Da Wired.it :
Molti Paesi si sfilano o si oppongono alla sua applicazione. Mentre la pandemia ha peggiorato le condizioni di vita delle donne nel mondo
Sono passati 10 anni dalla firma della Convenzione di Istanbul, il primo trattato internazionale legalmente vincolante sulla prevenzione e la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica. Tuttavia, in Italia e nel mondo, siamo ancora lontani dal ricucire il divario di genere e le condizioni di vita delle donne sono peggiorate con l’arrivo della pandemia da Covid-19. Il World economic forum ha stimato che saranno necessari almeno 135 anni prima di arrivare a una parità di condizioni tra uomo e donna, mentre secondo Eurostat una donna su tre ha subito una violenza fisica o sessuale dall’età di 15 anni.
A oggi solo 33 paesi hanno firmato, ratificato e implementato la Convenzione negli ordinamenti giuridici nazionali. Mentre 11 l’hanno firmata senza ratifica e un paese, la Turchia, ha deciso di ritirarsi dal trattato lo scorso marzo, perché secondo le autorità di Ankara nasconderebbe una componente ideologica volta a “normalizzare l’omosessualità, cosa incompatibile con i valori sociali e familiari” del paese. Una conclusione del tutto falsa.
Cosa sostiene la convenzione
La Convenzione di Istanbul rappresenta una pietra miliare nella lotta contro la violenza di genere e la tutela dei diritti delle donne. Sancisce l’uguaglianza tra uomo e donna e definisce la violenza di genere come un atto discriminatorio e una violazione dei diritti umani, che comprende atti e minacce che provochino sofferenza fisica, sessuale, psicologica ed economica. Inoltre, indica una serie di misure ad ampio raggio per prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire i colpevoli. Fornendo ai paesi firmatari una serie di misure tangibili da mettere in atto come rifugi, linee di assistenza e strumenti per dare un aiuto completo alle vittime di tutti i tipi di violenza.
Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Montenegro, Paesi Bassi, Polonia, Norvegia, Spagna e Svezia sono i paesi europei che hanno ratificato il trattato. Mentre Bulgaria, Repubblica ceca, Ungheria, Lituania, Lettonia e Slovacchia hanno apposto solo la firma. La ratifica da parte di uno stato obbliga il paese ad adeguare l’ordinamento civile e penale alla Convenzione, introducendo misure concrete per la prevenzione e la tutela delle vittime di violenza e per punire i colpevoli.
I paesi che si oppongono alla convenzione, o che non l’hanno ratificata, rifiutano queste modifiche in nome della tutela dei valori tradizionali cattolici o islamici e dell’opposizione comune contro “l’uguaglianza di genere” concetto che, secondo loro, andrebbe a sovvertire l’ordine costituito e a sostenere una cosiddetta “ideologia omosessuale”. Per esempio, in Bulgaria la convenzione è stata dichiarata anticostituzionale, mentre secondo il ministro della Giustizia polacco, Zbigniew Ziobro, si tratterebbe di “un’invenzione femminista che ambisce a giustificare l’ideologia omosessuale”. Posizioni senza fondamento.
I dati sulla violenza
Dopo l’uscita della Turchia dalla Convenzione, anche la Polonia ha mostrato questa intenzione e nel mondo sta crescendo l’opposizione dei partiti conservatori a questo trattato. Nello stesso tempo, il numero di denunce di violenza domestica sono in continuo aumento, specialmente da quando la pandemia globale ha costretto sempre più persone a restare chiuse in casa. I rifugi per le vittime e le richieste di assistenza hanno conosciuto un’impennata per tutto il 2020 e nei primi mesi del 2021.
L’Istat riporta che solo in Italia, da gennaio, è stato commesso più di un femminicidio a settimana. Una tendenza, nella nostra penisola, che sta conoscendo una crescita allarmante. Gli omicidi in ambito familiare sono aumentati del 126,5% dal 2002 e nel 2019 l’Istat ha registrato che l’83% delle vittime in questo contesto erano donne. Nel primo semestre del 2020 i femminicidi sono stati pari al 45% del totale degli omicidi – contro il 35% dei primi sei mesi del 2019 – e hanno raggiunto il 50% durante il lockdown nei mesi di marzo e aprile. Il 90% di queste donne è stata uccisa in ambito affettivo o familiare e il 61% del totale da parte di partner o ex partner.
A contribuire a questa situazione si trova ovviamente il divario di genere in ambito lavorativo e sociale. Sempre in l’occupazione femminile si attesta intorno al 56%, secondo il Censis (Centro di studi e investimenti sociali), contro il 75% di quella maschile e, secondo il report della Fondazione studi consulenti del lavoro le donne rappresentano il 55,9% del totale dei posti di lavoro persi a seguito della pandemia.
Potrebbe interessarti anche