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mercoledì, Ago 19

È Draghi l’unico faro di un’Italia che rischia di affondare?



Da Wired.it :

Il discorso al Meeting sospeso a metà fra ispirazione e pragmatismo: molti lo vorrebbero a palazzo Chigi, per altri è un profilo ideale per il Quirinale. Comunque vada, una visione che l’Italia non può sprecare

(Foto: Getty Images)

Mario Draghi ha rifiutato tante volte di essere tirato per la giacchetta. Addirittura cinque anni fa, era il 2015, tenne ben saldo il suo mandato al vertice della Banca centrale europea, respingendo ogni candidatura al Quirinale (era l’anno delle dimissioni di Giorgio Napolitano). Eppure in molti lo vedono pronto per sostituire Giuseppe Conte a palazzo Chigi – ce lo vedono ormai da qualche esecutivo, a dire la verità – se non addirittura come figura ideale per la scadenza forse più importante del prossimo biennio: l’elezione del nuovo capo dello Stato.

L’economista e – fra i molti altri incarichi – ex governatore della Banca , potrebbe davvero prendere la strada del suo mentore Carlo Azeglio Ciampi che fra le diverse missioni di quando era ministro assegnò all’allora direttore generale del ministero dell’Economia quella di aprire la strada all’Italia nella moneta unica, verso la fine degli anni Novanta. Una figura naturalmente europeista fin dagli studi universitari, accompagnato da alcuni fra i più importanti economisti dell’epoca, con una carriera – tenendo da parte quella accademica a cavallo fra Italia e Stati Uniti – ai massimi livelli dello Stato e poi delle istituzioni europee, dal Financial Stability Board fino appunto alla Bce che ha lasciato lo scorso anno, con una parentesi in Goldman Sachs.

È, questo raccolto per sommi capi, il profilo di un tecnico più adeguato al Quirinale, cioè a un ruolo di garanzia sulle orme proprio di Ciampi e in grado di tenere il paese ben saldo sia all’interno delle garanzie costituzionali che nel sistema europeo, o sarebbe invece in grado di scendere in campo, domare maggioranza imbizzarrite, tuffarsi nel teatrino politicante che contraddistingue la propaganda dei partiti, le maggioranze combinate alle Camere, le furbizie e i tatticismi dei gruppi parlamentari?

Ieri in molti hanno voluto leggere il bel discorso al Meeting di CL come una specie di dichiarazione programmatica. In effetti, è stato un intervento a cavallo fra principi e soluzioni, pratico e al contempo d’ispirazione. Fuori dalla politica economica, almeno in parte, Draghi ha puntato sull’”impegno etico”. Partito dalla pandemia che “minaccia non solo l’economia, ma anche il tessuto della nostra società, così come l’abbiamo finora conosciuta; diffonde incertezza, penalizza l’occupazione, paralizza i consumi e gli investimenti” ha offerto ricette solo in parte economiche. Sì, certo, ha spiegato che il tempo dei sussidi è terminato, che la scuola (quella “qualificazione professionale”) e la formazione devono tornare immediatamente al vertice delle nostre priorità – non a caso proprio nella fase in cui si sta preparando la riapertura degli istituti – ma ha poi proposto una serie di passaggi più larghi. La speranza, la ricostruzione, l’incertezza su un vaccino e dunque l’obbligo di “adattare i nostri comportamenti e le nostre politiche”. Senza rinnegare i nostri principi. Fino a citare perfino la preghiera del teologo Karl Paul Reinhold Niebuhr (era pur sempre ospite di CL).

Ma soprattutto Draghi ha tenuto insieme questioni concretissime, dalla perdita dei posti di lavoro fino all’aspetto psicologico di questa nuova normalità (“la nostra stessa interazione umana fisica e psicologica”), alle direzioni più ampie da imboccare dopo la risposta dei primi mesi tutta (giustamente) debito e sussidi. Ha parlato di “pragmatismo”, più volte, e forse questo intervento potremo ricordarlo proprio così: il discorso del pragmatismo. “When facts change, I change my mind. What do you do sir?”, non poteva mancare perfino la citazione keynesiana a riprova della necessità di prendere di petto la realtà che ci si ritrova di fronte.

Quel pragmatismo che se fino a ieri ha richiesto risorse enormi, ha fatto saltare tutti i parametri di bilancio nazionali e comunitari, ha prodotto una risposta europea senza precedenti (auspicata d’altronde dallo stesso Draghi già a marzo sul Financial Times) oggi ci chiede di cominciare a domare l’emergenza: “È il momento della saggezza nella scelta del futuro che vogliamo costruire”. Non possiamo cioè dimenticare “l’importanza dei principi che ci hanno sin qui accompagnato”. Le regole europee, il multilateralismo internazionale, lo stato sociale, l’emergenza ambientale che invece di rinnovare abbiamo lasciato in pasto ai populismi, ai cui messaggi si è sommato il cataclisma pandemico. Per Draghi bisogna ripartire dallo spirito di chi ricostruì dopo la seconda guerra mondiale (cita De Gasperi come gli accordi di Bretton Woods) iniziando “la loro riflessione sul futuro iniziò ben prima che la guerra finisse”.

Poi torna all’economia, spiegando che l’enorme stock di debito maturato in questi mesi “pragmatici” rimarrà gestibile e finanziabile se sarà “utilizzato a fini produttivi. Ad esempio investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca e altri impieghi. Se cioè sarà considerato “debito buono””. Non basterà il rimbalzo economico previsto per questi mesi e in certi casi già in atto, visto che “una vera ripresa dei consumi e degli investimenti si avrà soltanto col dissolversi dell’incertezza che oggi osserviamo e con politiche economiche che siano allo stesso tempo efficaci nell’assicurare il sostegno delle famiglie e delle imprese e credibili, perché sostenibili nel lungo periodo”. Sanità, difesa dell’ambiente, digitalizzazione, formazione delle generazioni più giovani alle sfide del presente. Generazioni a cui lasceremo quel debito prodotto già con le crisi del 2008 e poi sotto la spinta del coronavirus. “Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza” ha detto Draghi guadagnandosi molti titoli con questo passaggio.

La chiusura è ancora di più di prospettiva: l’ex presidente della Bce ripone fiducia negli strumenti europei, immagina un futuro ministero del Tesoro continentale, aggiunge alle qualità dei politici quella della trasparenza, vede nella ricostruzione europea un impegno comune frutto della responsabilità insieme dei singoli paesi e condivisa. E forse coglie il punto più profondo dell’Unione: la sua natura è quella di “evolversi gradualmente e prevedibilmente, con la creazione di nuove regole e di nuove istituzioni”. Oggettivamente un discorso altissimo, nulla che sarebbe possibile – non ce ne vogliano i Di Maio o gli Zingaretti di turno – in bocca ad alcuno di quelli che compongono l’attuale esecutivo e la maggioranza.

L’unico faro per un’Italia che rischia di affondare è dunque Mario Draghi? E con quale residenza? Palazzo Chigi o Quirinale? Le parole pronunciate al Meeting, così semplici e potenti, lo collocherebbero di diritto all’ex residenza dei papi, anche se molte delle venature che le colorano di azione sembrano riecheggiare di più dalle parti di piazza Colonna, sul fronte operativo di chi ha ben chiare le priorità del paese all’interno degli equilibri internazionali traumatizzati dalla Covid-19. Comunque vadano a finire questi mesi, una cosa è certa: il paese non potrà permettersi di non chiamare l’ex governatore al proprio servizio in una delle due caselle più importanti del sistema istituzionale. Il vero suicidio sarebbe sprecare questa visione.

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[Fonte Wired.it]