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martedì, Mar 02

Ecco come funzionano gli avvelenamenti degli oppositori russi



Da Wired.it :

Perché il Cremlino sceglie di eliminare, spesso avvelenandoli, i suoi avverasari politici? E com’è organizzata la messa in pratica di questi omicidi? Una serie di dati e inchieste ci permette di sapere come Mosca si sbarazza dei dissidenti

Da quando il 20 agosto 2020 Alexei Navalny, il celebre oppositore politico di Vladimir Putin, è stato avvelenato con il novichok un potente agente nervino di fabbricazione russa si è parlato di nuovo di omicidi di stato voluti dal Cremlino

L’avvelenamento di Navalny non è un caso isolato, ma è parte di una strategia consolidata: se si è al potere uccidere i propri oppositori politici a prima vista non sembra una scelta così conveniente, dato che attira le attenzioni dei media, può portare a sanzioni internazionali e innescare proteste popolari. Tantomeno sembra conveniente l’uso del veleno per portare a termine questi omicidi, visto che è un metodo impreciso: i veleni sono sostanze difficili da maneggiare e controllare, e pericolose anche per i sicari. I veleni peraltro hanno effetti lenti, quindi non danno certezze immediate a chi quell’omicidio lo ha commissionato. Eppure non solo il veleno viene utilizzato piuttosto spesso, ma addirittura vengono scelte sostanze così rare che lasciano pochi dubbi su chi sia il colpevole. Ma quante volte è successo che degli oppositori politici russi sono stati avvelenati?

La lunga storia degli avvelenamenti

Gli avvelenamenti che vengono attribuiti al Cremlino, anche se con diversi gradi di certezza, sono diverse decine. Alcuni li conosciamo bene, oltre a Navalny avvelenato con un agente nervino mentre si trovava in Siberia, c’è il caso di Anna Politkovskaja, la giornalista che si occupava della guerra in Cecenia e che dopo aver subito minacce, un avvelenamento e una finta esecuzione, è stata uccisa nell’ascensore di casa sua a Mosca con due colpi di pistola al petto e uno alla testa. Ancora più famoso è l’avvelenamento, nel 2006, di Alexander Litvinenko, ex spia russa e duro oppositore di Putin, a cui fu messo nel tè del polonio 210, un materiale rarissimo e altamente radioattivo. Uno dei casi di avvelenamento più recenti, e che quindi un po’ tutti ricordiamo, è quello dell’ex spia russa Sergei Skripal e di sua figlia Yulia: nel marzo del 2018 due agenti russi che viaggiavano sotto falso nome (ma che sappiamo essere Anatoliy Chepiga e Alexander Mishkin) spruzzarono l’agente nervino Novichok sulla maniglia della porta della casa di Skripal nella cittadina di Salisbury, vicino Londra. Padre e figlia una volta venuti a contatto con la maniglia perdono conoscenza e si accasciano su una panchina lì vicino ma, per un colpo di fortuna, vengono visti da un’infermiera di passaggio che nota che i due schiumano dalla bocca e i soccorsi riescono a salvarli.   

Ci sono poi casi di avvelenamento che ricordiamo meno, o di cui non abbiamo mai sentito parlare. Come quello di Emilian Gebrev, un commerciante di armi avvelenato a Sofia alla fine di aprile 2015 o quello di Viktor Yushchenko, un politico ucraino che durante le elezioni del 2004 si ammalò gravemente, si disse che aveva bevuto troppo, ma gli esami mostrarono che era stato avvelenato con la diossina. Yushchenko riuscì a salvarsi, e vinse addirittura le elezioni diventando presidente, ma rimase sfigurato a vita: la sua pelle è ancora oggi ricoperta da una miriade di minuscole bolle. 

Un altro caso che in pochi ricordano è quello del matematico e imprenditore russo Alexander Perepilichnyy, che viveva a Londra, era scappato dalla Russia prima di denunciare un enorme truffa ai danni dello stato in cui erano coinvolte alte cariche militari. Il 5 novembre del 2012 Perepilichnyy uscì a fare jogging e morì di colpo, in un primo momento si pensò a una morte naturale: molti veleni lasciano tracce minime e impossibili da rilevare a distanza di tempo. La stessa incertezza riguarda la morte di un famoso giornalista e politico russo, Yuri Shchekochikhin, anche lui oppositore di Putin e anche lui morto di colpo, nel 2003, in circostanze sospette, con sintomi simili a quelli di un avvelenamento: i capelli che andavano via a ciocche, una forte sensazione di bruciore su tutto il corpo e interi strati di pelle che cadevano. Le istituzioni russe non aprirono alcuna inchiesta sulla sua morte, considerata naturale. Solo un anno dopo la morte di Shchekochikhin, l’11 settembre 2004, uno stretto collaboratore di Putin, Roman Tsepov, dopo un tè preso a una sede del Fsb, il servizio segreto russo, ebbe anche un malore e morì dopo 13 giorni di sofferenze. Le analisi sul corpo di Tsepov parleranno di un avvelenamento da materiale radioattivo. Nikita Isaev, politico e oppositore di Putin, è morto di colpo nel 2019, in treno, mentre tornava a Mosca dopo un incontro con alcuni suoi sostenitori. 

La lista di avvelenamenti molto probabilmente voluti dal Cremlino è ancora lunga. Nel 2002 Ibn al-Khattab, un signore della guerra saudita attivo nelle guerre in Cecenia (così conosciuto che le granate artigianali, in Russia e soprattutto in Cecenia, vengono chiamate Khattabka), aprì una lettera che gli era stata fatta spedire da agenti dei servizi segreti russi: conteneva un agente nervino, e al-Khattab morì di lì a poco. 

Va detto che gli avvelenamenti non sono una prerogativa degli attuali servizi russi, Fsb o Gru, semmai un’eredità dei tempi dell’Urss, quando era operativo il Kgb. Uno dei casi più famosi è quello dell’avvelenamento del dissidente bulgaro Georgi Markov, portato a termine dai servizi bulgari insieme a quelli sovietici: il 7 settembre 1978 Markov aspettava il bus e alla fermata venne urtato da un ombrello di uno sconosciuto, poco dopo ebbe un malore e venne ricoverato, ma morì poco dopo. Durante l’autopsia sul suo corpo venne trovata una microscopica pallottola, del diametro di 1,7 millimetri, composta al 90% di platino e al 10% di iridio, con due fori rivestiti da uno strato di ricina, un veleno per il quale al tempo non esistevano antidoti. Il caso giudiziario non ha portato a individuare nessun colpevole, ed è rimasto aperto per 35 anni, fino al 2013. 

Perché usare il veleno?

Torniamo alla domanda iniziale: se il veleno è così impreciso e difficile da gestire, perché viene utilizzato? (Alexei Navalny, per esempio, è sopravvissuto, così come dopo il coma sono vivi Sergei Skripal e sua figlia). Il motivo è che il veleno, al contrario di un colpo di pistola alla testa, crea molta più sofferenza: dà bruciore, vomiti e forti dolori, non a caso in alcuni dei video girati sul volo in cui viaggiava Navalny dopo l’avvelenamento lo si sente urlare. Ma ci sono anche altri motivi: il veleno è una firma, il novichok, come anche il polonio 210, sono materiali che, se rilevati, mandano un messaggio politico molto chiaro, dicono che a nulla è servito scappare dalla Russia e rifugiarsi a Londra, e nemmeno è servita la scorta o vivere sotto protezione. Al contrario, l’avvelenamento dice che chi tradisce, morirà soffrendo.

Un terzo motivo riguarda le responsabilità. Come dice Mark Galeotti, esperto di sicurezza militare e di sicurezza russa, il veleno permette di commettere un omicidio sancendo pubblicamente chi è il mandante ma lasciando poche possibilità agli investigatori di stabilirlo con certezza. Alcuni veleni danno delle indicazioni precise sulla loro provenienza, come il novichok, che è prodotto solamente in pochissimi siti militari russi, ma non permettono di arrivare a delle prove schiaccianti.

La costante minaccia di sofferenze, insieme alla sicura impunità degli avvelenatori, servono a creare un’incertezza costante negli oppositori politici russi. Questa incertezza è quella che i poteri autoritari come quello russo usano per mantenere salda la propria posizione. Da questo punto di vista gli avvelenamenti di Skripal e Navalny, che non hanno portato i due oppositori alla morte, non sono da vedere come dei fallimenti: sono anzi degli avvertimenti che grazie al clamore dei media sono risuonati nelle orecchie di migliaia di persone instillando una minaccia concreta e terribile.

Come funziona un avvelenamento

Per quanto il veleno sia difficile da tracciare, sappiamo molto di come funzionano gli avvelenamenti di stato russi. Sappiamo che esistono almeno due unità militari che se ne occupano: una è l’unità 29155 interna al Gru, al cui comando c’è il maggiore generale Denis Sergeev (che ha diretto l’avvelenamento in Inghilterra di Sergei Skripal e ha viaggiato spesso col nome falso di Sergei Fedotov). Conosciamo anche i nomi degli appartenenti all’Unità 29155, come Sergey Chepur (medico, tossicologo ed esperto di armi chimiche) o il già citato Anatoly Chepiga, ex combattente della guerra di Cecenia che ha ricevuto addestramento sulle armi chimiche ed è uno dei due agenti ad aver spruzzato il novichok sulla porta di Sergei Skripal.

Sappiamo anche che tutti gli appartenenti all’Unità 29155 sono veterani o alti in grado, e lavorano a stretto contatto con i due centri in cui il governo russo porta avanti lo sviluppo di armi chimiche: il Gnii Vm a San Pietroburgo e il Sc Signal di Mosca. Il Sc Signal, formalmente si occuperebbe di integratori alimentari per lo sport, ma stando a un report pubblicato dal sito investigativo Bellingcat si occupa di nano-incapsulazione, una tecnologia che permette di inserire il veleno all’interno di una patina di un’altra sostanza, così da ritardarne l’effetto e nasconderlo ai controlli. Un’altra unità militare segreta che si occupa di avvelenamenti e omicidi all’estero è parte del FSB e si chiama 68240 e supervisione tre sub-unità, la 34435, 35553 e 44239. Sono i membri della 34435 ad aver avvelenato Alexei Navalny.

Partendo dai dati che abbiamo a disposizione dall’avvelenamento di Navalny e dalla testimonianza di un politico e attivista anti-corruzione avvelenato più volte, Vladimir Kara-Murza, sappiamo anche cosa succede prima e durante gli avvelenamenti di stato russi. Innanzitutto la vittima viene seguita costantemente per mesi o per anni. Gli investigatori di Bellingcat, una volta ottenuti i dati degli operatori telefonici russi (che si trovano in vendita sul dark web) hanno potuto controllare gli spostamenti degli appartenenti alle unità specializzate in avvelenamenti e hanno scoperto che i loro telefoni si agganciavano spesso alle stesse celle di quelle di Kara-Murza e di Navalny. Facendo un confronto con documenti di viaggio e biglietti aerei si è visto che non sempre gli agenti russi seguono la vittima a breve distanza, anzi spesso prendono voli che partono subito prima o subito dopo, in modo da trovarsi negli stessi luoghi senza rischiare di dare nell’occhio o essere riconosciuti. I dati di viaggio di dieci agenti appartenenti o collegati all’unità 68240 sono stati resi pubblici.

Grazie alla testimonianza di Kara-Murza sappiamo anche che gli avvelenamenti possono essere più di uno nel breve periodo. Lui è stato avvelenato nel maggio 2015 e nel febbraio 2017, in entrambi i casi è andato in un coma prolungato con gravi malfunzionamenti delle sue funzioni vitali e naturalmente in entrambi i casi le autorità russe non hanno aperto alcuna inchiesta per stabilirne la causa. I dati tossicologici però hanno stabilito che si trattava in entrambi i casi di avvelenamento. In uno dei viaggi compiuti da agenti russi per seguire Kara-Murza era presente anche Roman Mezentsev, che ha viaggiato in precedenza con prenotazioni che comprendevano funzionari di alto livello del Cremlino tra cui Vladislav Surkov, l’ex consigliere del presidente Putin soprannominato Il Cardinale Grigio per il suo ruolo di potere nella politica del Cremlino. Questo, e altri dati simili, dimostra che gli avvelenamenti sono decisi quasi esclusivamente da alte cariche militari.

Un elemento interessante del funzionamento degli avvelenamenti è la gestione delle informazioni all’interno delle unità militari. I singoli appartenenti alle unità hanno compiti precisi che eseguono, ma non hanno informazioni generali. Anche se in diversa misura si tratta di un modo molto usato nei servizi segreti di tutto il mondo: ognuno ha le informazioni strettamente necessarie a compiere il proprio compito, niente di più. Dimostra bene questo meccanismo l’intervista fatta dallo stesso Alexei Navalny a uno dei suoi avvelenatori, Konstantin Kudryavtsev (che si fingeva Maxim Ustinov, un inesistente dipendente del capo del Consiglio di sicurezza Nikolai Patrushev). Navalny, fingendosi un superiore che indaga sul perché il suo omicidio non è stato eseguito al meglio, pone molte domande all’agente, ma è evidente che se da un lato Kudryavtsev risponde alle domande e dà nuove informazioni a Navalny (come il fatto che il novichok sia stato somministrato impregnando le sue mutande) alcuni dettagli dell’operazione semplicemente non li conosce.

Sempre grazie alle ricostruzioni degli avvelenamenti subiti da Kara-Murza e da Navalny sappiamo che i compiti nelle unità che si occupano degli avvelenamenti sono suddivisi per gruppi. La supervisione delle operazioni passa per Mosca, la prima squadra che interviene è quella che disattiva telecamere e servizi di sicurezza, che poi dà il via libera a chi somministra materialmente il veleno. Per somministrare il veleno viene scelto un momento in cui la vittima è lontana da Mosca e da altre grandi città, e questo probabilmente per due motivi. Il primo è che in questo modo si evita che ci siano grandi ospedali nelle vicinanze, che potrebbero prestare cure ed evitarne la morte, il secondo invece è che si interviene in contesti ambientali in cui la sicurezza degli oppositori è necessariamente più bassa. 

Gli altri omicidi di stato

Infine va detto che la lista di avvelenamenti subiti da oppositori politici russi non si conclude con quelli citati finora. Ci sono molti altri casi sospetti, come quello di Pyotr Verzilov nel 2018, ma è impossibile stabilire un numero preciso di oppositori politici russi avvelenati, a causa dell’assenza di indagini nei casi avvenuti in Russia e della difficoltà di rintracciare sostanze usate e responsabilità in alcuni dei casi fuori dal territorio russo.

Gli omicidi di stato russi naturalmente non avvengono tutti con la somministrazione di veleni. Ci sono quelli portati a termine con armi diverse e anche in molti di questi casi sappiamo che le unità speciali di cui parlavamo poco fa hanno avuto un ruolo attivo, come nell’uccisione con due colpi di pistola alla testa di Zelimkhan Khangoshvili a Berlino, avvenuta a mezzogiorno nel bel mezzo di un parco pubblico.

Anche nel caso degli omicidi avvenuti con armi diverse dai veleni ci sono casi rilevanti: come quello di Dmitry Gribov, attivista anticorruzione ucciso a colpi di mazze da baseball da un gruppo di uomini a volto coperto in un’imboscata tesa fuori Mosca, mentre Gribov andava a far visita a sua madre. Oppure quello di Maksim Borodin, giornalista investigativo che lavorava sulle attività in Siria dell’unità Wagner (un corpo di mercenari russi) morto perché caduto dal balcone del suo appartamento dopo aver detto a un suo amico al telefono di aver visto degli uomini incappucciati vicino alla sua abitazione. Investigavano sulla milizia Wagner anche tre giornalisti uccisi in Repubblica Centrafricana, Orkhan Dzhemal, Alexander Rastorguyev e Kirill Radchenko. Sono morti politicamente rilevanti, ma anche di queste non abbiamo sentito parlare, ed è difficile verificare le eventuali responsabilità.

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[Fonte Wired.it]