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venerdì, Dic 04

Dopo il vaccino contro Covid-19 resteremo infettivi?



Da Wired.it :

Mentre in tutto il mondo si preparano le campagne di immunizzazione, gli esperti discutono sull’infettività dopo la somministrazione del vaccino

Vaccino Covid
(Immagine: Unsplash)

Mentre le autorità regolatorie di Stati Uniti ed Europa (e di molti altri paesi del mondo) valutano i dati per l’autorizzazione dei diversi vaccini anti Covid-19 che hanno superato i trial clinici, una nuova domanda comincia a serpeggiare tra gli esperti, e fa riflettere l’opinione pubblica. La questione riguarda l’infettività dei soggetti che hanno ricevuto il vaccino, e può essere posta nel modo seguente: posto che la vaccinazione sia in grado di evitare i sintomi e lo sviluppo della malattia, le persone che si vaccinano e entrano in contatto con Sars-Cov-2 saranno contagiose o no? Si tratta di una domanda piuttosto importante, alla quale – anticipiamo – la comunità scientifica non possiede ancora una risposta chiara e definitiva.

Il punto è stato sollevato qualche giorno fa da Ilaria Capua, che ha dichiarato che “chi si vaccina contro il coronavirus si può infettare lo stesso e trasmettere la malattia se non porta la mascherina. Quando si parla di efficacia si fa riferimento alla malattia: esistono pochissimi vaccini che danno immunità sterile e se incontro il virus sono totalmente impermeabile”. Effettivamente anche l’Organizzazione mondiale della sanità, in un rapporto sul funzionamento dei vaccini, ha sottolineato come la maggior parte di essi abbiano principalmente lo scopo di “prevenire le malattie”, e non necessariamente di “proteggere dalle infezioni”. Poi ce ne sono alcuni, come per esempio quelli contro l’epatite A o contro il papillomavirus umano (Hpv), che hanno dimostrato di essere efficaci sia contro le malattie sintomatiche che contro le infezioni asintomatiche: una sorta di doppia protezione che è proprio quella che Capua chiama immunità sterile.

Per comprendere bene la questione, è anzitutto importante fare una distinzione tra l’infettività dovuta al virus (o a una sua singola componente) contenuta nel vaccino e l’infettività dovuta al contatto con il virus reale, quello che vive nel mondo esterno. Il verificarsi del primo caso è estremamente improbabile, come ci ha confermato Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco e docente all’università degli studi di Milano: “I vaccini contengono virus morto, o inattivato, o infiacchito”, ha spiegato. “Oppure alcuni suoi singoli componenti, come l’rna messaggero. In ogni caso si tratta di patogeni assolutamente non in grado di replicarsi. E dunque non c’è motivo di pensare che il virus contenuto nel vaccino (e a maggior ragione una sua parte, cioè l’mRna) sia capace di replicarsi o rendere contagiosi.

Per quanto riguarda l’altro aspetto, invece, le cose stanno un po’ diversamente. Massimo Andreoni, dell’Università Tor Vergata di Roma, ci ha spiegato che, al momento, è impossibile poter dire con certezza se i vaccini contro Covid diano immunità sterile o meno. “La realtà delle cose”, ha detto, “è che sicuramente i candidati più promettenti hanno mostrato di avere un’efficacia superiore al 90%, che è un dato straordinario, nel ridurre il rischio di sviluppare la malattia. Ma questo dato non riguarda l’arresto di infezione nel soggetto vaccinato: non abbiamo abbastanza elementi per rispondere a questa domanda. Quindi in questo momento non possiamo dire niente di definitivo. Né possiamo trovare conforto guardando ad altri vaccini, perché, spiega ancora Andreoni, “è difficile ragionare su modelli vaccinali e su patogeni così diversi tra loro.

Uno dei (pochi) studi condotti sul tema, pubblicato a maggio scorso, aveva mostrato che dei macachi vaccinati con il preparato di AstraZeneca erano protetti dalla polmonite indotta da infezione da Sars-Cov-2, ma avevano ancora un’alta carica virale nelle vie aeree superiori, il che potrebbe significare che erano ancora in grado di diffondere il virus, anche senza ammalarsi. Non è un’ottima notizia, ma nemmeno pessima: a guardare il bicchiere mezzo pieno, come ha spiegato a Stat Vincent Munster, uno degli autori dello studio, “trasformare la malattia da polmonite a raffreddore è comunque un grande passo avanti”. Certo, se fosse così vorrebbe dire che la tanto agognata immunità di gregge sarà ancora più difficile da raggiungere. Ma al momento non possiamo saperlo.

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[Fonte Wired.it]