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lunedì, Apr 10

Disney, abbiamo un problema | Wired Italia



Da Wired.it :

Dei dieci film che hanno incassato di più nel 2022, quattro erano distribuiti da Disney. Tra questi, dopo che l’acquisizione di Fox ha portato nell’alveo dell’azienda anche i 20th Century Studios, ovviamente anche Avatar: La via dell’acqua, un blockbuster che non solo è il più visto degli ultimi anni ma si è piazzato direttamente al terzo posto dei più venduti nella storia. In quest’ultima classifica, tra l’altro, otto delle prime dieci posizioni (AvatarAvengers: EndgameAvatar: La via dell’acquaTitanicStar Wars: Il risveglio della forzaAvengers: Infinity WarThe Lion KingAvengers – ad esclusione quindi di Spider-Man: No Way Home, distribuito da Sony ma in collaborazione con Marvel Studios, e Jurassic World di Universal) afferiscono alla galassia di Topolino. Che Disney, mega-società che proprio nel 2023 celebra il centenario dalla fondazione, abbia un dominio indiscusso sul mondo dell’intrattenimento e della cultura pop in generale è indiscusso, ma ciò non toglie che questo impero, soprattutto negli ultimi mesi, abbia mostrato le sue evidenti crepe.

Cosa succede alla Disney?

La natura dei problemi che i manager del colosso devono affrontare è della più variegata: dalla necessità di contenere i costi che la produzione di contenuti, soprattutto in streaming, brucia forsennatamente all’obbligo di crescere sempre di più, a livello di spettatori e di abbonati su Disney+ (senza considerare il numero di consumatori più largo che acquista merchandising o visita i parchi di divertimento). Queste sono le sfide con cui Bob Iger è tornato a ricoprire la carica di ceo nel novembre 2022: il suo mandato era finito nel 2021 ma il suo successore, Bob Chapek – prima individuato da lui e poi rivelatosi una pedina del tutto indipendente, aveva inanellato una serie di parecchi passi falsi, portando al suo ritorno improvviso. Sulla sua scrivania, al netto di intricatissime politiche interne (di recente è stato silurato Ike Perlmutter,capo di Marvel Entertainment, da sempre controverso e vicino a Trump), Iger si trova la sfida di far crescere ancora di più Disney, rivedendo alcune politiche sbagliate di chi l’ha preceduto.

Tra queste, la crescita ipertrofica e dispendiosa dei titoli su Disney+, soprattutto quelli legati ai franchise cinematografici (Marvel, Star Wars), e l’eccessiva fiducia nelle cosiddette day-and-date release, cioè lo sbarco di alcuni film in contemporanea nelle sale e in streaming (e nel caso di Pixar, trattata ultimamente come pecora nera, addirittura di numerosi debutti solo in streaming). Accanto a quelle che sono questioni di strategia finanziaria e di business, c’è tutto anche un discorso molto complesso di contesto mediatico globale e di qualità dei contenuti: da una parte negli anni le piattaforme concorrenti si sono moltiplicate a dismisura e con loro i cataloghi di serie e film a disposizione, con un disorientamento conseguente degli utenti; dall’altro alcuni filoni che fino ad ora sono andati alla grande ora risentono di un affaticamento del pubblico esposto sempre agli stessi stimoli.

Anche i supereroi (si) stancano

Tra questi fenomeni quello più preoccupante è sicuramente la cosiddetta superheroes fatigue o peggio ancora Marvel fatigue: dopo anni di record su record, gli ultimi titoli dell’MCU hanno dimostrato risultati più scostanti, con in particolare l’ultimo in ordine di tempo (Ant-Man and the Wasp: Quantumania) che, pur difendendosi al botteghino, è stato massacrato dalla critica e dal sentiment generale del pubblico (citofonare M.o.d.o.k.!). Se ci aggiungiamo fiaschi precedenti come quello di Eternals e un numero di serie per Disney+ che sono stati più riempitivi che altro (The Falcon and the Winter Soldier in primis), si capisce che una certa preoccupazione è fondata. Il concetto del multiverso – centrale in questa nuova fase narrativa – che in sostanza può fare e disfare ogni trama, viaggiando nel tempo e resuscitando personaggi, è percepito dal pubblico come un espediente per girare in tondo, sfornare nuovi titoli e far pagare più biglietti (e non iniziamo con i recenti guai giudiziari di Jonathan Majors, l’interprete di Kang, ovvero il nemico attorno cui si concentrano le fasi 5 e 6 dell’MCU, di recente accusato di violenza domestica).

In questo scenario davvero incerto, di recente si è aggiunto anche uno scandalo interno piuttosto raro per i Marvel Studios, che di solito non fanno parlare negativamente di sé se non per i risultati dei proprio prodotti mediatici: parliamo del licenziamento in tronco di Victoria Alonso, storica vicepresidente di Marvel Studios, che è stata allontanata con grande clamore nel marzo scorso: varie sono le ragioni circolate, tra cui l’aver prodotto un film concorrente (Argentina, 1985 di Amazon Studios) senza chiedere il concenso alla sua azienda e l’aver creato un ambiente tossico tra gli studi di effetti speciali che supervisionava. C’è però anche chi dice che Alonso, apertamente lesbica, si sia inimicata il board della società quando si è impuntata sulla questione del Don’t Say Gay, la legge che Florida impedisce di trattare questioni LGBTQ+ nelle scuole e che la stessa Disney avrebbe indirettamente appoggiato. Questa del Don’t Say Gay è un’altra macchia nel 2022 ha minato la rilevanza disneyana, mostrandone il volto più ambiguo: da un lato grandi Pride nei parchi Disney e sbandierati messaggi d’inclusione, dall’altra attività di lobbying conservatrice e parecchie contraddizioni interne (all’epoca i creativi di Pixar e Marvel avevano denunciato da parte delle alte sfere diversi tentativi di censura su personaggi e storyline queer).

Una stella cadente?

La Marvel e l’inclusione non sono gli unici fronti caldi. L’altra gallina dalle uova d’oro del gruppo, Star Wars, è in una fase di confusione totale: dopo la conclusione piuttosto tiepida della trilogia sequel con L’ascesa di Skywalker, diversi tentativi di immaginare altri capitoli cinematografici sono andati persi nel vuoto cosmico della galassia lontana, lontana (Rogue Squadron di Patty Jenkins è stato abbandonato, così come un ipotizzato film firmato dal boss di Marvel Studios Kevin Feige; la trilogia di Rian Johnson – già criticatissimo per Gli ultimi Jedi – è in un limbo eterno, il progetto di Taika Waititi non ha ancora una data certa e così via; alla fine dell’anno ha gettato la spugna anche Damon Lindelof). L’unico fronte che sembrava aver galvanizzato persino i fan di Guerre stellari della prima ora, ovvero la serie The Mandalorian, dopo la delusione di The Book of Boba Fett, sembra aver perso lo slancio propulsivo e neanche Baby Yoda riesce a rianimare una terza stagione piuttosto incolore. La recente Star Wars Celebration di Londra, con gli annunci su Ahsoka, Andor e i nuovi film, sembra riaccendere le speranze ma la tenuta del pubblico è imprevedibile più delle vie della Forza.



[Fonte Wired.it]