammah del Franco Parenti di Milano ha avuto una bellissima idea: girare con un camion-palco, dal 20 agosto al 6 settembre, e regalare Questa casa non è un albergo alle prime zone rosse del covid. L’ho fatto, pur consapevole che non parlava più di me, perché quei testi risalgono a quando avevo 17 anni e suonava strano che io raccontassi della mia quarta superiore. Non voglio essere per sempre il comico 18enne!”.

A chi sottoponi le battute prima di condividerle con i più?

”Molto spesso ai miei genitori: due medici, che ridono per cose che non fanno ridere me, ideologicamente ai miei antipodi. Della serie: se le approvano loro, forse, devo lavorarci ancora”. 

Sul covid si può scherzare?

“Quest’estate il Cinema Anteo faceva aprire le proiezioni a noi comici di Zelig e mi sono posto il problema: meglio sdrammatizzare la situazione o tenerla sottotraccia? Ho optato per un monologo in cui spiegavo come mai non fosse un caso che io e il coronavirus risultassimo coetanei. La comicità è figlia dei tempi e salire sul palco provando a nascondere l’elefante nella stanza sarebbe stato strano”. 

Qual è la migliore fonte d’ispirazione, la tristezza o la felicità?

“Senza dubbio la prima. Non ricordo chi abbia detto che siamo capaci tutti di far ridere a partire dalle cose belle. In effetti, è affascinante l’idea di esorcizzare un momento negativo. Senza contare che l’ironia e la disperazione sono sempre molto vicine, anzi, di frequente si toccano”.

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[Fonte Wired.it]