Eppure questi miti, smontati da anni di studi e di analisi critiche, continuano a essere usati come leve retoriche. Perché funzionano: rassicurano, semplificano, seducono. La vicenda di Diella, insomma, non nasce dal nulla. È l’ennesima reincarnazione di una lunga tradizione di storytelling tecnologico: quella che ci racconta che la macchina è meglio dell’uomo, che può sostituirlo, che può salvarci dalle sue debolezze. Ma la realtà è un’altra: la macchina è costruita dall’uomo, riflette i suoi limiti e, spesso, amplifica i suoi errori.
Un feticcio digitale al posto della responsabilità
Diella non nasce per migliorare la pubblica amministrazione. Nasce per costruire consenso. È un feticcio digitale, confezionato per i riflettori delle conferenze internazionali e per i titoli dei media. In Albania, non a caso, l’opposizione parla apertamente di “circo” e di “pagliacciata incostituzionale”. Ed è difficile dar loro torto. Perché affidare a un software il ruolo di ministro non rafforza la trasparenza: la riduce a slogan. È come ridipingere di bianco una facciata cadente: dall’esterno può anche sembrare nuova, ma basta bussare con le nocche per scoprire che dietro c’è sempre lo stesso muro che si sgretola. La differenza è che adesso, grazie all’alibi tecnologico, le crepe rischiano di diventare ancora più difficili da identificare e riparare.
E questo è il punto più grave: Diella deresponsabilizza. Trasforma la politica in spettacolo, il governo in scenografia, i cittadini in spettatori. Rischiando di spostare il potere dal controllo democratico all’opacità di algoritmi misteriosi. E così, mentre si racconta di futuro, si consuma l’ennesimo inganno del presente.
Cosa servirebbe davvero
Se davvero si volesse affrontare il problema della corruzione e rendere più efficiente la macchina pubblica, non servirebbero avatar folkloristici vestiti di tradizione. Servirebbero regole chiare, open data accessibili, controlli indipendenti, organismi di vigilanza sottratti al potere politico. In altre parole, servirebbe ripensare la governance, non mascherarla dietro un simulacro digitale.
L’AI può certamente essere uno strumento prezioso, ma solo se usata con trasparenza e in un quadro normativo solido. Illudersi che possa sostituire la politica significa smarrire il senso stesso della democrazia. Non è un caso che ogni volta che si cerca una scorciatoia tecnologica, si finisce per alimentare nuove forme di disuguaglianza. L’AI non cancella i problemi: li traduce in linguaggio statistico. E in quel linguaggio, chi ha più dati ha più potere. Se la corruzione sta nei dati, allora la corruzione sta anche nei risultati. E se il controllo resta nelle mani di chi governa, allora il cittadino non guadagna trasparenza, perde diritti.
Un ministro paravento
Diella non è un ministro. Non è un politico. Non è un soggetto. È un’icona digitale, uno specchietto per le allodole usato da chi preferisce la narrazione alla sostanza. Il vero rischio non è quello di essere governati da macchine, ma di accettare di essere ingannati da uomini che usano le macchine come paravento. In questo senso, la nomina di Diella non rappresenta un passo nel futuro, ma un salto verso un modello in cui i simboli contano più della sostanza. Ma oggi il simbolo non è più una bandiera o una statua, è un avatar digitale. E allora la riflessione finale è inevitabile: la politica, così come l’etica e la morale, non si possono né si devono scrivere negli algoritmi. La politica si costruisce con valori, scelte, responsabilità. Tutto ciò che, nel bene e nel male, resta irriducibilmente umano. Continuare a fingere il contrario non è innovazione: è illusione. E le illusioni, in politica, hanno sempre un prezzo. Un prezzo che, alla fine, pagano i cittadini.