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E se usassimo l’intelligenza artificiale per fare la pace, anziché la guerra?

da | Mag 3, 2025 | Tecnologia


Intelligenza artificiale per la pace e la diplomazia. In una parola, peacetech. In un mondo segnato da conflitti prolungati, competizioni geopolitiche e tensioni diffuse, l’innovazione potrebbe cambiare anche il modo in cui si immagina e si costruisce la pace. L’obiettivo è includere un numero sempre maggiore di voci nei processi negoziali, sfruttando le tecnologie per superare barriere logistiche, linguistiche e culturali: peacetech, in sostanza, è quindi l’uso di tecnologie e innovazioni digitali per prevenire i conflitti, promuovere il dialogo e rafforzare i processi di mediazione. In questa prospettiva, gli stessi strumenti spesso associati alla diffusione di disinformazione, alla polarizzazione e all’erosione democratica possono diventare alleati della diplomazia.

A livello globale, sono diverse le organizzazioni che stanno sperimentando soluzioni simili: Views, iniziativa congiunta del think tank Prio di Oslo e dell’università svedese di Uppsala, utilizza il machine learning per prevedere – nelle intenzioni – potenziali aree di escalation. Il progetto Culture Pulse invece è fondato su una tecnologia che permetterebbe di modellare virtualmente il comportamento di intere popolazioni sulla base di dati socio-economici e culturali. Queste “repliche digitali” possono essere usate per testare l’efficacia di soluzioni di mediazione o politiche di intervento, simulando reazioni e conseguenze. Tra gli sviluppi più attesi in questo filone figura anche l’opinion mapping, ovvero la capacità delle AI di individuare aree di consenso all’interno di comunità divise.

A lanciare questi temi in Italia è il Bologna peacebuilding forum, in programma dal 7 al 9 maggio nel capoluogo emiliano. La manifestazione, nell’edizione di quest’anno, esplorerà il ruolo delle tecnologie emergenti nella prevenzione e gestione dei conflitti. “Negli ultimi anni la vera domanda è diventata: in che modo la tecnologia può sostenere gli sforzi umani per la pace?”, spiega a Wired Bernardo Venturi, direttore della ricerca presso l’Agenzia per il Peacebuilding, ong promotrice della tre giorni. “Un campo come quello della mediazione tra Stati si fonda da sempre sulla dimensione relazionale”, prosegue, “ma oggi ci rendiamo conto che anche il digitale entra a pieno titolo in queste dinamiche”.

Uomo e macchina

L’evoluzione tecnologica sta mettendo in discussione i paradigmi classici della mediazione, “ma ci siamo resi conto di due criticità fondamentali”, prosegue Venturi. “Innanzitutto, oggi non è possibile fare tutto solo con l’interazione diretta; in seconda battuta, l’innovazione consente di rendere questi processi più inclusivi, anche attraverso un semplice smartphone”.

Non si tratta, dunque, di sostituire l’essere umano, ma di potenziarne l’azione: il futuro della pace, per Venturi, passa da una sinergia tra intelligenza artificiale, big data, blockchain e capacità relazionali. “In ambito umanitario, per esempio, già si utilizzano immagini satellitari e analisi di big data per monitorare e intervenire in aree a rischio”.



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Scritto da Flavio Perrone, consulente informatico e appassionato di tecnologia e lifestyle. Con una carriera che abbraccia più di tre decenni, Flavio offre una prospettiva unica e informata su come la tecnologia può migliorare la nostra vita quotidiana.

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