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mercoledì, Gen 22

Di Maio più che il Movimento si tira indietro per salvare se stesso


A pochi giorni dalle elezioni in Emilia-Romagna, il ministro degli Esteri potrebbe rinunciare alla propria leadership. Siamo davanti a un’ammissione di inadeguatezza politica o a una fuga dall’ennesima figuraccia?

Alla fine, dopo aver affossato per bene quello che fino a poco tempo fa era il primo partito in termini di consensi, Luigi Di Maio ha deciso che è arrivato il momento di lasciare. La guida del Movimento l’aveva presa nel settembre del 2017, due anni e mezzo durante i quali la compagine pentastellata è passata dall’incredibile successo delle elezioni del marzo 2018 al drastico crollo successivo, con le europee e le varie tornate elettorali regionali.
Oggi è il momento più buio del M5s da quando si è realmente affermato sul palcoscenico italiano. Tra pochi giorni ci saranno le elezioni in Emilia-Romagna, poi quelle in Calabria. Regioni dove due anni fa il Movimento faceva incetta di voti e dove ora avrebbe voluto ritirarsi dalla corsa elettorale, se i votanti sulla piattaforma Rousseau non avessero espresso parere contrario – andando contro la volontà dello stesso Di Maio, sconfitto dalla sua stessa base. E allora domenica a Bologna ci apprestiamo a vivere l’ennesimo crollo pentastellato, che potrebbe essere un crollo dell’esecutivo nel momento in cui l’altra gamba del governo, il Partito democratico, non dovesse riuscire a tenere testa alla candidata della Lega, Lucia Borgonzoni.

Foto Vincenzo Livieri – LaPresse

Insomma, all’orizzonte ci sono una débâcle pentastellata, ma anche il rischio di una caduta dell’esecutivo. E Luigi Di Maio ha deciso di fare un passo indietro di fronte a questa situazione difficile. Quella che all’apparenza può sembrare, finalmente, una presa di responsabilità da parte del ministro degli Esteri, si tratta però dell’ennesima fuga dalla messa in discussione di se stesso. Dopo ogni sconfitta pesante – vedi le europee, le regionali in Umbria o in Abruzzo – Di Maio ha fatto tutto tranne che fare quello che toccherebbe a un leader, riconoscere le proprie responsabilità. “Se ci sono elezioni ogni due mesi non è facile”, ha dichiarato qualche mese fa dopo le varie cadute regionali, come se per gli altri partiti ci fosse stato più tempo per prepararsi al voto. L’analisi della sconfitta, insomma, non c’è mai stata. E non ci sarà neanche questa volta. Perché con un tempismo perfetto, Di Maio ha deciso di togliersi di mezzo prima che gli venisse chiesto di rispondere alla crisi pentastellata, come sarebbe stato nel lunedì post-elettorale emiliano.

A quattro giorni dalle elezioni regionali, a quattro giorni da un importantissimo test per la tenuta del governo, il leader di quello che in termini numerici è ancora il primo partito in Parlamento decide di farsi da parte per prevenire l’ennesimo tornado che sta per colpirlo. La mossa avrebbe avuto senso qualche settimana fa: un modo per ridare linfa al Movimento e dargli un nuovo corso in vista del voto in Emilia-Romagna e in Calabria. A poche ore dall’apertura delle urne, invece, si trasforma nell’ennesima de-responsabilizzazione di se stesso di Di Maio, che conferma ancora una volta il suo stile. Trovatevi un altro capro espiatorio, ci sta dicendo, dimenticando che non esiste alcun accanimento nei suoi confronti, semplicemente è normale che debba essere il condottiero di una squadra a rispondere delle sconfitte di quest’ultima.

Ma la strategia potrebbe essere doppia. Lasciare il Movimento nel suo momento di maggiore di crisi, assistere al caos che dovrà vivere nei mesi a venire – caos non dovuto al vuoto lasciato da Di Maio, bensì un caos inevitabile – per poi tornare da salvatore più avanti, a rimettere in piedi quelle macerie pentastellate da lui stesso causate, ma che ha saputo schivare con la sua fuga repentina. Le dimissioni di Di Maio, allora, sono l’ennesimo esempio della sua inadeguatezza politica. Poteva aspettare quattro giorni, ne sarebbe uscito meglio in quella che sarebbe stata una tardiva ma giusta presa di responsabilità. Andandosene ora, molla la barca in mezzo all’imminente tempesta emiliana e dimostra di tenere più a se stesso che al Movimento.

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