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mercoledì, Apr 08

Di quali informazioni abbiamo bisogno sull’epidemia da coronavirus



Da Wired.it :

Per raccontare al meglio l’evoluzione della diffusione del virus Sars-Cov-2, rivolgiamo un appello alla Protezione civile e alle autorità. Perché i dati che vediamo ogni giorno sono parziali

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(foto: Getty Images)

di Andrea Gentile,
Gianluca Dotti
e Riccardo Saporiti

I dati ufficiali sull’epidemia da nuovo coronavirus diramati ogni giorno raccontano una fotografia parziale della situazione italiana. Sono una collezione di numeri non completamente affidabili, comunicati più per dovere ormai che per trasparenza nei confronti di cittadini e giornalisti. Ma è su quei numeri sottostimati che si giocano le reazioni delle persone e soprattutto le decisioni politiche che dovrebbero portarci fuori dall’emergenza (a meno che non esistano altre informazioni che non ci sono comunicate). E per ora sappiamo ancora troppo poco dell’evoluzione di questa crisi, anche a detta degli stessi epidemiologi. Per questo a Wired abbiamo deciso di non pubblicare più i bollettini quotidiani della Protezione civile, ma di concentrarci piuttosto su una prospettiva più ampia. Per ovviare però alla parzialità dei dati che vengono presentati (alcuni fisiologicamente incerti) cerchiamo di essere propositivi e a lanciare un appello alla Protezione civile e alle autorità in generale, visto che sono le Regioni a comunicare questi dati, nella speranza di ricevere informazioni più complete per capire davvero la portata dell’emergenza legata al virus Sars-Cov-2 e poter svolgere il nostro ruolo in modo più efficace. 

Quanti tamponi?

Lo ha chiesto da settimane l’Organizzazione mondiale della sanità: verificate ogni caso sospetto. La declinazione italiana è stata piuttosto un testare i casi sintomatici, con una scarsa uniformità sul territorio, quindi ci siamo sicuramente persi una fetta importante di persone positive al virus. Per questo sarebbe necessario ampliare le informazioni che ci vengono date sui tamponi eseguiti nel nostro paese: al momento il dato che ci arriva è cumulato, senza distinzioni sul fatto che si tratti del primo, del secondo o del terzo tampone eseguito sulla stessa persona. Sapere questa distinzione aiuterebbe a determinare il numero di persone netto che è stato sottoposto al test, scremando i controlli per dichiarare la guarigione.

Questo numero sarebbe utile anche per determinare la variazione percentuale di nuovi casi positivi nel tempo, che al momento è falsata proprio dal fatto che sia un numero aggregato.

Come ulteriore spunto, vogliamo segnalare la semplice tabella che ogni giorno forniscono i Korean Centers for Disease Control della Corea del Sud: una raccolta di persone che sono risultate positive, negative o sono ancora in attesa di risposta. Semplice, chiara ed efficace. 

Gli esiti della malattia: i decessi e le guarigioni

Abbiamo preso atto che le persone ufficialmente registrate come vittime della Covid-19 sono solo una parte del totale, poiché si escludono tutti coloro su cui non è stato fatto alcun tampone. Per mettere a conoscenza il Paese della reale portata dell’epidemia, perlomeno a livello di stima, ci sono diversi approcci possibili. L’opzione più condivisa, non solo in è calcolare la differenza nella mortalità generale tra questi mesi e i periodi corrispondenti delle serie storiche, ma servirebbero allora i dati Istat di mortalità relativi a tutta Italia, anziché su un solo sottoinsieme campione o sui soli comuni che abbiano inviato i dati e abbiano avuto un incremento di mortalità superiore al 20%.

Già oggi circolano sugli organi di informazione diverse stime sul numero effettivo dei decessi (e analogamente di contagi), ma a livello ufficiale nessuna valutazione è ancora stata comunicata. Dato che la capacità del Sistema sanitario di intercettare i malati di Covid-19 è cambiata nel tempo e non è omogenea nelle diverse aree geografiche, un generico e ipotetico fattore correttivo unico risulterebbe poco utile, e potrebbe aver senso dare indicazioni su una scala temporale e spaziale più precisa, per esempio settimanale e provinciale.

Sulle caratteristiche delle persone decedute, insieme ai report già resi disponibili, avrebbe grande valore informativo un database aggregato in cui i dati su genere, classi di età e patologie pregresse fossero contemporaneamente disponibili, anziché rappresentare tre statistiche indipendenti. Al momento, per esempio, non possiamo conoscere la prevalenza delle patologie pregresse per ciascuna fascia d’età.

Sul versante delle buone notizie, abbiamo ogni sera un aggiornamento sul numero dei guariti. Il dato che viene comunicato a proposito delle persone spostate dall’insieme degli attualmente positivi a quello dei guariti comprende pazienti ormai tutti fuori pericolo, ma raccolti in modo disomogeneo. Potrebbe essere utile suddividere il valore totale che viene indicato ora introducendo una distinzione tra chi è risultato negativo al doppio tampone di controllo, chi è stato dichiarato clinicamente guarito in seguito a visita medica (poiché non ha più sintomi) e chi è stato dimesso dall’ospedale per terminare il percorso di guarigione nella propria casa. Comunicare solo il dato complessivo con l’etichetta “Guariti/Dimessi”, come finora è sempre accaduto, impedisce di conoscere il numero di tamponi di controllo effettuati, e crea un intreccio non chiaro con il dato dei pazienti positivi e in isolamento domiciliare, che dovrebbero rientrare tutti nella categoria degli attualmente positivi.

Il ruolo degli ospedali e i decessi nelle case di cura

Ce ne siamo resi conto in questi ultimi giorni: qualcosa in Lombardia non ha funzionato nel proteggere gli anziani nelle case di cura. I dati rilasciati giornalmente di questo fenomeno non parlano, anche perché in realtà i decessi sono sottostimati, visto che dipendono dall’esecuzione del tampone. Sarebbe però il caso di concentrare l’attenzione proprio su alcune realtà specifiche come non solo le case di riposo, ma anche gli stessi ospedali. Abbiamo infatti i dati del personale sanitario positivo che purtroppo, essendo in prima linea, continua a essere più a rischio, ma ci manca una vera analisi ufficiale di quanto gli ospedali siano stati veicoli del contagio. 

È in questo che si innesta l’importanza del contact tracing, la  determinazione di tutta quella rete di contatti che ha portato una persona a contagiarne un’altra. Per esempio nella già citata Corea gli epidemiologi sono riusciti a stabilire un legame diretto in più dell’80% dei casi. Come sta andando il contact tracing in Italia? Riusciamo a individuare delle regolarità che aiutino a capire meglio la diffusione del virus e quindi prendere decisioni politiche più consapevoli?

Come sono messe le terapie intensive

Uno degli elementi che consentono di misurare la gestione dell’epidemia nel nostro Paese riguarda le terapie intensive. La Protezione civile diffonde ogni giorno il numero totale delle persone ricoverate in questi reparti, suddividendolo poi su base regionale. Sarebbe importante però riuscire ad avere questo dato su base provinciale, soprattutto perché la regione più colpita è la Lombardia, dove vive un italiano su sei. E la provincia con il maggior numero di contagi, Bergamo, ha gli stessi abitanti del Friuli Venezia Giulia.

Non solo: si è detto in più di un’occasione che la gravità dell’epidemia sarebbe stata proporzionale alla capacità del sistema sanitario di assorbire i pazienti che necessitano della terapia intensiva. Per questo sarebbe utile conoscere la percentuale di letti riservati ai pazienti Covid-19 nei reparti dedicati che sono effettivamente occupati. O perlomeno il totale dei letti dedicati a chi ha contratto il nuovo coronavirus, così da poterla calcolare facilmente. Impossibile? La Regione Emilia-Romagna lo fa ogni giorno, comunicando il numero di letti che aggiunge quotidianamente per far fronte all’emergenza.

Altro elemento importante per quanto riguarda i pazienti ricoverati in terapia intensiva è l’esito delle cure: quanti sono i deceduti e quanti invece quelli che sono riusciti a guarire? Questo nella consapevolezza che si tratta di un dato che può alimentare paure o speranze in chi abbia un congiunto in questi reparti. Ma è una dato di realtà con cui bisogna fare i conti.

La filiera dei dati

L’ultima richiesta è anche probabilmente la più semplice da esaudire. Sarebbe opportuno che la Protezione civile chiarisse qual è la filiera di produzione dei dati, anche per spiegare per quale ragione è capitato che alcune informazioni non pervenissero al sistema centrale. In particolare, sarebbe interessante capire se esiste un modulo standard per la comunicazione delle informazioni e, se non fosse così, per quale ragione non si sia pensato di predisporne uno.

Ancora, e questa davvero è l’ultima, tutti i dati che già oggi vengono forniti su base regionale (contagi, decessi, ricoverati, isolamenti domestici, terapie intensive) sarebbe opportuno fossero comunicati anche su base provinciale. Molte regioni lo fanno, a testimonianza del fatto che i dati ci sono. E va bene che il titolo V della Costituzione assegna alle regioni le competenze in ambito sanitario, ma qui si tratta di mettere insieme dei numeri.

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[Fonte Wired.it]